Morte, putrefazione, sospetto, violenza. Il mondo è impazzito. E loro assieme a lui. La realtà è cambiata. E loro assieme a lei. Negli ultimi otto anni The Walking Dead ci ha messo davanti a una storia collettiva di sopravvivenza estrema, in cui stravolgere se stessi, adattarsi, corazzarsi di cinismo e rassegnazione era l'unico modo per restare vivi. Una condizione esistenziale anarchica e destabilizzante in cui ognuno dei suoi personaggi ha dovuto scavare dentro di sé per riuscire a trovare ancora qualche briciolo di umanità. E quando una serie che parla di cambiamento riesce a durare otto lunghi anni, è facile che prima o poi i suoi protagonisti facciano i conti col proprio vissuto. In questo senso The Walking Dead 9x04 diventa l'apoteosi dell'esame di coscienza.
The Obliged, perentorio sin dal titolo, è un episodio denso, pieno di parole, dedicato a due confronti fondamentali per uno show che in questa nona stagione sta ritrovando l'essenza del suo vecchio spirito smarrito: dubbi etici, personaggi tridimensionali, la voglia di soffermarsi sul dramma dell'essere ancora vivi. Se non fosse per l'inutile doppia parentesi con Jadis e un padre Gabriel ancora miracolosamente vivo (ancora ci chiediamo come sia sopravvissuto in quella roulette assieme a Negan), questa puntata è priva dei tanto temuti "tempi morti di The Walking Dead", perché la narrazione è tesa, i dialoghi pregni di significato, ogni parola soppesata con attenzione.
È come se la serie avesse deciso di chiudere quattro dei suoi beniamini dentro due confessionali separati: una cella e una fossa. Dentro ci troveremo inaspettati punti di contatto e inevitabili contrasti. Assieme all'anima di quel The Walking Dead a cui abbiamo voluto bene e che è tra le migliori serie tv degli ultimi tempi.
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La spada e la mazza: Michonne si riflette in Negan
Se c'è una cosa che lo show tratto dal fumetto di Robert Kirkman è riuscito a fare molto bene è costruire una sua iconografia ben precisa. In The Walking Dead molti personaggi si identificano in un oggetto che ne è diventato il simbolo, che in qualche modo ne racchiude il carattere e la storia. Non fa certo eccezione la risoluta Michonne, che fa della sua fidata katana un urlo di battaglia sempre pronto a esplodere. Anche quando si prova a ricostruire un mondo di quiete e pacifica convivenza. L'incipit di The Obliged riesce a mettere in scena in soli quattro minuti la rabbia latente di una donna che prova a recitare la parte della madre di famiglia che non è potuta essere. Una menzogna che Michonne racconta prima di tutto a se stessa. Perché, a chi ha perso tutto in modo balordo, non basteranno mai le favole della buonanotte, i giochi, i libri e una forzata spensieratezza. No, perché tutto sembrerà rammollirti, ogni cosa acquista valore e di conseguenza di rende deboli. E la debolezza, nel mondo di The Walking Dead, è il più grande passo che si possa fare verso la tomba. Così Michonne quella spada non la abbandona anche quando sembra averla appesa al chiodo, e di notte dimostra a se stessa di essere sempre forte e combattiva sfogandosi sugli erranti.
A lei spetta anche il difficile compito di incontrare un Negan riluttante al cibo, che ormai si sta lasciando andare nella sua isolata prigionia. Però, nonostante l'aria stanca, l'ex leader dei Salvatori ha sempre il suo asso nella manica, e riesce a essere minaccioso anche dietro le sbarre. Il suo faccia a faccia con Michonne è all'insegna della più grande arte manipolatoria: Negan cerca di intenerire la guerriera raccontando i suoi lutti e i suoi dolori, cercando tra loro punti di contatto insperati, ma assai credibili. Entrambi sono due sopravvissuti dilaniati dal dolore. Entrambi hanno sublimato in un'arma i loro lutti per farne il simulacro della propria forza. Però, dietro quella lama e quel legno ferrato, ci sono due vuoti incolmabili. Due vuoti che si sono specchiati, riconosciuti e respinti in una delle sequenze più significative degli ultimi anni.
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La pistola e la balestra: Rick contro Daryl
Ve l'avevamo accennato la scorsa settimana, e ve lo ribadiamo di nuovo: in questa nona stagione ogni scena con Rick Grimes ha il sapore amaro degli inevitabili addii. E se Andrew Lincoln ci appare sinceramente commosso e coinvolto quando dice a Carol che lei resterà sempre il migliore esempio di forza e attaccamento alla vita, anche il duello fraterno con Daryl ha le fattezze di un ultimo confronto tra due vecchi amici pronti a morire per l'altro. Il nostro motociclista maledetto appoggia la decisione di Maggie, pronta ad ammazzare Negan, perché non tutto può essere perdonato, non tutti meritano una seconda occasione. Davanti a lui, però, c'è un Rick diverso, nuovo, rinato dalle sue ceneri dopo la morte di Carl. Una morte che l'ex vice-sceriffo Grimes non vuole sprecare, rispettoso di quel prezioso monito pacifista scritto col sangue dal suo ragazzo. Rick non vuole fare di Negan un martire, ma creare un punto zero di misericordia e perdono da cui ripartire per rifondare le loro comunità. Con questa spada di Democle che gli pende sulla testa, lo stesso Rick potrà presto diventare il simbolo di qualcosa: delle persone che si redimono, fanno un passo indietro, fanno del dolore un modo per ridare valore alla vita nonostante tutti quei morti che camminano. Forse Rick è arrivato a scoprirlo troppo tardi. Per sé ma non per chi rimarrà dopo di lui. Come un uomo con la balestra, una madre con la spada e un uomo con la mazza, pronti a essere disarmati dall'ultimo saluto del signor Grimes.
Movieplayer.it
3.5/5