Ha sempre voluto fare l'attrice, sin da bambina, era la sua passione prima che diventasse il lavoro di una vita. Anna Bellato, attualmente nel cast di Rocco Schiavone 3, viene dal teatro, ha fatto anche televisione, ma il cinema ha una magia che non riesce ad abbandonare, così "se non sono stanca e posso scegliere. preferisco la sala ai servizi delle piattaforme on demand", ci dice. Al cinema l'abbiamo vista esordire con un corto di Gabriele Salvatores, Stella, poi è arrivato Moretti con Mia madre e il cinema folle di Gipi (L'ultimo terrestre e Il ragazzo più felice del mondo).
Di recente l'abbiamo ritrovata ne L'ospite di Duccio Chiarini e Mamma + Mamma di Karole Di Tommaso, in questa stagione invece Anna Bellato, veneta di Bassano Del Grappa trapiantata a Roma ormai, si è unita alla squadra della fiction di Rai Due tratta dai libri di Antonio Manzini, Rocco Schiavone 3. In attesa di ritrovarla al cinema, dove ha in ballo alcuni progetti ancora top secret, ci racconta la sua esperienza nei panni di Cecilia Porta, il personaggio che interpreta nella serie accanto a Marco Giallini.
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Una carriera tra la tv più popolare e il cinema dei grandi maestri
In Rocco Schiavone sei Cecilia, una madre e una donna dipendente dal gioco d'azzardo. Non è un personaggio semplice da interpretare, come ci sei riuscita?
Cecilia Porta è la madre del piccolo Gabriele, un ragazzino con cui Rocco Schiavone ha instaurato un rapporto quasi paterno; quando la incontriamo è una donna alle prese con un problema di dipendenza, non è la mamma perfetta, è un personaggio difficile da amare. Ho cercato di raccontarla nella sua umanità, nel tentativo comunque di essere una buona madre. La dipendenza dal gioco d'azzardo è una patologia, ma molto spesso le malattie che non hanno a che fare con delle analisi cliniche capaci di diagnosticare un problema nero su bianco, vengono considerate soltanto delle debolezze. In realtà è una problematica molto forte, quello che ho cercato di fare con Cecilia è stato allora non raccontarla come qualcosa di lontano; alla base credo ci sia certamente una predisposizione alla fragilità, ma potrebbe succedere a ognuno di noi. Non sono degli esseri così lontani come potremmo immaginare.
La ritroveremo nel futuro di Rocco Schiavone?
Dipende dalla penna di Antonio Manzini...
La tua dipendenza più grande?
La cioccolata! Scherzi a parte, si tratta di dipendenze molto piccole e banali. Non ho i social, però vedo molti amici dipendenti dal giudizio degli altri e dal controllo del sociale. Forse se avessi Facebook lo sarei anche io.
Perché hai scelto di starne lontano?
Mi spaventa molto il fatto che degli estranei si possano sentire autorizzati a dirmi delle cose belle o brutte che siano, forse non sono pronta ad accettarlo.
E con Giallini come è andata?
È stato un incontro bellissimo. Marco Giallini un attore di grande statura, è sempre vivo, pieno di stimoli, è una di quelle persone con cui sei felice di poter lavorare. È un attore molto generoso, fa squadra. Con lui avevo diverse scene drammatiche, non perdeva mai il ritmo o la tristezza che la scena richiedeva in quel momento, dovevi stargli dietro perché è una belva, avevo la sensazione di stare sugli aghi.
Che rapporto hai con la serialità?
Ho avuto una prima fase di grande innamoramento, per esempio Love o Breaking Bad. Ora faccio più fatica a cominciarne di nuove, è come un rapporto di coppia: sai già che sarà lungo, in questo momento invece mi piace più concentrarmi sui film, che hanno un tempo e una storia meno sbrodolati nel tempo.
Cosa guardi?
Quello che mi piace vedere è anche ciò che alla fine mi piace fare. Ho bisogno di guardare storie che si portino dentro vari aspetti, sfaccettate, a più dimensioni, e non intendo autoreferenziali o di difficile comprensione: parlo di storie che portano avanti varie linee e dove i personaggi non siano solo bianchi o neri. È quello che poi mi è piaciuto di Rocco Schiavone.
Hai avuto la possibilità di lavorare con grandi maestri come Moretti, Salvatores, Sollima. Sono registi molto diversi tra loro. L'insegnamento più grande?
Con Gabriele Salvatores fu un'esperienza breve, perché si trattava di un corto, Stella, ovviamente c'era la soggezione di lavorare con un premio Oscar, ma ero anche più piccolina. I grandi ti insegnano le piccole cose, ad esempio in Stella c'era una scena in cui la madre compra un regalo a sua figlia prima che muoia in un incidente: lui voleva che lo raccontassi togliendo qualsiasi aspetto di mortalità imminente, come nella vita di tutti i giorni dove tutto succede senza preavviso. Non anticipare ciò che verrà dopo, è un insegnamento che ricordo ancora oggi.
Moretti è Moretti, è un regista molto attento, puntuale, fa ripetere le scene tante volte, cosa che mi rende anche più tranquilla, perché nel momento in cui dirà che è buona, vorrà dire che lo è veramente; anche lui mi disse di non raccontare una sola cosa, ma tante.
Dal teatro al cinema alla televisione. Qual è la tua comfort zone?
Sono linguaggi molto diversi. Al teatro hai tutto il tempo di aggiustare, provare e creare qualcosa, al cinema è un tuffo; non ho esattamente una zona in cui mi sento più a mio agio rispetto a un'altra, ciò che conta sono per me la storia e i personaggi che andrò a raccontare, è importante che abbiano una complessità, che si portino dentro il chiaro e lo scuro.
Gipi su Il ragazzo più felice del mondo: "La sindrome di Peter Pan? Ci si sta da dio"
L'amicizia con Gipi e l'amore per le storie fantastiche
Avevi lavorato per la prima volta con Gipi ne L'ultimo terrestre, nel 2018 lo hai incontrato di nuovo ne Il ragazzo più felice del mondo. Una coincidenza?
Per L'ultimo terrestre avevo fatto un provino molto sui generis, come Gipi (Gianni Pacinotti). Me lo fece disteso per terra perché voleva vedere le cose da una angolatura diversa; quello fu il mio primo film con Gipi. Amo il suo mondo fatto di follia e poesia, uno dei miei sogni è quello di poter raccontare delle storie fantastiche, che si stacchino dal reale. Ne è nata un'amicizia bellissima e così mi ha chiamato anche per fare Il ragazzo più felice del mondo.
Cosa nel tuo lavoro ti mette ancora in difficoltà?
L'attesa, il buco tra un lavoro e l'altro, lo sento molto e difficilmente riesco a gestirlo. Faccio fatica a fare i conti con quella sensazione di vuoto e di precarietà.
Il personaggio che aspetti da una vita?
Te lo saprò dire quando arriverà!
Ti piace rivederti?
Sul set non mi rivedo mai, a meno che non me lo chieda il regista. Dipende dal momento della vita in cui mi trovo! Di solito quando mi rivedo provo a essere meno critica di quanto in genere non lo sia verso me stessa, ma cerco di capire cosa migliorare. È uno strumento utile per imparare qualcosa, se mi riguardo non sono certo quella che si dice: "Quanto sei brava!"
Mi sembri molto critica verso te stessa...
Nel tempo mi sono ammorbidita, prima lo ero molto di più.
Se la tua vita fosse una piece teatrale?
Una commedia dolce.