Uno dei grandi autori attesi al varco nella 67. selezione competitiva del Festival di Cannes, Nuri Bilge Ceylan fa succedere allo splendido C'era una volta in Anatolia un film dalla forte componente teatrale, che si svolge quasi tutto in interni e che si sviluppa in articolate, estenuanti conversazioni in cui si sviscerano i rapporti interpersonali e gli universi morali dei personaggi.
Il protagonista di Il Regno d'Inverno - Winter Sleep, Aydin, ex attore ritiratosi dalle scene per gestire lo scenografico hotel lasciatogli dal padre, grande proprietario terriero, nel cuore inclemente dell'Anatolia, attende l'inverno nei suoi confortevoli quartieri, delegando ad avvocati e faccendieri i compiti più antipatici e gravosi, come riscuotere l'affitto dalle povere famiglie del villaggio, e pignorare i loro umili averi.
Prima del disgelo
Dal suo comodo angolo di mondo, Aydin pontifica, sciorinando su un piccolo giornale locale i suoi giudizi sul prossimo e le sue semi-informate opinioni, ignaro del risentimento che il suo egoismo, la sua arroganza e il suo paternalismo hanno prodotto nelle persone che gli sono più vicine. Ignaro del fatto che l'inverno lo troverà forse più consapevole, certamente più solo.
Se il capolavoro di Ceylan C'era una volta in Anatolia si svolgeva quasi interamente in spazi aperti e vertiginosi, qui il regista turco ci trasporta in piccoli ambienti scavati nella roccia, illuminati dal fuoco; se il film precedente era la cronaca della laboriosa ricerca di un cadavere sepolto nella steppa, qui ad essere sepolti sono antichi rancori e ataviche ingiustizie. Ed è con le parole che si scava in questo deserto di umana incomprensione e indifferenza. A fare deflagrare (si fa per dire, siamo davanti a tre ore e venti di chiacchierate, diverbi e bevute) gli eventi è un gesto fuori dall'ordinario, quello di un bambino che lancia un sasso contro l'auto di Aydin per vendicare l'umiliazione subita dal padre, picchiato dalla polizia durante un pignoramento. Lo scontro con questa famiglia poverissima ma non priva di dignità non servirà a cambiare Aydin, ma l'effetto che l'incidente ha sulla sua famiglia, e soprattutto sulla giovane moglie Nihal, fa sì che una serie di dinamiche si mettano gradualmente in azione.
La scena agli attori
Non è certamente un caso che il protagonista di Winter Sleep sia un attore, che si citino e si omaggino i grandi geni di questa forma artistica per tutta la (significativa) durata del film: Ceylan, qui, è interessato ai confronti dialogici e alla compresenza dei corpi in un ambiente ristretto. La ricerca della naturalezza nella recitazione è assoluta: Ceylan studia meticolosamente la propria invisibile presenza al fianco dei suo protagonisti, e quando solo un personaggio è sulla scena, spesso il volto dell'altro è riflesso in uno specchio, il flusso azione/ reazione ininterrotto, il montaggio inappuntabile. Ceylan impone ai suoi interpreti un vero e proprio tour de force, con long take interminabili e monologhi gravosi e complessi, ma il risultato è sempre potente, tale da immergerci in un microcosmo teso, profondo, e rivelatore.
Il dilemma morale
Non c'è soluzione al dilemma morale che i personaggi discutono dall'inizio alla fine del film, e che può essere riassunto con la necessità di decidere cosa fare della propria vita che non può essere avulsa dagli altri. A Ceylan interessa mostrarci l'ipocrisia cui ci condanna la convivenza, possiamo nasconderla ma non per sempre, e nessuno è innocente, nemmeno il bambino, che vuole fare il poliziotto come chi ha oppresso suo padre, nemmeno la soave Nihal che organizza le sua attività benefiche in casa di un marito ricco che disprezza. Che in fondo non possiamo mai davvero cambiare, inverno dopo inverno.Conclusione
Ancora una volta Nuri Bilge Ceylan, in sede festivaliera, ridimensiona tanti illustri colleghi con la sua abilità nella gestione degli attori, per una pellicola che forse è meno potente di C'era una volta in Anatolia ma che un'altra esperienza di cinema ricchissima e appagante su infiniti livelli.
Movieplayer.it
4.0/5