Carlo Verdone al Festival Internazionale del Film di Roma è di casa. E non solo perché qualche anno fa allietò il pubblico capitolino con uno dei più divertenti duetti della storia della giovane rassegna cinematografica, quello con Toni Servillo, ma perché questo è e sarà sempre il suo palcoscenico privilegiato, uno spazio protetto all'interno dell'amata città, un posto incantato dove il cinema si mostra senza sotterfugi. Ecco quindi che la presentazione nell'ambito della sezione Prospettive Italia del documentario firmato da Gianfranco Giagni e dal critico cinematografico del quotidiano Il Messaggero, Fabio Ferzetti, Carlo! acquista un valore speciale per il regista e attore capitolino, diventato per la prima volta nella carriera l'oggetto di uno studio sincero e appassionato, un lavoro brioso e divertente che ripercorre le tappe più significative del cursus honorum verdoniano attraverso interviste a collaboratori, amici e familiari, da Eleonora Giorgi alla sceneggiatrice Francesca Marciano, passando per Marco Giallini e Laura Morante, e perlustrazioni dei luoghi del cuore di Verdone. E anche questa mattina il Carlo nazionale ha dato spettacolo davanti ai giornalisti che hanno partecipato alla conferenza di rito.
"Non posso fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo se il mio amico inglese Steve non fosse venuto a trovarmi a Roma nel lontanissimo 1976 - ha raccontato il regista -. A volte nella vita succedono cose all'apparenza normalissime a cui però riesci a dare un significato ed un valore dopo. Visto che non conosceva una sola parola di italiano ho pensato bene di portarlo con me in un teatro off di Trastevere, l'Alberico. Il compianto Daniele Formica si esibiva in uno spettacolo da mimo. Era l'ideale. Alla fine dell'esibizione rimanemmo lì a cena, e poco alla volta si creò un'atmosfera giusta. Io cominciai a esibirmi, partì una voce, ne partì un'altra, finché il proprietario del locale non mi invitò a ripetere l'esperienza davanti al pubblico. Mi diede venti giorni per scrivere un monologo. Ero terrorizzato, chiesi consiglio a papà e mamma e lei mi disse, Io ci proverei Carlè". Da allora sono passati oltre trent'anni e Carlo Verdone è diventato un punto di riferimento per la nuova commedia italiana, come ben spiegato dal lavoro di Giagni e Ferzetti. "Quando mi hanno parlato del progetto mi sono intimidito, in fondo Fabio è sempre stato molto severo con me - ha rivelato -. Poi però proprio questo aspetto mi ha fatto riflettere. Se proprio lui mi ha chiesto questa cosa, vuol dire che ho fatto comunque un buon lavoro. Siamo stati subito tutti d'accordo nel non voler fare un documentario celebrativo, ma un ritratto autentico di uno che ama la gente, uno che ha più di un'anima". Aspetto questo rimarcato proprio dal regista, Gianfranco Giagni. "Abbiamo evitato le celebrazioni grazie alla generosità di Carlo - ha spiegato l'autore -. Nel documentario abbiamo lasciato anche le voci discordanti come quella del critico Goffredo Fofi secondo cui Carlo non sarebbe stato un grande regista, come non lo è stato Massimo Troisi. Poi è stato importante tirare fuori il lato nascosto di Carlo, un lato in genere mai esibito da una persona serie e riservata come lui. Ci ha messo a disposizione alcuni filmini familiari, si è messo a nudo quando ci ha aperto le porte della casa paterna, ci ha fatto sorridere quando abbiamo scoperto dalla figlia Giulia che ogni sera la obbligava a dire una preghiera per i nonni e per Jimi Hendrix". Momenti privati e intimi della vita di Verdone si mescolano quindi a quelli più noti della sua carriera, raccontata attraverso alcune delle sequenze dei film più noti come Un sacco bello, Borotalco o Compagni di scuola. "Ho fatto tanti film - ha detto -, qualcuno è venuto meglio, altri non benissimo come avevo sperato, ma anche in quel caso mi sono serviti per fare un salto in avanti. L'unica volta in cui ho avuto tanta paura è stata con Compagni di scuola. Mi portavo dietro un'eredità molto popolare e quella era una commedia d'autore".E oggi, quali sono i vizi che lo fanno ancora imbestialire? Verdone non ha dubbi. "Si somigliano tutti, c'è un'omologazione spaventosa - ha concluso -. Noto piuttosto delle patologie come la mitomania, ma anche lì, siamo stati scavalcati dalla politica. E' inutile girarci intorno, questo ci ha messo in crisi perché non sappiamo più cosa dobbiamo raccontare. Personalmente ho smesso da un po' di raccontare i tipi per parlare invece dei temi, ad esempio la difficoltà delle relazioni sentimentali in questa società dove trionfa il consumismo".