Chi scrive è dell'avviso che ci sia sempre qualcosa di sospetto e fragile in una relazione con una significativa differenza d'età: due persone divise da venti o trent'anni non possono avere gli stessi trascorsi, gli stessi bisogni e le stesse aspirazioni, non possono avere l'affinità di obiettivi che garantisce la possibilità di fare un lungo e felice tratto di strada insieme. C'è uno squilibrio congenito e pericoloso, per il quale, quasi sempre, il membro più anziano è in una posizione eccessivamente dominante nei confronti del più giovane.
E' un rapporto con queste caratteristiche quello che mette in scena la regista israeliana Keren Yedaya, solo infinitamente peggio. E il motivo per cui è peggio è a lungo avvolto dall'ambiguità nello sviluppo della narrazione della regista israeliana, per cui anche noi preferiamo lasciarlo nell'ombra, per quanto la serpeggiante, odiosa verità aleggi sui personaggi sin dalle prime battute del film.
Tami è a casa da sola
Perché il fatto che Tami sia una vittima che ama il suo carnefice è evidente, ma perché non fugge dalle sue grinfie, da quell'alternarsi di violenza e tenerezza così perverso da farci soffrire per lei più quando sembra felice che quando piange e si tortura le braccia con taglierino? È facile perdere la pazienza con una persona tanto inetta da non poter prendere in mano la propria vita, tanto cieca da non poter vedere oltre l'orizzonte della propria prigione: ma Yadaya ci chiede di rimanere accanto alla sua eroina, di pazientare di fronte ai suoi pianti e ai suoi tentennamenti, alle sue fughe e alle sue gelosie, di averne, in sostanza, pietà.
L'amore violato
Ogni relazione ha i suoi compromessi, ogni amore i suoi lati oscuri, viviamo tutti piccole, quotidiane violenze inflitte agli altri o a noi stessi. Ma quella ritratta in That Lovely Girl senza mezzi termini, la forma d'amore più sordida e crudele di cui un essere umano possa fare oggetto un suo simile. Ci vuole fegato per raccontarla con tanta onestà. Ci vuole fegato per prendere Tammy per mano, provare a scuoterla, sperare che non salga ancora su quell'auto. Quella vissuta accanto a lei, in un inferno apparentemente senza uscita, non è un'esperienza facile, ma è un'esperienza preziosa, che ci lascia con gli occhi e con il cuore un po' più aperti e ricettivi; un po' più attenti al dolore che l'amore contiene.
Lui e lei
raccogliere il coraggio di Keren Yadaya ci sono due attori da encomiare: Mayaan Turgeman e Tzahi Grad. Il loro lavoro - ciò che mostrano, dove si spingono, il modo in cui lo elaborano e lo comunicano - alla luce della visione dell'intero film, è un dono inestimabile, che ci ricorda la missione più nobile della recitazione. Che non è sorridere e salutare sul red carpet ma vivere tutte le miserie umane sulla propria pelle per aiutare gli altri a esorcizzarle, compatirle, sostenerle.Conclusione
Un film difficile, una visione cupissima e dolorosa per trasmettere un messaggio di solidarietà e di attenzione verso il prossimo che ci riconcilia con i nostri limiti e le nostre ipocrisie.
Movieplayer.it
3.5/5