La magia delle scelte... e delle parole
2001-2011. Dieci anni che hanno cambiato il mondo con la rapidità e le modalità sconvolgenti dei tempi moderni, e che, tra le altre cose, ci hanno portato molto lontano dal sottoscala del numero 4 di Privet Drive, a Little Whinging. Ma anche la storia recente di questo mondo così incomprensibile e prosaico e privo di magia ha dimostrato che è possibile sconfiggere il cattivo, e così oggi il viaggio morale ed emotivo del giovane eroe di J.K. Rowling può concludersi anche al cinema regalando le sue personali, vitalissime e amabili verità, e salutare con affetto e orgoglio l'oceanico pubblico che l'ha seguito per quasi quattro lustri.
Era nel trionfo che avevamo lasciato il nemico, quel malvagio, inarrestabile mago con cui Harry Potter condivide inquietanti parallelismi e un enigmatico legame. Ancora ignaro della quest per la ricerca degli Horcrux votata alla sua distruzione in cui sono impegnati il Sopravvissuto e i suoi fidi sodali Hermione e Ron, Lord Voldemort lo ha battuto sul tempo in quella per i Doni della Morte, gli oggetti magici potentissimi che garantiscono il dominio della Mietitrice, o almeno del più ambito di essi, la bacchetta di sambuco. Ma quella dell'immortalità è la via, l'ambizione, l'ossessione di Tom Riddle/Lord Voldemort; Harry Potter, come il suo rivale un talentuoso orfano, un naufrago solitario del mondo babbano che ha trovato riscatto nella magia, sceglie l'amore e così accetta la morte, e in quest'ultima scelta che definisce l'abisso che lo distanzia dal Signore Oscuro è la salvezza del mondo magico. Affrontando il pirotecnico ed emozionante finale della saga più munifica della storia del cinema, il semiesordiente David Yates, che si è dimostrato adeguato timoniere di un'impresa titanica consegnando, in scioltezza, gli ultimi capitoli dell'avventura a un pubblico esigente e a una critica distante e poco informata, si concentra in maniera fin troppo efficiente sulle ultime battute della vicenda e sulla devastante Battaglia di Hogwarts, al punto di rinunciare a un'organicità più specifica del film in sé, che va così visto semplicemente come la chiusura di un disegno più grande. Ma come il boccino lasciato in eredità da Albus Silente al suo protetto, anche la saga di Harry Potter "si apre alla chiusura": si apre a ritmi forsennati inusuali per la serie, si apre a una narrazione più ellittica e meno didascalica, si apre a un respiro epico, si apre all'emozione e all'impegno di realizzatori e interpreti che sono, come milioni di giovani - o ex-giovani - cresciuti con Harry. Si apre all'azione, perché dopo tanti anni di lezioni, scaramucce con i Serpeverde, primi baci e primi incantesimi, adesso c'è spazio solo per la resa dei conti. Lo ribadiamo, Harry Potter e i doni della morte - parte 2 non funziona come pellicola a sé: è disorganico, squilibrato, oscuro; ma allo stesso tempo è il momento certamente più trascinante, forse più riuscito dell'intera saga. Se infatti il ciclo non ha più ritrovato la personalità registica e il piglio estroso che gli aveva regalato nel terzo episodio Alfonso Cuarón, con Yates i personaggi hanno iniziato a trovare credibiltà umana e autenticità emozionale. Persino lui, l'eroe dalla cicatrice a forma di saetta, che sui set potteriani è sembrato poco presente a sé stesso, vagamente imbambolato, surclassato da coetanei più dotati e da veterani impareggiabili; e invece questo è davvero il film di Daniel Radcliffe, mentre Emma Watson e Rupert Grint sembrano farsi da parte, all'ombra del sacrificio di quello che finalmente è un vero leader. I veterani di cui sopra, almeno quelli a cui questo frenetico ultimo tassello della serie regala più di una manciata di secondi di pellicola, non si fanno certo trovare impreparati, e il "racconto del principe", bellissima sequenza in cui vengono rivelate finalmente le vere motivazioni di Severus Piton, serve ad Alan Rickman a ribadire la sua statura nonostante l'imbarazzante ringiovanimento virtuale, e una battuta piena di vibrante premura di Maggie Smith è sufficiente a farci saltare un battito cardiaco. In barba allo script scompaginato, alla messa in scena spesso maldestra, agli eccessi di sentimentalismo, la pecca piu cospicua di questa pellicola ci sembra sia l'aver tralasciato quasi completamente uno degli elementi più coraggiosi e originali del romanzo della Rowling: la messa in discussione dell'ammirevole e impeccabile mentore, o meglio del suo passato. Le rivelazioni sul conto di Albus Silente e sulla sua breve associazione con le arti oscure servono ad Harry a dissociarsi dal suo modello, a trovare la propria strada e a superare le aspettative del maestro rinunciando alla lusinga dei Doni. Ma queste sono forse contestazioni da "secchioni": la verità è che il film, pur glissando su molte storyline secondarie e gestendone in maniera approssimativa altre, segue molto bene invece la simmetria e la differenza tra Harry e Voldemort fino al duello finale, non senza lasciare il giusto spazio anche per personaggi che, nel progetto della Rowling, avevano un ruolo particolare, come Neville, il ragazzo che avrebbe potuto essere al posto di Harry se Lord Voldemort avesse fatto una scelta anziché l'altra.
La saga cinematografica, nel complesso, non ha giovato alla reputazione di quella letteraria presso il popolo dei babbani - ehm, dei non lettori. La superficialità e l'affettazione dei primi episodi ha creato una certa diffidenza nei confronti dell'universo potteriano, destinato ad essere ricordato nelle personificazioni del grande schermo quanto attraverso le parole di J.K. Rowling. Solo per brevi tratti, grazie a grandi talenti o a felici intuizioni, la gioia, la compassione e l'intelligenza della sua scrittura sono emersi anche nella lunga avventura filmica: ma Harry Potter e i doni della morte 2 è, di questi momenti, uno dei più ampi e significativi. Per il resto, ci sono sempre i libri.
Movieplayer.it
3.0/5