Centro di gravità cangiante
Guimarães, Capitale Europea della Cultura nel 2012, antico centro da cui nacque, quasi un millennio fa, lo stato portoghese. Un piccolo ristorante sito in una via secondaria, retto da un oste solitario e malinconico, che per attirare clienti inizia a copiare il menù del più frequentato locale vicino; un vecchio soldato della Rivoluzione dei Garofani, che, chiuso in un ascensore, dialoga con un bronzeo commilitone che incarna i fantasmi del suo passato; una fabbrica abbandonata, un tempo volano dello sviluppo economico del paese, la cui memoria rivive attraverso una vecchia foto, e le tante testimonianze degli operai che vi hanno lavorato; un'orda di turisti che si riversa per le strade del centro, e che, armata di decine di macchine fotografiche, prende d'assalto la statua del conquistador Alfonso Henriques, colui che nel 1128 liberò la città dal dominio spagnolo e ne fece la prima capitale del Regno del Portogallo. Vicende diverse sul palcoscenico di una città in cui passato e presente si intrecciano, storie e memorie di chi ha costruito la coscienza civile del paese che coesistono con la vita vissuta di uomini e donne che, faticosamente, cercano un loro posto in una realtà contraddittoria.

Centro Historico è inevitabilmente poco compatto in visione e toni, in ritmi e atmosfere, persino nelle durate dei quattri episodi (tipicamente da cortometraggio il primo, ancor più concentrato il quarto, maggiormente corposi gli altri due). Eppure, il fil rouge che lega questi segmenti così diversi è un sentimento inequivocabile di solitudine, un'attenzione agli outsider di ogni categoria, un rimpianto più o meno esplicito per il passato che diventa rapporto problematico col presente. I quattro registi perseguono ognuno la propria via al racconto, introducono nell'opera le proprie peculiarità di sguardo, mettono in scena i rispettivi episodi senza badare alle necessità di armonizzare il tutto. Ma è da dire che, se la polifonia vocale crea a tratti delle dissonanze, i frammenti offerti da ogni singolo autore brillano di luce propria: e, lo ripetiamo, se dovessimo scegliere, la nostra preferenza andrebbe proprio al coraggioso episodio di Erice, che cava emozione pura, limpida, da una vecchia fotografia e una serie di interviste (in realtà frutto di un'abile scrittura) coi protagonisti che guardano in macchina. Un risultato, quest'ultimo, che sarebbe precluso a chiunque fosse qualcosa di meno di un maestro. Ma ogni segmento ha la sua ragion d'essere: illuminando aspetti, momenti, facce diverse di una città che continua a rivolgere un occhio alle sue spalle e a proiettarne un altro direttamente verso il futuro. Cogliere e fare proprio questo sguardo strabico è, ancora una volta, speciale peculiarità del cinema.
Movieplayer.it
3.0/5