Dopo la proiezione di Franny, accolto da applausi e occhiate fibrillanti entra in sala Richard Gere, con quel suo sguardo ironico e quell'aplomb che lo differenzia così tanto dal suo personaggio: eccessivo, in balìa di squilibri dettati da droghe e sensi di colpa. Il film, che uscirà in sala il 23 dicembre in 150 copie, non solo ruota attorno al filantropo milionario Franny, eccentrico già nel nome, ma coincide perfino nel titolo con questo memorabile personaggio sopra le righe. Quindi l'incontro sul film non può non orbitare a sua volta attorno a lui e alla complessità della natura umana.
Personaggi controversi e violenza nella vita vera
Per quale ragione nei suoi ultimi film, come questo e Time Out of Mind, ha scelto di interpretare personaggi così duri e drammatici?
Beh, i ruoli più difficili sono i più divertenti. Inoltre preferisco le produzioni indipendenti e a basso costo: anche per Oppenheimer Strategies è stato così. Ma soprattutto è la vita stessa a non essere semplice, e qualunque personaggio io interpreti, che magari all'apparenza può sembrare semplice, non lo è mai. Anche in Time Out of Mind il mio personaggio non ha un lavoro e per tanti versi è simile a Franny.
Dato il suo interesse per la sfera politica, cosa pensa delle posizioni adottate dagli americani dopo la strage di San Bernardino?
Negli Stati Uniti come sappiamo è molto facile possedere armi, e ci si aspettava che dopo un massacro del genere ci sarebbe stata una sollevazione popolare per porre un freno a tale fenomeno. Invece si è verificato esattamente il contrario: la gente diceva che era necessario difendersi e c'è stato un incremento della vendita di armi. Io penso che dovremmo risalire alle radici di questi episodi tremendi e cercare di capire prima di tutto perché avvengono. Ovviamente è necessario punire, ma è inutile incoraggiare lo spirito di vendetta, la presenza di vigilanti privati per le strade: dovremmo piuttosto adottare la saggezza e interrogarci di più.
Tornando al film, cosa ha modificato della sceneggiatura originale? Inoltre Franny è un personaggio eclettico, dalle molte facce: quale personalità è stata più difficile da interpretare?
Riguardo alla sceneggiatura, credo di non aver mai lavorato in un film dove il copione è rimasto invariato dall'inizio alla fine: sul set si affacciano continuamente elementi e stimoli che fanno cambiare qualcosa del progetto originario. Dal film scritto a quello girato e infine a quello montato, le modifiche possono subentrare in varie fasi e possono essere radicali o minime. Spesso è il produttore che decide quando è ora di stringere i tempi per far uscire il film. Riguardo ai molti aspetti del mio personaggio, la sceneggiatura avrebbe potuto prendere diverse direzioni: Franny poteva diventare un vero e proprio stalker, o si poteva insistere di più sulla sua dipendenza dai farmaci. Io però volevo che il film avesse molte sfaccettature, e anche una dose di humour. Del resto tutte le situazioni, perfino le più tragiche, nascondono dell'umorismo. Un altro elemento misterioso della personalità di Franny è il suo orientamento sessuale: non è chiaro se sia gay o etero; noi non volevamo specificarlo perché irrilevante ai fini della storia, e volevamo assolutamente evitare di mettere etichette o d'incorrere in cliché.
Italiani, che gran casino
Com'è stato lavorare con Andrew Renzi nella sua prima esperienza di lungometraggio?
Andrew aveva già esperienza con la macchina da presa avendo realizzato diversi cortometraggi; sì, era il suo primo film e per me invece non era proprio il primo (ride). Ogni tanto quindi si rivolgeva a me per dei consigli, ed è nato un bel rapporto, siamo diventati amici e siamo fieri del prodotto. Ma la mia fiducia è aumentata perché sapevo che stava raccontando una storia che conteneva qualcosa di molto personale (mi successe un'esperienza simile con La frode). In questo caso Andrew conosceva già bene la casa, il personaggio, la città, e quindi era come se il film già ce l'avesse dentro. Inoltre era affiancato da un team molto preparato.
Lavorerebbe mai in Italia? Se sì, con quali registi?
Sì, a me piace il "casino" che provocate (ride), per questo torno sempre con gioia in Italia. Sono molto aperto a lavorare qui, ma le ragioni per cui si lavora a un film sono svariate, tanti gli elementi per cui si crea questa fantastica alchimia, e qui purtroppo ancora non è avvenuto. Mi piacerebbe girare un film con Bernardo Bertolucci, ma anche con tanti altri registi italiani. Chissà.
Tra personaggi realmente esistiti e cinema mainstream
Questo film parla abbondantemente di sensi di colpa. A lei è mai capitato di provare verso qualcuno (per esempio verso i colleghi con meno successo) dei sensi di colpa? E se le è capitato, come li gestirebbe?
Sarà capitato a ognuno in questa sala di provare dei sensi di colpa (ride dopo lo spaesamento iniziale). Sicuramente Franny è un personaggio piuttosto misterioso, ma siamo tutti complessi. Il film conserva qualcosa di misterioso perché non è immediatamente ravvisabile la linea cause-effetti. A me non piacciono i film in cui a un certo punto lo spettatore può dire: "Ecco la ragione di tutto!". Io credo che quando nasciamo non siamo tabula rasa, abbiamo degli imprinting, e questo rende tutto ancora più complicato. Anche in Time Out of Mind c'è un mistero, ma io credo che ci avviciniamo molto di più alla realtà se rimaniamo nel mistero.
In un mercato che privilegia il cinema mainstream, dove tutto è spiegato fin nei dettagli, è più difficile trovare finanziamenti per un film del genere?
La questione del budget da noi è un po' diversa rispetto a quella italiana: in America film da cinque, sei, sette milioni di dollari sono economici. Il low budget permette tempi veloci: Franny è stato girato in trentuno giorni, Time Out of Mind in ventuno. Questo consente di prendere decisioni rapide e di non perdersi dietro ai tecnicismi, mantenendo una spontaneità recitativa che a me piace. Ormai sono molto aperto a partecipare a film a basso costo: è un modo di lavorare che apprezzo.
È assurdo vedere somiglianze tra il personaggio di Franny e Howard Hughes?
No, è giusto, così come ci sono somiglianze con Ernest Hemingway. Nella scena in cui Franny è nella vasca da bagno con gli occhiali e l'aria disfatta mi sono ispirato proprio a una foto di Hemingway, che nell'ultima fase della sua vita si lasciò andare. Anch'io ho dovuto farlo per interpretare Franny, che vive da cinque anni in una stanza d'albergo mangiando quello che gli portano in camera.
Un incontro auspicabile e la magia dell'esperienza cinematografica
Nel programma di Fabio Fazio ha dichiarato che auspicherebbe un incontro fra il Papa e il Dalai Lama. Di cosa dovrebbero parlare?
Di come aiutare gli abitanti di questo pianeta, ponendo un freno a questa follia dilagante, e di come rendere gli uomini più saggi, meno violenti. In questo momento il Papa e il Dalai Lama sono forse le due personalità più rispettate del mondo: rappresentano due culture diversissime, ma potrebbero dialogare con grande naturalezza su come migliorare il nostro pianeta.
Quali storie sta cercando come attore in questo momento, e magari approderanno in tv date le nuove opportunità delle piattaforme televisive statunitensi?
Sin dagli esordi della mia carriera non ho mai pianificato nulla: tutte le mie scelte, buone e cattive, le ho prese istintivamente. Ci sono sceneggiature a cui tengo molto (come Time Out of Mind), e altre che arrivano all'improvviso e di cui m'innamoro: e come in un amore, è difficile capirne le ragioni, ma non vedi l'ora di farne parte. Il novanta per cento dei copioni mi è arrivato all'improvviso: io stavo seguendo una direzione e il copione è giunto da quella opposta. L'unico principio che seguo è il rispetto della complessità umana, e vale anche per le commedie romantiche. Riguardo alla televisione, io ho una certa età, ho iniziato a recitare negli anni Settanta e sono legato all'esperienza cinematografica. La decisione di uscire di casa, entrare in una sala buia e condividere il film con tanti estranei è per me qualcosa di magico e impagabile. È vero che la tv americana (HBO, Netflix, Starz ecc.) offre prodotti straordinari, e che le storie su personaggi complessi sono destinate sempre più a poche sale piccole o alla tv, ma l'esperienza cinematografica per me è irrinunciabile.