Stato di calma apparente
Colui che vede il raggio verde, quel bagliore fugace che il sole ci regala quando sta per tramontare, riesce a vedere nel proprio cuore e in quello degli altri. Ma è un fenomeno troppo raro per diventare un bene comune; più facile, forse, catturare con lo sguardo l'argenteo riflesso delle nuvole, illuminate dolcemente al termine di un temporale. In quel momento si ha la certezza che la tempesta è passata. Non mette al riparo da un nuovo rovescio, ma certo spinge a guardare al futuro con positività. E' su questa sensazione di scampato pericolo e voglia di ricominciare che David O. Russell ha costruito Il lato positivo - Silver lininigs playbook, adattando per il grande schermo l'omonimo romanzo di Matthew Quick. Pluricandidata agli Oscar (vittoria meritata per Jennifer Lawrence e nomination agli altri tre attori principali, Bradley Cooper, Robert De Niro e Jackie Weaver, oltre a quelle come miglior film, regia e sceneggiatura non originale), la pellicola di Russell non se ne va dalla testa facilmente. Tanti sono gli elementi tirati in ballo (è proprio il caso di dirlo) per essere liquidata con faciloneria; e questo è un merito che va riconosciuto al regista, che ha saputo lanciare l'amo al pubblico, contando sullo spessore della storia e sull'indubbia bravura degli interpreti. E' un film che parla di scommesse; giocarsi tutto in un tiro di dadi, o la va o la spacca. Se va bene, vinci tutto, altrimenti ci rimetti le penne, ma almeno c'hai provato. Su queste basi è difficile non affezionarsi a un'opera che dissemina la strada di "segnali" dalla prima all'ultima scena, invitando lo spettatore ad interpretarli, a leggerli, per abbracciare totalmente il percorso dei protagonisti.
Pat Solatano è afflitto da disturbo bipolare, termine molto in voga ai giorni nostri che dice tutto e niente. Ricoverato in una clinica psichiatrica per aver pestato a sangue l'amante della moglie, è tenuto sotto controllo dai farmaci che deve assumere per evitare l'esplosione di una nuova crisi; Tiffany è una giovane vedova con problemi di dipendenza dal sesso. Grazie al patteggiamento della pena che avrebbe dovuto scontare, Pat torna a vivere con i suoi genitori. Il rientro alla "normalità" non è affatto semplice; Pat sr. non riesce proprio a comprendere quel figlio strano, lo tormenta (e si tormenta) perché non lo riconosce, nonostante condividano la stessa fede per i Philadelphia Eagles, passione, quella per il football, che ha segnato le loro vite con scaramanzie e rituali pre gara di ogni tipo. La madre, invece, non fa che regalargli sguardi pietosi e al suo cospetto si muove come un elefante in un negozio di cristalli. Pat, però, vuole solo riconquistare la moglie e stare bene; per perseguire l'obiettivo decide di cancellare tutte le cose brutte della vita, a partire dai romanzi che finiscono male (puntualmente defenestrati). L'uomo trova in Tiffany un aiuto inaspettato. All'inizio li unisce una specie di solidarietà tra "matti"; poi la ragazza si offre di aiutare il nuovo amico a riunirsi con la consorte, chiedendo in cambio di essere accompagnata ad un'importante gara di danza. La più classica delle situazioni della commedia sentimentale diventa per Russell lo spunto per una rilettura originale del genere, resa possibile dalla straordinarietà dei due personaggi principali, una coppia di borderline verosimili. Il presupposto della malattia mentale, vero elemento di rottura, è essenziale al cineasta newyorchese per permettere ai protagonisti una libertà d'azione (e linguistica) massima. Non è tanto la patologia del protagonista, narrata in maniera piuttosto consueta, e con qualche semplificazione di troppo, ad essere il motore del racconto, quanto la voglia di gettarsi a capofitto nelle situazioni che fanno più paura. Per un uomo come Pat, abituato a credere di nascondere un mostro dentro di sé, pronto a scattare al primo accenno della famigerata canzone Ma cherie amour, la sfida fondamentale della vita diventa la relazione con Tiffany; un rapporto costruito su basi instabili, poiché sono loro stessi ad essere instabili. E lo dimostra l'antologia di brani musicali scelti per lo spettacolo finale, un frullato in cui finiscono i Metallica, Stevie Wonder e la colonna sonora di West Side Story; in fondo se l'aggancio fra i due passa attraverso il ballo, un movimento armonico che dovrebbe fondere corpo e pensiero, è per forza di cose un ritmo sbalestrato. La mano di Russell è aggraziata nel descrivere certe dinamiche familiari ossessive e ripetitive, i veri luoghi di incubazione del disagio, peccato però che poi sposti l'attenzione verso altro, quasi a voler appianare un discorso in realtà molto complesso; è proprio il quadro d'insieme a soffrirne e a risultare meno interessante della singola storia dei protagonisti, ingabbiata in una struttura che deve necessariamente arrivare ad un lieto fine (pena la defenestrazione...). E se l'obiettivo è quello, allora il regista gioca troppo con certe situazioni, trasformando in scenette simpatiche situazioni che nascondono in realtà un grande malessere. Ammiccamenti che risultano stonati e che in alcuni momenti intrappolano la spontaneità dei due "eroi". Per sua fortuna (e abilità), il copione è finito nelle mani di un gruppo di attori sensibili e in parte. Bradley Cooper è bravo, la Lawrence ancora di più, mentre Robert De Niro riesce dopo tanto tempo a fornire un'interpretazione genuina e sentita di quello che è forse il ruolo più importante di tutto il film, per la drammatica mescolanza di violenza e simpatia che il suo Pat sr. incarna. Sfrondata da tutta questa miriade di implicazioni, Il lato positivo - Silver linings playbook resta una furba commedia sentimentale, che indugia sul tentativo di una separazione fatta bene, magari a passo di danza e senza perdersi per strada i pezzi.
Movieplayer.it
3.0/5