Riabbracciare Parigi, la recensione: ricucire gli strappi

La recensione di Riabbracciare Parigi, il film di Alice Winocour che rielabora il dramma degli attentati del 2015 a Parigi.

Riabbracciare Parigi, la recensione: ricucire gli strappi

Ricomporre la memoria, suturare le ferite, ridefinire i contorni e ricostruire le identità perdute. È lo sforzo coraggioso e lucido di Alice Winocour, come leggerete in questa recensione di Riabbracciare Parigi, regista francese che prova a raccontare gli attentati del 2015 a Parigi con un dramma esistenziale, che se da un lato fa leva sul concetto di stress post traumatico, dall'altro ruba a piene mani da un cinema fatto di visioni, cortocircuiti e disconnessioni. Un film di fantasmi e brandelli di ricordi che si agitano come schegge impazzite nella mente dei sopravvissuti, solo l'ultimo di una serie di racconti che, da Un anno, una notte di Isaki Lacuesta a November di Cédric Jimenez, cercano di ricomporre sul grande schermo un trauma collettivo. Dopo il passaggio alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes nel 2022, il film arriva in sala il 9 novembre grazie a Movies Inspired.

Una storia di rinascita e ricostruzione

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Riabbracciare Parigi: un frame del film

Riabbracciare Parigi è una storia di "ri-torni", "ri-composizioni", "ri-definizioni": la protagonista Mia e i personaggi che le ruotano intorno si ri-trovano nel luogo degli attentati e provano a ri-disegnare un'esistenza che per tutti si divide in un prima e un dopo quella tragica notte.
La stessa Alice Winocour (per chi non lo sapesse è la sceneggiatrice del magnifico Mustang) prova probabilmente con questo film a rimarginare un suo personalissimo trauma, visto che Riabbracciare Parigi nasce dai ricordi del fratello sopravvissuto agli attacchi del Bataclan, la sera del 13 novembre 2015. La regista racconta di aver continuato a sentirlo via SMS mentre era nascosto, fino a quando non le ha chiesto di smettere di chiamarlo per evitare che gli attentatori potessero individuarlo. Sa bene Winocour quanto la memoria possa ricostruire e demolire e per questo nell'impossibilità di rappresentare un'esperienza simile, si affida all'unico linguaggio possibile: quello delle allucinazioni di Mia. La dimensione onirica è la sola che possa tentare di "mostrare" gli eventi senza correre il rischio di tradire il racconto di chi li ha vissuti sulla propria pelle. Mia è una di loro: è una donna indipendente, fa l'interprete dal russo per la radio in cui lavora, ha un compagno Vincent che fa il chirurgo e una vita, si direbbe, appagante almeno fino alla sera del 13 novembre.

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Riabbracciare Parigi: una scena

Sorpresa dalla pioggia a bordo della Triumph che la porta in giro per le strade parigine, trova riparo in una brasserie, L'étoile d'or. Giusto il tempo di un calice di vino e che la penna con cui è intenta a scrivere su un taccuino le esploda tra le mani macchiandole di inchiostro e costringendola ad andare in bagno, poi il buio: di quella mattanza Mia ricorda chiaramente solo gli attimi precedenti e poi quelli in cui è a terra a pancia in giù e può vedere solo i piedi degli assalitori. Se la caverà con una ferita su un fianco, almeno quella solo fisica, ma tre mesi dopo è ancora incapace di ritornare a lavoro, ha lasciato casa e fidanzato e si è traferita in quella di un'amica. Con l'aiuto di un gruppo di sopravvissuti che ha deciso di tornare nel luogo della mattanza e con i soli ricordi confusi e frammentari dell'accaduto, decide di scavare nella propria memoria per ricostruire una nuova se stessa, ma soprattutto per ritrovare la persona (un cuoco senegalese) che quella notte l'ha salvata stringendole la mano.

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Il meritato Cesar a Virginie Efira

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Riabbracciare Parigi: un momento del film

Dettagli, immagini sfocate, ricordi indistinti e piccoli gesti improvvisamente carichi di significato si sovrappongono a un ritratto estremamente realistico di Parigi: la regista la inquadra dall'alto oppure si vi immerge calandosi tra i suoi rumori, i vicoli piovosi, i venditori ambulanti ai piedi della torre Eiffel o tra gli invisibili nelle cucine delle brasserie, "se malesi, senegalesi e srilankesi scioperassero, non mangerebbe nessuno a Parigi". È l'immaginario nel quale Winocour tratteggia la figura di Mia, per poi scaraventarla in mezzo a una girandola di personaggi quasi fantasmagorici: una ragazza che nell'attentato ha perso i propri genitori, Sara (Maya Sansa) che nel frattempo è diventata presidente dell'associazione, un affascinante manager (Benoît Magimel) che ha dovuto affrontare ben cinque interventi alla gamba, una donna che la accusa di essersi chiusa durante l'attentato nel bagno del ristorante impedendo agli altri di entrare a nascondersi e una giovane cameriera de L'étoile d'or che in quelle ore ha persino baciato un ragazzo australiano, probabilmente un turista che si era ritrovata accanto mentre cercavano riparo dalla follia degli aggressori.

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Riabbracciare Parigi: un'immagine del film

Sopravvissuti che provano a riprendersi dal trauma ritrovando oggetti persi negli attacchi o cercando informazioni sulle persone con cui hanno condiviso anche solo uno sguardo o una stretta di mano in quegli attimi di terrore. Winocour riesce a restituirne lo smarrimento insieme alle suggestioni di un limbo in cui le zone grigie si moltiplicano e le certezze cedono il passo a luoghi remoti della memoria, merito di una sceneggiatura solida e misurata e di interpretazioni impeccabili. Non sorprende che il ruolo di Mia sia valso a Virginie Efira un Cesar: lo sguardo granitico, spersonalizzato, immobile, perso in un territorio indefinito tra la realtà e le distorsioni del post traumatico. Un film di contorni che sfumano e racconti confusi, di rinascite, ripartenze e ricuciture necessarie nel processo ancora in atto di ricomposizione della memoria collettiva.

Conclusioni

Come ribadito nella recensione di Riabbracciare Parigi, la regista francese Alice Winocour ci regala un film che diventa coraggiosamente occasione per una rielaborazione del trauma collettivo attraverso il faticoso cammino di rinascita dei sopravvissuti. L'evento traumatico è quello degli attentati che nel 2015 colpirono Parigi. Il merito è di una narrazione che tra dramma esistenziale e visioni oniriche, riesce nell'ardua impresa di ricomporre la memoria, suturare le ferite, ridefinire i contorni e ricostruire le identità. Menzione speciale per il talento camaleontico di Virginie Efira.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • L'eclettica Virginie Efira, che anche questa volta si mostra all'altezza del ruolo affidatole conquistando un Cesar.
  • Alice Winocour ricompone un trauma collettivo attraverso un dramma intimo sospeso tra le inquietudini dello stress post-traumatico e un cinema fatto di visioni, cortocircuiti e disconnessioni.
  • Il ritratto estremamente realistico di Parigi, le sue strade, la pioggia battente, le brasserie.

Cosa non va

  • Chi si aspetta un racconto convenzionale potrebbe non gradire.