Doverosa precisazione: chi scrive conosce ovviamente la leggenda Ayrton, ma ignora totalmente il pilota Senna, nonché il mondo della Formula 1. Non conoscevamo la rivalità con Alain Prost (rivelandosi fenomenale e narrativamente efficace, come per ogni rivalità sportiva che si rispetti), e non conoscevamo le auto da lui pilotate, tra il 1984 fino a terrificante incidente mortale del 1994. Dunque, la visione della serie Netflix è stata scevra da ogni possibile pre-giudizio, e affidata solo e soltanto al giudizio narrativo e linguistico di un'opera innegabilmente ambiziosa.
Talmente ambiziosa che appare palese quanto lo show, ideato da Vincent Amorim su soggetto di Thais Falcao, sia stato curato nei minimi particolari, sottolineando - nella tecnica - l'esoso budget a disposizione. Arrivata in streaming, dopo essere stata annunciata nel 2020 e seguita direttamente dalla famiglia del pilota, Senna potrebbe essere una delle serie brasiliane più costose della storia, risultando poi l'esemplificazione di quanto lo sport, declinato nella serialità o nel cinema, abbia sempre una marcia in più (per restare in tema di motori).
Senna: se Ayrton ha il volto di Gabriel Leone
Sei puntate da quasi un'ora dirette dallo stesso Amorim in alternanza con Julia Rezende, che nemmeno a dirlo iniziano un attimo prima del maledetto Gran Premio di San Marino e, tramite un lungo flashback, ripercorrono la vita di Ayrton Senna, interpretato da Gabriel Leone. In mezzo c'è un po' di tutto (e di più): i primi giri di pista a bordo dei go-kart, la Formula Ford, i primi test in Formula 1 sulla Williams, l'esordio nel 1984 a bordo della Toleman, poi ancora la Lotus e l'affermazione in McLaren. Tanto, tantissimo materiale che, più o meno fedelmente, rispecchi la vita, la personalità e i trionfi del pilota. Senza mollare mai un'enfasi e un respiro necessariamente retorico (in frasi del tipo: "Pensi di appartenere alla Formula 1?" - "Ho lavorato tutta la vita per questo").
L'altro lato di una leggenda: tanto dinamismo,
In fondo, la retorica, in operazioni come questa, è uno dei primi ingredienti. Il resto, come spesso accade, è affidato a una costruzione visiva che punta sia sull'adrenalina che sull'intimità della figura protagonista. Senna, in fondo, che siate fan o no, è esattamente come l'avevamo immaginata: una serie dal respiro ampio, che rintraccia il profilo di un'icona sportiva e culturale. Un punto di riferimento per il Brasile, un punto di riferimento per coloro che si sono sentiti ispirati e in qualche modo smossi dalla concezione agonistica del pilota. Un agonismo, bisogna dirlo, spesso spigoloso, se vogliamo poco accondiscendente: il professionista nobile fedele a Dio, e ancora l'uomo fedele a sé stesso e alla sua famiglia.
Tra l'altro, aiutato dalla somiglianza fisica, Gabriel Leone dimostra una certa presenza scenica che, sottraendo invece che aggiungendo, diventa un Ayrton credibile, smarcandosi dalla macchietta. È infatti chiaro che l'intera serie sia sospinta da un marcato respiro cinematografico, che calca a più non posso un comparto tecnico notevole. Dalla score (che alterna brani anni Ottanta e Novanta, come Just Can't Get Enough dei Depeche Mode) fino alla fotografia rivista attraverso i colori d'epoca, e poi ancora le scene di gara (come la spettacolare corsa di Monaco 1988, sotto una battente pioggia).
"Il miracolo di Senna", dunque, torna a pulsare rifacendosi alla poetica sportiva che abbiamo già visto tante volte (qualcuno ha detto Rush?), inseguendo un dinamismo che non cede mai alla noia. In questo senso, per assurdo, Senna sembra tracciata con il pilota automatico: una grande messa in scena, una grande riconoscibilità che si prende la sacrosanta responsabilità di novellizzare (mica è un documentario) alcuni aspetti della vita del brasiliano (l'introduzione di Laura, giornalista amica con il volto di Kaya Scodelario non è esistita, e sembra quasi un'aggiunta ideata per allungare una personalità già profondamente sfumata), generando costantemente un'azione (anche dialettica) che si rifà alle produzioni americane, più che tipicamente locali.
Ecco, Senna, vista anche la sua destinazione, diventa quindi un biopic seriale perfetto per seguire le logiche dello streaming, approfondendo solo quando strettamente necessario (e avremmo preferito più cuore e meno tecnica: la serie sembra più concentrata nel mostrare il suo potenziale, piuttosto che la psicologia del pilota), e preferendo poi un'appariscenza emotiva e rombante perfetta sia per gli appassionati che per chi, invece, non conosce nemmeno la differenza tra freno e acceleratore.
Conclusioni
Senza dubbio ambiziosa, la serie Netflix che racconta Senna è uno show che calca a più non posso la retorica sportiva applicata al linguaggio seriale. Gabriel Leone è credibile, ci sono le ovvie licenze storiche del caso, e le scene di gara sono coinvolgenti e ben girate. Tuttavia, a volte, lo show brasiliano sembra più interessato a mostrare il suo potenziale (anche produttivo) invece che concentrarsi maggiormente sulla psicologia della leggenda.
Perché ci piace
- Gabriel Leone, evita la macchietta.
- Le scene di corsa ben girate.
- Una buona tecnica...
Cosa non va
- ... Ma troppo enfatizzata.
- A volte la serie sembra più concentrata a mostrare la messa in scena invece che il personaggio.