Come parlare ai bambini delle ingiustizie del mondo? Claude Barras se lo chiede fin dal suo lungometraggio d'esordio, La mia vita da zucchina, che raccontava con rara sensibilità e poesia situazioni estremamente traumatiche che coinvolgevano un gruppo di minori di una casa famiglia. Non ci ha stupito, quindi, ritrovare le stesse attenzioni anche in questo Savages, suo più recente film presentato alla Festa del Cinema di Roma e passato anche sia al Festival di Cannes 2024 che all'Annecy International Animation Film Festival.
Una lunga strada, quindi, per una pellicola in animazione che cerca di presentare in modo semplice una delle tematiche più sentite del nostro tempo: lo sfruttamento indiscriminato e intensivo delle risorse naturali. Ovviamente ad intrecciarsi con la tematica principale sono presenti tutta una serie di sottotematiche inerenti alla crescita personale, un processo che passa per la (ri)scoperta delle proprie origini.
Una storia tra legami familiari e ambientalismo
Seguiamo infatti la storia di Kéria, una ragazzina che vive con suo padre al confine con la foresta pluviale del Borneo. È proprio tra gli alberi che padre e figlia trovano un cucciolo di orango, rimasto orfano dopo che sua madre viene uccisa da un gruppo di cacciatori deputati alla sorveglianza dei lavori di disboscamento della zona.
La bambina si affeziona subito alla piccola scimmia, ribattezzata Oshi, la nutre e la tiene con sé, legati entrambi dalla perdita della madre. Quando a casa però arriva suo cugino Selaï, tutto diventerà più complicato: il bambino non ne vuole saperne di lasciare il villaggio indigeno da cui proviene e tenta di fuggire. Inizierà così per Kéria e Selaï un'avventura indimenticabile che li porterà a riscoprirsi come famiglia davanti alla minaccia dell'annientamento del luogo a cui appartengono.
Savages: tante tematiche e tanto cuore
Savages (Sauvages in originale) è una storia dall'intreccio estremamente semplice: abbiamo due bambini che si approcciano alla loro prima grande avventura, un evento necessario per far scaturire quella maturazione e quella catarsi che porterà la protagonista a prendere coscienza di sé. Ruolo fondamentale lo giocano la famiglia e i luoghi: da dove veniamo, la cultura che permea il vissuto dei nostri cari sono informazioni che ci aiutano, nel bene e nel male, a comprendere meglio chi siamo. E, come in un ciclo, ognuna di queste cose riportano alla necessità di salvaguardare il nostro pianeta, di curare quei luoghi teatro della nostra storia, habitat di cui facciamo parte e che, come tali vanno rispettati perché parte di noi come specie.
L'uso vincente della stop motion
Barras, anche co-sceneggiatore insieme a Catherine Paillé, torna così ad usare la tecnica della stop motion a lui tanto cara e che qui si adatta alla perfezione alla costruzione di fondali coloratissimi e incredibilmente vari, ricchi di piante maestose ma anche di piccoli e grandi animali dalla notevole espressività, lavorati con minuzia ed un estro che però non sfocia mai nella caricatura. Dal punto di vista tecnico, quindi, si riconferma quel design particolare che avevamo apprezzato ne La mia vita da zucchina e che quindi definisce in parte quella che è la cifra stilistica del regista.
A presentare alcune, non gravi, criticità è la scrittura che, sempre attenta a non nascondere il dolore e la tragedia, a volte però finisce per lasciare da parte alcuni personaggi e situazioni che in poco più di 80 minuti non riesce a tratteggiare con sufficiente incisività. Anche se Savages non riesce ad andare in profondità come il suo predecessore, è comunque un lungometraggio assolutamente riuscito, frutto di un'idea chiara e attuale, una storia che mostra la sofferenza ma anche la gioia di far parte di qualcosa di più grande di noi, di un pianeta che ci sostenta fino allo sfinimento e che per questo necessita di cura e rispetto.
Conclusioni
Savages è un film con una storia semplice ma profonda, una pellicola che mostra come ogni parte di noi sia profondamente legata al pianeta che abitiamo, ai suoi ambienti anche più remoti. La storia della piccola Kéria, passa, infatti per l’importanza dei legami familiari e della cultura indigena che le consente di capire qualcosa in più su sé stessa. La scrittura, che non risparmia dolore e dramma è comunque delicata e semplice anche se non riesce a tratteggiare sempre adeguatamente personaggi e situazioni. Perfetta la stop motion, che qui riesce a rendere l’idea di un habitat variegato e vivo.
Perché ci piace
- Le diverse tematiche tra loro collegate.
- La stop motion, tecnica perfetta per raccontare questa storia.
- La semplicità e il tatto con cui vengono raccontate le vicende, anche le più dolorose.
Cosa non va
- Alcuni personaggi e situazioni risultano poco approfonditi.