Il pubblico è abituato a vederlo come Jaime Lannister in Il trono di spade, dove è un cavaliere senza paura ma con molte macchie, soprannominato lo Sterminatore di re, pronto a sacrificare qualsiasi cosa e qualsiasi persona per il bene della sua famiglia: ma Nikolaj Coster-Waldau è diverso dal suo personaggio televisivo, la sua esperienza nel campo della recitazione si è formata in teatro, anche se ha sempre sognato il cinema americano, grazie soprattutto al film C'era una volta in America di Sergio Leone, che lo folgorò quando era un adolescente.
Quel ragazzino danese oggi ne ha fatta di strada, recitando in diversi film del suo paese d'origine, come Il guardiano di notte, pellicola che lo ha reso celebre in patria, arrivando a collaborare con registi del calibro di Ridley Scott, che lo ha diretto in Black Hawk Down e Le crociate, fino ad affiancare star hollywoodiane come Tom Cruise e Morgan Freeman in Oblivion. Un percorso ricco e variegato, che lo porta oggi a essere il protagonista di Second Chance, ultimo film della regista premio Oscar Susanne Bier, in cui è Andreas, un poliziotto e neo-padre apparentemente irreprensibile, che si trova a dover prendere una decisione molto difficile quando una tragedia si abbatte sulla sua famiglia.
Un ruolo lontano dall'epica di Game of Thrones, che ricorda più i drammi esistenziali dei grandi classici del teatro, che Waldau affronta proprio come in una pièce, dosando ogni emozione, spesso giocando solo di sguardi e voci sussurrate. Una sfida per l'attore, che per l'occasione è tornato a recitare nella sua lingua natia, esperienza che lo ha gratificato, come ha raccontato nel corso della conferenza stampa di presentazione del film, nelle sale italiane dal prossimo 2 aprile: "Fin da quando ero adolescente e ho visto C'era una volta in America di Sergio Leone ho sognato che un giorno sarei andato a lavorare in America, non so perché, forse perché volevo dare a qualcun'altro l'emozione che ho provato io quando ho visto quel film. Ho sempre avuto il sogno di viaggiare per fare il mio lavoro, ma allo stesso tempo sono danese e amo lavorare nel mio paese: se potessi continuare a fare entrambi sarebbe perfetto".
"Essere degli esseri umani è difficile"
Second Chance mette a dura prova l'attore e lo spettatore: quando si parla di bambini il discorso diventa immediatamente pieno di insidie, soprattutto se si mette in scena una tragedia, cosa che però non ha spaventato la regista Susanne Bier, che da sempre si interessa alle debolezze e ai difetti degli esseri umani e che nei suoi film si interroga sempre sulle grandi domande dell'esistenza, come ha raccontato l'attore: "Sono un fan dei film di Susanne Bier, quando mi ha chiamato per mostrarmi la sceneggiatura ero felicissimo, mi sono sentito molto fortunato. La cosa che mi ha affascinato del film è che essere degli esseri umani è difficile: siamo sempre in conflitto tra la nostra morale e i nostri valori, abbiamo un'idea ideale di chi vorremmo essere ma a volte facciamo delle cose di cui noi stessi non sapevamo di essere capaci. Amo come Susanne mescola questi vari elementi: alla scena di apertuta sei sicuro che Andreas sia nel giusto, le persone con cui si confronta sembrano senza dubbio i cattivi, ma tutti dovremmo essere molto cauti nel giudicare le altre persone".
Nei film della Bier si affronta spesso il tema dell'apparenza: sotto una facciata perfetta in superficie, o, al contrario, un aspetto disprezzabile, si può nascondere tutto l'opposto, elemento presente anche in Second Chance: "Uno dei temi del film credo sia non giudicare il libro dalla copertina" ha dichiarato Waldau, che ha continuato: "Abbiamo questi due mondi all'opposto, il primo, quello di Sanne (May Andersen), la donna drogata, sembra un inferno, c'è una relazione di abuso tra i due partner, la madre non si prende cura del bambino nel modo in cui dovrebbe, mentre, per quanto riguarda Anne (Maria Bonnevie), che nel film è mia moglie, sembra stare in un ambiente meraviglioso, forse anche troppo bello per essere vero. Nel mondo Occidentale, almeno so che in Danimarca è così, siamo benedetti dall'avere tutto tanto da sentirci in colpa se a volte non siamo felici. A volte dovremmo invece essere capaci di perdonare noi stessi e aprirci per far uscire il dolore. Credo che Susanne Bier sia magnifica nel mostrare questi opposti e far sorgere delle domande e far capire che è difficile giudicare perché spesso ci basiamo su informazioni superficiali".
L'importanza di essere padre
Second Chance affronta anche il tema della paternità, spesso messo in secondo piano rispetto al rapporto tra madri e figli, che qui invece diventa predominante, pure se con conseguenze estreme: il progetto ha profondamente colpito Waldau, padre di due adolescenti: "_È raro vedere film in cui un uomo è così vicino ai suoi figli, mentre qui addirittura Andreas è come se diventasse l'unico genitore, prendendo tutte le responsabilità su di sé: è strano perché da padre non mi sento meno legato alle mie figlie rispetto alla madre, il rapporto è solo diverso, quindi credo che questo aspetto renda ancora più unico questo film. Le ultime scene della pellicola, in cui si vede Andreas con il bambino, penso siano molto emozionanti e commoventi proprio perché mostrano quanto possa essere forte il legame che unisce un padre a un bambino, ed è interessante perché spesso nei film è la madre ad avere il monopolio delle emozioni forti nel rapporto tra genitori e figl_i".
L'attore ha dovuto inoltre affrontare scene difficili in cui si è dovuto relazionare con dei neonati, impresa ardua: "È stata dura: un bambino è l'essenza della purezza e dell'innocenza, credo che tutti in presenza di un bambino vogliano proteggerlo dal pericolo. Sul set c'erano le vere madri dei piccoli: quando dovevamo coprirli di sporco è stato disturbante. A un certo punto c'era un numero incredibile di bambini: i neonati crescono in fretta, noi abbiamo girato intorno a Natale e quando siamo tornati sul set dopo le feste c'erano quattro nuovi bambini. La scena più difficile è stata sicuramente quella in cui Andreas e sua moglie si svegliano nel cuore della notte e scoprono cos'è successo: è stata davvero disturbante girarla".
Il mestiere dell'attore
Interprete malleabile, in grado di passare da soldato a uomo del futuro e a cavaliere medievale, Waldau ha spiegato come si è avvicinato ad Andreas, un uomo apparentemente normale, che nasconde però un bagaglio emotivo complesso: "Come attore parti sempre da stesso, non importa chi interpreti: sono un padre, ho due figlie e sono sempre preoccupato per loro, quindi questi sentimenti mi aiutano, ma sono un inteprerte e il mio mestiere è essere qualcun'altro, spesso anche molto diverso da me. Ho interpretato un killer ma non ho mai ucciso nessuno. In realtà ho ucciso un cervo una volta: è molto saporito! Interpreto esseri umani, sono un essere umano, quindi quando devo dare vita a un personaggio cerco di partire dai punti che abbiamo in comune: con Andreas condivido il fatto di essere padre e quindi posso capire l'intensità del suo dramma. Per quanto riguarda questo film ad aiutarmi a entrare nel personaggio è stata sicuramente Susanne: crea un ambiente perfetto per permetterti di esprimere al meglio le emozioni richieste dal ruolo, lei ha un occhio e un orecchio speciale per le reazioni emotive degli attori. Per quanto mi riguarda questo è un ruolo da sogno per me, mi permette di affrontare un vasto bagaglio emotivo in cui scavare e investigare".