A Giffoni dove nei giorni scorsi ha presentato nella categoria over 18 il suo secondo film da protagonista - il primo era stato Hotel Meina di Carlo Lizzani - vorrebbe tornarci per godersi l'energia vulcanica del pubblico composto principalmente da ragazzi, "magari senza Covid! Si percepiva che era un'edizione diversa dal solito". Il grande publico ha imparato a conoscerla come l'Azzurra di Gomorra, moglie di Genny Savastano, ma prima ancora per Ivana Lotito c'era stata la fiction rai Terra Ribelle e il ruolo della fidanzata di Checco Zalone in Cado dalle nubi. In attesa di rivederla il prossimo autunno in una serie Sky, Romulus di Matteo rovere, dal 27 agosto sarà di nuovo in sala con il film Rosa Pietra Stella di Marcello Sonnino (distribuito da P.F.A. Films e prodotto da Parallelo 41 Produzioni, Bronx Film, PFA Films con Rai Cinema), dolorosa parabola di una madre costretta a vivere di piccoli espedienti nel sottobosco criminale tra il cuore antico di Napoli e Portici, dove vive insieme alla figlia undicenne, Maria, che rischia di perdere.
Carmela, madre coraggio: le difficoltà iniziali e il salto nel vuoto
In Rosa Pietra Stella interpreti il tuo primo vero ruolo da protagonista. Come è andata?
In realtà avevo già interpretato un ruolo da protagonista per il cinema in un film di Carlo Lizzani nel 2007. Mi sono sentita ovviamente incuriosita e lusingata dal fatto che avessero pensato a me per affidarmi la parte di Carmela. Ho letto la sceneggiatura, ma all'inizio avevo molte perplessità, a livello di comprensione narrativa molte cose mi sfuggivano. Ecco perché io e Marcello abbiamo parlato a lungo, mi ha raccontato molto della ragazza alla quale si è ispirato e mi ha fatto vedere delle immagini che sono state per me un'importante fonte di ispirazione. Piano piano ho iniziato ad avvicinarmi a Carmela fino al momento in cui ho pensato di avercela finalmente dentro e di poterle prestare qualcosa di mio. È stato un processo molto graduale, ci abbiamo messo un annetto prima di capirci completamente, ma dopo le prime reticenze soprattutto da un punto di vista di sicurezza personale, mi sono sentita pronta e sicura di farcela, così mi sono lasciata andare. Avevo paura del napoletano, mi sentivo addosso una grande responsabilità artistica, ma alla fine ho deciso di fare questo salto nel vuoto, sapevo che qualcuno mi avrebbe preso. È stato bello scoprire cose nuove di me e risorse che non immaginavo di avere, ho capito di poter sostenere anche la pesantezza artistica di un lungometraggio. Speriamo che non sia l'ultimo!
L'avvicinamento al personaggio è stato lento. Quando ti sei sentita Carmela e hai deciso di lanciarti?
Poco prima dell'inizio delle riprese. Fino a quel momento io e Marcello ci vedevamo puntualmente, mi sono anche affidata a un acting coach con cui ho lavorato molto su me stessa, sulla lettura e l'interpretazione. Prima di battere il primo ciak ho letto un'ultima volta il copione, ho rivisto gli appunti che avevo scritto e la mappatura artistica e biografica di questa donna, così quando sono arrivata sul set ho capito di aver lavorato bene e che avrei potuto dare tanto.
Cosa ti ha convinto al punto di accettare un ruolo di donna così complesso e importante?
È stata una grande sfida. Carmela sostiene l'intero film, perché non c'è una sequenza narrativa importante: accadono varie cose, la protagonista si arrabbatta in mille lavori e durante la giornata compie un'infinità di azioni diverse, ma lo snodo narrativo più importante arriva solo alla fine. Non ci si può affidare alla narrazione vera e propria, e il fatto che il racconto si basasse su una condizione esistenziale più che su una classica evoluzione di eventi, mi aveva incuriosito. Ho cercato di capire quale fosse la cifra del personaggio, una donna alla ricerca forsennata di sè nell'inconsapevolezza ancora adolescenziale di chi non sa ancora cosa vuole, come ottenerlo e cosa significhi essere madre. Ho cercato di proiettare in lei tutte queste domande e di trovare anche delle corrispondenze dentro di me, in modo da poter restituire qualcosa di vero e credibile.
Che donna è Carmela? Come la descriveresti?
È una donna che vive nell'illusione di volere essere altro da sé, ma non si conosce così bene perché non ha gli strumenti per farlo, perché per quanto sia dotata di numerose risorse non possiede i mezzi necessari a conoscere se stessa e il mondo. Non ha riferimenti nè familiari né culturali né istituzionali, quindi non sa nemmeno come si ottenga un lavoro o che cosa sia la sicurezza nella vita. Si arrangia come può, corre tutti i giorni da una parte all'altra per cercare qualcosa che possa distinguerla da tutte le altre figure di donna che appartengono al suo contesto sociale, non vuole assolutamente essere come la sorella o la mamma. In realtà ogni sua azione è altamente autodistruttiva e solo nel momento in cui si sente mancare la terra sotto i piedi, si rende conto che forse la figlia rappresenta davvero la cosa più importante che abbia mai realizzato, oltre che il riferimento affettivo fondamentale della sua vita. A quel punto capisce che è il caso di iniziare a fare la mamma e di compiere un passo in avanti, lì inizia a diventare adulta.
Hai trasferito qualcosa del tuo essere madre nella maternità di Carmela?
Nella prima parte del film la protagonista vive un rifiuto della propria maternità, non ne accetta il fallimento e continua ad avere comportamenti molto adolescenziali. Solo quando rischierà di perdere sua figlia capirà che il suo mondo è Maria e che non può fare niente che non abbia come obiettivo la sua tranquillità e sicurezza. In questo senso mi ha aiutato molto il pensiero della paura che possa succedere qualcosa ai miei figli, sarebbe un dolore infinito.
Tra Pasolini e i Dardenne
La storia si ispira a una figura reale, un'amica del regista. L'hai mai incontrata?
Non ci ho mai parlato direttamente, soprattutto per una questione di discrezione. Sapeva che Marcello aveva scritto una storia su di lei e che ne avrebbe fatto anche un film, ma stava vivendo un momento molto delicato e non ce la siamo sentita di entrare a gamba tesa nella sua vita, non volevamo essere invadenti.
Un riferimento importante a detta del regista sono le donne raccontate in Mamma Roma o in Rosetta dei fratelli Dardenne. Cosa ti è stato chiesto di fare?
Ho potuto vedere del materiale fotografico e alcuni video di vita vissuta grazie ai quali ho avuto modo di studiare le movenze, i tic comportamentali e il modo di parlare di Carmela. Solo così ho potuto capire alcune cose di lei, seppur poche. Marcello mi ha chiesto inoltre di vedere alcuni film, Rosetta dei Dardenne è stato epifanico, folgorante. Non è un caso che abbia diviso il set proprio con uno degli attori protagonisti di quel film, Fabrizio Rongione.
Per tutta la durata del film Carmela è vestita quasi sempre allo stesso modo: stesso paio di scarpe, stesso giubbotto. Èstato un aspetto importante per la sua caratterizzazione? Di chi è stata l'idea?
Ci abbiamo riflettuto un po' e abbiamo capito che sia per un fatto simbolico che di verità questa scelta poteva essere giusta. L'arco temporale del film ricopre pochi giorni, quindi è plausibile che non abbia un guardaroba così vasto, visto anche le limitate possibilità economiche e che quindi indossi una divisa quasi da combattimento. Quando esce di casa è 'militarmente' Carmela, quel giubotto e quelle scarpe la fanno sentire forte. Sono un suo tratto distintivo, che le permette di poter aggredire le cose e di poter essere all'altezza delle situazioni.
Il legame con Napoli
Anche qui come in Gomorra interpreti una donna napoletana. Sei pugliese, ma la napoletanità sembra aver caratterizzato gran parte del tuo percorso artistico. È un caso o una scelta quella di focalizzarti su questo tipo di ruoli?
È stato tutto molto casuale, ho fatto dei provini e poi fortuna ha voluto che abbiano iniziato a chiamarmi per interpretare dei ruoli in napoletano, cosa che mi fa piacere e mi onorgoglisce, sia perché sono molto legata a Napoli tanto da aver sposato un napoletano, sia perché voleva dire aver lavorato bene, essere diventata credibile. Ho fatto un lungo lavoro sul linguaggio e sui suoni, sono molto affezionata a questa lingua e la sento familiare. Azzurra e Carmela però non si somigliano affatto, come anche il loro napoletano. La prima ha una solidità differente, sa cosa vuole e come ottenerlo, Carmela invece è completamente rotta dentro e ha dei vuoti incolmabili.
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L'esperienza sul set di Romulus invece ti ha portato in una dimensione molto diversa da quella sperimentata fino a ora e perdipiù girata in una lingua prelatina creata proprio per la serie.
È stato indimenticabile, abbiamo creato qualcosa di istintivo, assoluto e irripetibile. All'inizio ero terrorizzata dalla lingua che per me era quasi irriproducibile, ma pian piano complice anche il fatto di aver studiato latino al liceo, ci ho familiarizzato, era anche divertente cominciare a capire il significato delle parole e il meccanismo di ricostruzione della lingua. Lentamente è diventato un suono un po più vicino e imparare a memoria le battute è stato meno complicato. La storia è ambientata in epoca preromana e la ricostruzione è il risultato di un grande lavoro di documentazione, anche se il materiale a disposizione è veramente poco quindi non è stato facile per gli storici e gli scenografi riprodurre tutto. È stato un tuffo nell' arcaico, a livello interpretativo ci siamo affidati a sentimenti primordiali, lavorando molto sull'istintività; parliamo di un popolo privo di sovrastrutture socio-culturali dove tutto veniva fatto in nome degli dei o delle viscere, dell'animalità.
Che tipo di donna sarai in Romulus?
Una donna molto forte, coraggiosa, istintiva e capace di fare scelte che vanno anche contro la natura delle cose.
Il ruolo per cui faresti follie?
Mi piacerebbe poter raccontare belle storie, che rilancino completamente la figura femminile e che la allontanino da certi clichè. Mi interessa esplorare il femminile il più possibile.