C'è un momento in Rez Ball di Sydney Freeland in cui capiamo di essere davanti a un ottimo film. L'allenatrice, nello spogliatoio, comunica alla squadra che il giocatore simbolo, nonché capitano, si è appena tolto la vita. La camera della regista si allarga, tenendo la coach (personaggio eccezionale, di cui vi parleremo più avanti) al centro della scena: si accovaccia lentamente, tenendo lo sguardo all'altezza degli atleti, sconvolti. Una misura del dolore colmata alla perfezione, in un momento di grande cinema.
Cinema, nonostante Rez Ball, dopo il passaggio al Toronto Film Festival, arrivi in streaming su Netflix. Non un'opera original, bensì acquisita nonché prodotta nientemeno da LeBron James con la sua SpringHill Company, fondata nel 2020 e focalizzata sul raccontare, ovviamente, storie sportive, e che abbiano - come dimostra il film della brava Sydney Freeland - un certo riverbero identitario (per esempio, c'è l'inedito Black Ice, documentario che esplora il razzismo nell'hockey su ghiaccio).
Rez Ball: chiedi chi erano Chuska Warriors
La vera protagonista di Rez Ball è la squadra liceale dei Chuska Warriors del New Mexico (no, non esiste, ma c'è una tale cura scenografica che sembra vera), composta da nativi americani, che ha l'obbiettivo impossibile di vincere il campionato statale, puntando ad un torneo ad eliminazione diretta. Una sola vittoria su nove partite, però, non è un buon biglietto da visita. A peggiorare, di netto, le cose, il suicidio del giocatore più forte, Nataani (Kusem Goodwind).
In qualche modo, l'allenatrice Heather (interpretata da una splendida e tostissima Jessica Matten) cerca nel team una sorta di rivalsa al dolore, affidando la squadra a Jimmy (Kauchani Bratt), miglior amico di Nataani. In qualche modo, sarà proprio lo spirito e la cultura Navajo ad accompagnare la risalita dei Warriors verso la consapevolezza, la maturazione e, solo in secondo luogo, verso la vittoria.
Materiale umano e geografico per un ottimo sport movie
Dunque è chiaro: Rez Ball, ispirato dal romanzo Canyon Dreams del giornalista Michael Powell, è cinema sportivo fino al midollo. Lo è nelle svolte, nella caratterizzazione, nell'enfasi, nella retorica, nel messaggio, tanto sociale quanto politico, se poi al centro c'è una comunità Navajo, con l'elemento cardine dell'identità, in qualche modo perduta e poi ritrovata. Un'adiacenza pressoché perfetta, e supportata dalla sceneggiatura adatta dalla Freeland insieme a Sterlin Harjo, filmmaker appartenente allo Stato Seminole dell'Oklahoma, e già regista di Reservation Dogs, altro titolo che illumina la cultura e la quotidianità di una riserva indiana.
In questa direzione, il film di Sydney Freeland sfrutta al meglio - nonostante una lunghezza ingombrante - il materiale umano, agganciandolo ad un panorama suggestivo, in cui la luce ed il vento sono la scenografia naturale di una vicenda che rielabora l'idea di squadra, rafforzata dalle profonde radici di una comunità riassunta tanto in Jimmy quanto nella coach Heather, personaggio chiave dal profilo risoluto ma non per questo poco emotivo (una donna nativa allenatrice di una squadra di basket maschile, sfida tutt'altro che semplice). Più in generale, Rez Ball è la dimostrazione di quanto lo sport sia viatico perfetto, esaltando lo storytelling e, di conseguenza, esaltando l'emozioni propedeutiche per la riuscita di un film. Un basket drama che ruota attorno al concetto di appartenenza e quindi di casa, tra le suggestioni geografiche di una terra magica, sospesa tra le nuvole, la polvere e i fantasmi degli antenati guerrieri.
Conclusioni
Rez Ball è un ottimo esempio di quanto il cinema sportivo sia un genere capace di raccontare al meglio una storia dalle molteplici letture. Nel film di Sydeny Freeland, arrivato su Netflix, una squadra di basket di nativi americani diventa simbolo di identità, di unione, di perseveranza, di appartenenza. Il valore della narrativa al massimo dell'espressività, seguendo i canoni legati al basket. Grande location e grande cast. Su tutti la sorpresa Jessica Matten.
Perché ci piace
- Il cast, su tutti una tostissima Jessica Matten.
- Lo storytelling sportivo.
- La sceneggiatura agganciata all'identità Navajo.
- La cura dei dettagli.
Cosa non va
- Dura probabilmente troppo: quasi due ore.