Ci sono storie e suggestioni che accompagnano i registi per molto tempo, spingendoli ad un costante lavoro di approfondimento. Sarà per questo che Claudio Giovannesi, dopo aver presentato il suo Fratelli d'Italia alla quarta edizione del festival di Roma nella sezione Extra, torna in concorso con un'altra opera concentrata ancora una volta sulle problematiche adolescenziali nelle periferie romane. Si tratta di Alì ha gli occhi azzurri, distribuito da BIM dal 15 novembre, che riprende la vicenda di Nader Saharan, ragazzo di origine egiziana già incontrato nel documentario di Giovannesi. In questo caso, però, il regista e lo sceneggiatore Filippo Gravina focalizzano la loro attenzione sull'integrazione e l'appartenenza culturale che, attraverso l'amore per l'italiana Brigitte, porta il protagonista verso una disorientata rivoluzione accanto ad un amico troppo abituato alla strada, creando una frattura con i principi che regolano la sua famiglia d'origine. Così, osteggiato nei suoi sentimenti dalla madre e costretto alla fuga dopo aver ferito un romeno fuori da una discoteca, il ragazzo si trova a vivere ancor più intensamente il conflitto tra la sua identità araba e le promesse di una società che continua a sedurlo. Un vicenda, questa, vissuta veramente da Nader e dai suoi genitori i quali, affidandosi alla sensibilità del regista, hanno accettato di interpretare personalmente, dando ad ogni gesto e parola un significato capace di riportare in vita il concetto stesso di neorealismo.
Qual è l'origine di questo titolo così particolare, soprattutto considerando che il protagonista si chiama Nadir ? Claudio Giovannesi: Sono stato ispirato da Profezia, una poesia scritta da Pier Paolo Pasolini nel 1962 in cui prefigurava già l'avvento di una società multirazziale. Nei suoi versi si parla proprio di popoli che vengono dal mare per deporre sulle nostre rovine il germe della Storia Antica. Inoltre, la prima volta che ho incontrato Nader indossava proprio delle lenti a contatto colorate e, ripensandoci dopo, mi è sembrato proprio una casualità interessante
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Come avete realizzato in fase di scrittura la trasformazione di persone reali in personaggi? Filippo Gravino: Abbiamo frequentato i ragazzi per settimane, seguendoli sul trenino che da Roma li riporta ad Ostia e trascorrendo con loro giornate intere. Poi, una volta raccolto tutto il materiale, abbiamo ragionato sul modo migliore per dargli la forma del racconto.
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Dalla scelta di ambientare la vicenda sul litorale romano alla natura dei personaggi, il film sembra voler omaggiare in modo particolare i ragazzi di vita di Pasolini. In che modo questi ragazzi di periferia si differenziano da quelli degli anni Sessanta? Claudio Giovannesi: Il mio non vuole essere un riferimento culturale ma un omaggio estetico e sentimentale. In modo particolare mi ha sempre emozionato lo sguardo puro con cui lui riusciva ad osservare quel mondo. Inoltre, i ragazzi sono molto cambiati. Oggi ci troviamo di fronte ad una realtà interrazziale in cui le origini si scontrano con la società dei consumi. E' esattamente quello che accade a Nader quando, nonostante l'opposizione della famiglia, sceglie di confrontarsi con il mondo attuale.
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