Jean, allevatore di professione, ha un solo obiettivo: vincere un premio con il suo toro Nabucodonosor. Suo figlio Bruno, invece, non ne vuole più sapere dell'attività di famiglia, ed è alla ricerca di un nuovo percorso nella vita. Nel corso di un viaggio all'insegna del vino, accompagnati dal giovane tassista Mike, i due riscopriranno i veri piaceri della vita, trovando un modo di comunicare attraverso l'alcool e le esperienze condivise.
Poetica stralunata
Da dodici anni il duo Benoît Delépine - Gustave Kervern ci delizia con le loro commedie un po' bislacche, un po' fuori dagli schemi, portavoce di una poetica comica vagamente surreale ma sempre capace di divertire e, nei punti giusti, commuovere. Dopo la deriva più sperimentale di Near Death Experience, presentato a Venezia nella sezione Orizzonti nel 2014, i due registi sono tornati all'ovile con Saint amour, che ha debuttato fuori concorso alla Berlinale.
Un viaggio iniziatico di mezz'età, all'insegna dell'amore per la gastronomia francese, e in particolare per la cultura legata al vino (il titolo deriva da un tipo di Beaujolais), con un approccio "malincomico" che non può non ricordare Sideways di Alexander Payne. Con grande sensibilità e una tenerezza disarmante nei momenti giusti, Delépine e Kervern (quest'ultimo anche attore in una parte minore ma spassosa) ci fanno esplorare svariate regioni transalpine alla ricerca dell'amore e dell'unione famigliare. Con risultati forse non sorprendenti, ma dalla grande qualità puramente umana (anche se il finale rischia di andare di traverso a chi difende a tutti i costi i valori tradizionali).
Tre uomini e un toro
Per portare a buon termine l'operazione i registi hanno ritrovato - e per la prima volta unito sullo schermo - i loro due attori-feticcio, Gérard Depardieu (Mammuth) e Benoît Poelvoorde (Louise-Michel, Le grand soir), affidando a Vincent Lacoste (Eden) il ruolo dell'alter ego della nuova generazione. Il terzetto funziona a meraviglia, ed è obbligatorio menzionare l'esilarante cameo di Michel Houellebecq, nonché la partecipazione in campo femminile di Céline Sallette, ma è soprattutto l'alchimia fra Depardieu e Poelvoorde, due giganti diversi e complementari, a determinare l'esito più che positivo di questa odissea disfunzionale, franco-belga e al contempo universale, parto creativo di due voci fuori dal coro che, in un'epoca in cui la commedia francese a livello qualitativo medio non si discosta più di tanto dall'omologo italiano, sono assolutamente essenziali per ricordarci quanto i cugini d'oltralpe siano ancora in grado di farci ridere, piangere, pensare ed emozionare. Il che ci lascia con un grande interrogativo, soprattutto alla luce della qualità complessiva del concorso berlinese di quest'anno: per quale motivo un gioiello simile era fuori gara?
Movieplayer.it
4.0/5