Cigarettes &... Cigarettes
Tre personaggi eccentrici, deliziosamente stralunati nel loro essere fuori tempo e fuori luogo. Un extraterrestre con tanto di tuta spaziale, principe della Costellazione del Cigno; un samurai appartenente al distretto di Kaga; una fata dalle dimensioni umanoidi e dalle sembianze maschili, che però somiglia un po' anche a una mosca. I tre iniziano a interagire per caso, parlano del più e del meno, delle loro vicende e dei rispettivi luoghi di provenienza; iniziano a fumare insieme, e la condivisione della sigaretta stimola il piacere delle chiacchiere. Il setting iniziale è quello di una panchina in pieno centro di una metropoli giapponese; mentre, tutto intorno, la vita scorre esattamente come sempre, come se i tre individui fossero perfettamente al loro posto nel contesto urbano.
Come Kiyoshi Kurosawa, anche Takashi Miike, quest'anno, è arrivato al Festival del Film di Roma con due lavori; e, come per il regista di Kairo, anche per Miike il secondo di essi, presentato fuori concorso, ha un carattere più "sperimentale" (anche se non nel senso che siamo comunemente abituati a dare al termine). Blue Planet Brothers, a partire dalla sua concezione, è un progetto del tutto atipico e fuori dagli schemi: un insieme di dieci sketch (per un totale di 60 minuti) che vedono interagire tre personaggi folli e caricaturali, dieci mini-storie incentrate sull'avvicinamento e la funzione socializzante insita nell'atto di fumare, con la sigaretta a fare da catalizzatore e calamita tra mondi (letteralmente) lontanissimi. Miike si disinteressa, facendo anzi ad esso una gioiosa risata in faccia, del politically correct, elogiando le piccole gioie del tabagismo e ripetendo nell'incontro seguito al film che, in fondo, "anche le sigarette hanno qualcosa di buono, se fumate con civiltà". Se Jim Jarmusch avesse girato il suo Coffee & Cigarettes sotto acido, e con lo spirito iconoclasta e cinefilo di Miike, il risultato sarebbe stato probabilmente simile (ma non uguale) a questo Blue Planet Brothers. Lo humor provocatorio del regista, presente nell'idea di base, si traduce nel giocoso nonsense che attraversa i dieci segmenti, percorsi da episodi a volte paradossali, a volte grotteschi, più spesso semplicemente buffi e gratuiti. La funzione fàtica (di stabilimento e mantenimento della comunicazione) che il regista attribuisce al fumo, si trasferisce da questo al mezzo cinematografico; più che il cosa viene detto, conta il come, la capacità dell'immagine e dei dialoghi di accarezzare e deliziare in modo effimero lo spettatore, provocandogli un pleasure che, per la sua brevità e la sua dichiarata indipendenza dal contenuto, non è neanche più guilty. Miike provoca, più ancora che con l'elogio al tabagismo, con il suo destrutturare il cinema (anche il suo) con gioia quasi surrealista, rimescolandone i topoi e svuotandoli di contenuto, privandoli volutamente di qualsiasi contestualizzazione. Così, nel frullatore/giocattolo del regista, lasciato andare con gioia e resettato all'inizio di ogni nuovo segmento, troviamo il noir americano e la slapstick comedy, il chanbara e il cinema di yakuza, spesso mescolati a schegge che finiscono l'una nel territorio dell'altra, senza soluzioni di continuità. Se alcuni frammenti restano più impressi di altri (quello ambientato nel jazz club in cui viene ricreata un'atmosfera da gangster movie americano, l'irresistibile episodio della partita a ping pong senza pallina) ciò che conta di più è la tendenza generale di Miike a giocare col cinema; spostando il terreno della sua attitudine provocatoria dalla violenza alla costruzione di un mosaico di pezzi in movimento; colorato, insensato se visto da fuori, ma irresistibile se l'occhio vi si avvicina appena e si lascia catturare dalle sue piccole, sempre cangianti trame.Movieplayer.it
3.0/5