May beauty be before me. May beauty be behind me. May beauty be above me. May beauty be below me. May beauty be all around me.
Volando verso il sole
Partiamo dalla fine. Dalla corsa liberatoria di Blue Monroe (Jon Seda), galeotto adolescente agli sgoccioli della propria vita, fra le rocce del Grand Canyon, in Arizona, nelle acque del "lago sacro". È la sequenza finale di Verso il sole e l'ultimo capitolo di quel libro, troppo breve eppure densissimo, che corrisponde al cinema di Michael Cimino. Un libro che si è chiuso, senza molto clamore, esattamente vent'anni fa: dopo quel film, diventato retrospettivamente una sorta di "testamento spirituale", Cimino non avrebbe infatti più rimesso piede su un set.
Negli scorsi anni, durante questo ritiro autoimposto, non era facile riconoscere colui che quattro decenni fa, e per così poco tempo, era stato uno dei più apprezzati registi attivi a Hollywood. Il viso, una volta pieno e coriaceo, si era fatto innaturalmente contratto e smagrito, mentre lo sguardo rimaneva perennemente celato dietro gli occhiali scuri. Ma Cimino, che odiava la stampa e si era allontanato in maniera recisa dall'attenzione mediatica, di recente non aveva fatto mancare la propria presenza nelle occasioni più importanti, come il Pardo d'Onore ricevuto al Festival di Locarno appena un'estate fa: una delle frequenti testimonianze della progressiva rivalutazione dell'opera di uno dei cineasti più rappresentativi e molto spesso sottovalutati della New Hollywood, probabilmente il più sventurato.
Perché Michael Cimino, nato a New York, in una famiglia italoamericana, il 3 febbraio 1939 (o almeno così si presume), era soprattutto questo: un outsider di Hollywood, portato in trionfo sul finire degli anni Settanta grazie a quel capolavoro che risponde al titolo de Il cacciatore, ma poi caduto in disgrazia con tragica rapidità ed esiliato da uno studio system sempre più refrattario a concedere autonomia ai grandi autori emersi nel corso dei Seventies. Non a caso, del resto, gli anni Ottanta saranno un decennio difficile anche per altri suoi colleghi illustri: da Francis Ford Coppola, costretto ad autoprodursi andando incontro alla bancarotta, a Robert Altman, rifugiatosi nel circuito indipendente per poi tornare al successo all'inizio dei Novanta, passando per Hal Ashby, precipitato in una spirale autodistruttiva senza uscita.
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Dal canto suo Cimino, come e forse più di Coppola, era un regista che non accettava compromessi, disposto a tutto pur di portare avanti la propria poetica cinematografica nel solco di un'epica fuori dal tempo, che si trattasse di cimentarsi con il poliziesco o con il western. E sull'onda della sua scomparsa vogliamo rendergli omaggio ripercorrendo le fasi salienti di una filmografia ridotta nella quantità, ma capace di elevarsi ad altezze vertiginose: volando verso il sole, fino ai cancelli del cielo...
Il debutto con Clint Eastwood
L'ex ragazzo ricco di Long Island, studente modello nelle scuole private ma attratto dalla vita borderline dei teenager nelle strade di Brooklyn, si specializza in grafica, architettura e scenografia, per poi trasferirsi a Madison Avenue e diventare un mago degli spot pubblicitari (siamo nei pieni anni Sessanta, esattamente nell'epoca di Mad Men). Ma nel 1971, all'alba di quel decennio cruciale e irripetibile per il cinema americano, la sua passione per le arti visive e la sua cura maniacale per i dettagli lo portano a Los Angeles, dove Cimino inizia a scrivere sceneggiature, fin quando un suo copione non attira l'interesse di Clint Eastwood: nel 1973 Cimino firma, insieme a John Milius, lo script di Una 44 Magnum per l'ispettore Callaghan, secondo capitolo della saga di Dirty Harry, mentre un anno più tardi è lo stesso Eastwood a patrocinare il suo esordio alla regia.
Thunderbolt and Lightfoot, distribuito in Italia come Una calibro 20 per lo specialista per puntare ai fan dell'ispettore Callaghan, è un anomalo esempio di gangster movie, in cui l'influenza del cult Butch Cassidy è declinata in un crudo ritratto della provincia americana. Immerso nei desolati paesaggi del Montana, il film è costruito sull'avventura on the road del rapinatore John Doherty (Clint Eastwood), detto l'Artigliere, e il ladro Lightfoot (in italiano Caribù), impersonato da un carismatico Jeff Bridges, candidato all'Oscar per il ruolo. Accolto da un ottimo responso al botteghino, Una calibro 20 per lo specialista è una pellicola su commissione che però già mette in luce alcuni dei temi centrali della produzione di Cimino, come l'amicizia virile (topos ricorrente del western) e la ricerca di una figura paterna.
God bless America: Il cacciatore
Michael Cimino impiega quattro anni per realizzare il suo secondo film, ma il risultato è una delle opere più straordinarie che il cinema statunitense abbia prodotto non solo negli anni Settanta, ma nella sua intera storia. In un'America in cui la ferita del Vietnam è ancora vivida e dolorosa, Cimino mette in scena il dramma del conflitto in una pellicola in cui lo scrupoloso realismo dell'affresco sociale - ovvero la descrizione della comunità di operai delle acciaierie di Clairton, una cittadina della Pennsylvania, molti dei quali di origine russa - si fonde con suggestioni allegoriche (fra cui la meravigliosa sequenza della caccia al cervo, fra le pagine più sublimi del cinema del decennio); in cui gli elementi chiave del racconto di formazione e di una metaforica perdita dell'innocenza si riflettono dal piano individuale dei singoli comprimari a quello collettivo di una nazione in lutto, come sintetizzato con suprema emozione nella scena finale, in cui i superstiti si riuniscono per intonare in coro God Bless America.
Oltre ad un gigantesco Robert De Niro nella parte di Mike Vronsky, personaggio focalizzatore del film, Cimino può contare su un cast in stato di grazia: dal compianto John Cazale, già gravemente malato e stroncato da un cancro subito dopo la fine delle riprese, alla fidanzata di Cazale, una semi-esordiente Meryl Streep, qui nella sua prima prova da standing ovation (e alla prima candidatura all'Oscar) nei panni di Linda, la ragazza di cui Mike è segretamente innamorato, fino ad arrivare a un magnetico Christopher Walken nel ruolo di Nick Chevotarevich, al centro della scena più celebre e sconvolgente della pellicola, quella della famigerata roulette russa. Walken vincerà l'Oscar come miglior attore supporter, uno dei cinque premi conquistati da Il cacciatore, fra cui le statuette a Cimino per il miglior film e la miglior regia. E se il cineasta non rimane esente da accuse di sciovinismo, ad una lettura più approfondita Il cacciatore risulta piuttosto l'elegia di un paese traumatizzato, nonché un magistrale esempio della poetica profondamente umanistica del suo autore.
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Il mito della Frontiera in un capolavoro maledetto: I cancelli del cielo
Forte della consacrazione per Il cacciatore, Michael Cimino alza ancora di più il tiro, imbarcandosi nel progetto che sancirà, allo stesso tempo, l'altro vertice assoluto della sua carriera e il suo più drastico fallimento, nonché un punto di non ritorno per il sistema produttivo dell'industria hollywoodiana. Da lui stesso sceneggiato, prodotto e diretto, e frutto di una lavorazione a dir poco travagliata, I cancelli del cielo si risolve in un disastro inaudito per la United Artists, che vede il budget del film lievitare oltre i quaranta milioni di dollari a causa dell'ambizione senza freni di Cimino e dei tempi di riprese prolungati ben oltre il calendario previsto. Con una versione iniziale di oltre trecentoventi minuti, ridotti a tre ore e quaranta per le pressioni della distribuzione (in seguito ne uscirà un'ulteriore edizione, lunga 'appena' due ore e mezza), I cancelli del cielo debutta finalmente nel novembre 1980. La critica, per la maggior parte, è spiazzata da questo western atipico quanto mastodontico, ma è il pubblico a sancire l'insanabile insuccesso del film: solo tre milioni e mezzo di incasso negli USA, un tonfo sotto il quale soccomberà tutta la United Artists.
Eppure, a dispetto di una recezione tanto contrastata, I cancelli del cielo vedrà la propria reputazione crescere con il tempo, fino a veder riconosciuto a tutti gli effetti quello statuto di capolavoro che merita pienamente (benché si tratti pur sempre di un "capolavoro maledetto"). L'epopea di James Averill (Kris Kristofferson), ufficiale dell'esercito statunitense nel Wyoming del 1890, il suo amore per la prostituta Ella Watson (Isabelle Huppert), la feroce rivalità contro l'amico ed ora avversario Nathan D. Champion (Christopher Walken) e i contrasti tra i latifondisti della Contea di Johnson e le comunità di immigrati europei, destinati a sfociare in un conflitto sanguinoso, sono narrati da Cimino con un afflato epico degno del più splendido western del cinema classico, ma con un vibrante senso di modernità che trapela da ogni scena, in quello che costituisce un ideale canto funebre del mito della Frontiera; mentre la fotografia del maestro ungherese Vilmos Zsigmond conferisce un romanticismo dirompente ad un'opera ammantata di cupa poesia.
Tramonto di un'epica: da L'anno del dragone a Verso il sole
Il flop de I cancelli del cielo apre il periodo più difficile per la carriera di Michel Cimino, ostracizzato dagli studios: nel 1984 viene ingaggiato dalla Paramount per dirigere Footloose, ma è licenziato prima dell'inizio delle riprese, e la stessa sorte gli tocca quell'anno con Il Papa di Greenwich Village. In compenso, grazie al sostegno di Oliver Stone, il quale adatta insieme a lui l'omonimo romanzo di Robert Daley, Cimino riesce a convincere Dino De Laurentiis a finanziare il suo nuovo film, L'anno del dragone, un fiammeggiante poliziesco che vede Mickey Rourke nella parte di Stanley White, capitano della polizia di New York impegnato a combattere un'organizzazione criminale cinese che fa capo a Joey Tai (John Lone), giovane nuovo boss della Triade. Thriller metropolitano estremamente sottovalutato alla sua uscita, in cui l'epica western è virata verso un neo-noir di impietosa violenza, L'anno del dragone viene accolto con freddezza dalla critica e dal pubblico, ma è in realtà uno dei migliori e più avvincenti polizieschi del decennio.
Il sostanziale flop de L'anno del dragone, incapace di recuperare i costi di produzione, sarà il preludio ai due film che, nell'arco di pochi anni, porranno il sigillo sul declino professionale del regista: Il siciliano (1987), trasposizione di un libro di Mario Puzo dedicato al bandito italiano Salvatore Giuliano (un improbabile Christopher Lambert), si risolve in una battaglia legale fra Cimino e la 20th Century Fox a causa dei ritardi nella lavorazione ed è un flop senza appello; Ore disperate (1990), un thriller con Mickey Rourke, Anthony Hopkins e Mimi Rogers, remake del film omonimo di William Wyler del 1955, passa pressoché inosservato e costa a Cimino un lungo allontanamento da Hollywood. È solo nel 1996 che il regista tornerà sulla scena, presentando al Festival di Cannes il suo "canto del cigno", nonché uno dei suoi film più personali e coinvolgenti: Verso il sole, il ritorno al genere on the road, quasi in una sorta di perfetta "chiusura del cerchio" rispetto all'esordio di oltre vent'anni prima.
L'ultimo viaggio del sedicenne Blue, condannato per aver ucciso il patrigno violento, malato terminale di cancro e protagonista di una folle evasione accanto all'oncologo Michael Reynolds (Woody Harrelson), preso in ostaggio dal ragazzo, offre una delle più compiute espressioni di quell'umanesimo alla base di tutto il cinema di Cimino. Le fasi della disperata 'fuga' di Blue, il legame di fiducia e di solidarietà che si instaura giorno dopo giorno fra lui e Michael e i significativi incontri lungo il tragitto - fra cui quello con la stravagante astrologa hippie interpretata da Anne Bancroft - scandiscono le varie tappe di un film di cristallina emozione. Commovente senza mai sfiorare la retorica, Verso il sole è un'ode appassionata alla solidarietà e alla bellezza come ultimo baluardo contro il malessere quotidiano e il dolore dell'esistenza, suggellato da un epilogo indimenticabile: "Possa la bellezza essere davanti a me, possa la bellezza essere dietro di me, possa la bellezza essere sopra di me, possa la bellezza essere sotto a me, possa la bellezza essere intorno a me".