"Se il mondo è misterioso, la veridicità dell'immagine deve portare con sé un po' di quel mistero". Ci piace iniziare l'intervista con il regista Andrej Andreevič Tarkovskij, realizzato in occasione del Ravenna Nightmare Film Fest con questa frase di suo padre, il grande Andrej Tarkovskij. "L'immagine non è una sciarada o un rebus, non ha una soluzione" diceva. Sono parole che rappresentano bene l'arte dell'autore di Solaris, Stalker, Lo specchio, cinema dalle immagini potenti, non immediatamente intelligibili, ma in grado di evocare emozioni, sensazioni, stati d'animo. Andrej A. Tarkovskij, figlio del Maestro, ha presentato al Ravenna Nightmare il suo documentario Andrej Tarkovskij: Il cinema come preghiera: novantasette minuti per farci entrare nella poetica e nel mondo interiore, tramandati da padre in figlio, del grande regista.
In quella frase, con cui abbiamo aperto, non c'è solo la chiave per abbandonarsi al cinema di Andrej Tarkovskij, ma anche quella per entrare in molti altri film. Senza che tutto debba essere subito capito, subito spiegato. In Andrej Tarkovskij: Il cinema come preghiera, sentiamo un aneddoto molto curioso. Alla fine della proiezione di un suo film, c'erano critici e addetti ai lavori che ne stavano dibattendo. A un certo punto, entrò la donna delle pulizie, e disse loro di andare via, che in realtà il film era molto semplice da capire. Tarkovskij non aveva un grande rapporto con i critici cinematografici, che vivevano nel mondo del cinema sovietico degli anni Settanta, un cinema molto diverso dal suo. Con Andrej Andreevič Tarkovskij abbiamo parlato anche di questo. Il suo documentario parte dall'idea di lasciare da parte le interpretazioni e le teorizzazioni che negli anni sono state fatte sull'opera di suo padre, e di tornare all'origine del discorso, direttamente alle sue parole. Per Tarkovskij era fondamentale riuscire a essere compreso senza mediazioni.
Tarkovskij: girare in Unione Sovietica
Com'era girare in Unione Sovietica a quei tempi? Era molto difficile trovare la pellicola, e Solaris fu girato con uno o due ciak...
Sono aspetti tecnici. Mio padre ha avuto molte difficoltà, ha fatto cinque film in vent'anni. La pellicola Kodak era quella che costava di più, veniva data a quelli che facevano film di propaganda. Per Tarkovskij era difficile ottenere questa pellicola, ne veniva data molto poca e giocoforza dovevano girare con pochissimi ciak, fare molte prove e poi girare la scena. Questo la dice lunga sulla professionalità e la bravura della troupe, del direttore della fotografia, e di mio padre, che calcolava al metro la pellicola necessaria.
Stalker fu rigirato completamente. Cosa successe?
Stavano girando in Estonia, a Tallin, e il materiale non veniva sviluppato giornalmente ma spedito a Mosca. Dopo aver girato per più di un mese hanno scoperto che tutto il girato era inguardabile, fuori fuoco, non era quello che doveva essere. Ci sono varie teorie su cosa fosse accaduto. La prima è che la qualità di pellicola non fosse buona, che fosse materiale preso di seconda mano. O che avesse delle caratteristiche per cui allo sviluppo e stampa di Mosca non sapessero svilupparla. Un'altra teoria è che ci fossero stati degli errori del direttore della fotografia, che era sicuro di lavorare con questa pellicola e in realtà non la conosceva bene. Ma il film doveva essere chiuso, mio padre era disperato, ed ebbe un infarto. Solo per miracolo sono riusciti a convincere l'amministrazione di Tallin che il film fosse in due parti, e che dovevano girare la seconda. In realtà rigirarono tutto il film con pochissima pellicola. E fu il film stesso cambiare: mio padre riscrisse la sceneggiatura, e così nacque lo Stalker che noi conosciamo.
Fino a un certo punto è riuscito a girare, senza subire censura, anche se a fatica. Come è stato possibile, e cosa è successo dopo? Andrej Rublev ha aspettato 5 anni prima di uscire...
I film che faceva lui non c'entravano nulla con il socialismo realista, erano opere d'arte, frutto di ricerche spirituali, ben lontano da quello che era il cinema in Russia. Il cinema apparteneva allo Stato, lui era un impiegato statale. Non ha mai comunque girato una scena su ordinazione, o qualcosa che andava contro le convinzioni. Aveva la capacità di convincere i burocrati dell'importanza della sua opera. Iniziò Andrej Rublëv con un grande budget, era un kolossal. Era un film storico, ma via via si accorsero che si trattava di un film molto particolare. Fu comunque accettato, e fu fatta la prima. Ci sono varie leggende su cosa successe. Una di queste è che qualcuno dei colleghi di mio padre chiamò il comitato centrale dicendo che fosse un film sovversivo, e così il film fu messo da parte, su uno scaffale. Tra l'altro rischiava che venisse distrutto il negativo. Mio padre faceva proiezioni private per convincere a fare uscire il film. Che uscì dopo Solaris. Infatti in Solaris c'è una scena, nello studio di Kris, dove c'è la trinità di Rublev. L'eroe, Kris, si appoggia a un mobiletto accanto all'icona e parte la colonna sonora di quel film. Se film doveva essere distrutto, almeno sarebbe rimasto qualcosa...
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Cosa successe a quel festival di Cannes del 1983?
Il film era Nostalghia, una coproduzione sovietico-italiana, che veniva presentato da entrambe le nazioni. Nonostante tutto capitò che venisse ostacolato da un membro della giuria sovietico, che quell'anno era Sergei Bondarchuk. Fu la goccia che fece traboccare il vaso, che gli fece capire che i suoi film non erano ben voluti, che non avrebbe girato più niente. Questo è stato un colpo molto basso: un membro della giuria cercava di non far prendere nessun premio al film. Ne prese comunque tre: il premio per la miglior regia, il premio della giuria ecumenica e il premio Fipresci, ma non la Palma d'Oro.
I luoghi, l'infanzia, la natura
Nel cinema di Tarkovskij la scelta dei luoghi è fondamentale. Come li sceglieva, e come riusciva a vedere che sarebbero diventati grandi immagini?
C'era il suo sguardo. Bisogna essere un poeta per poterli scegliere. I luoghi erano quelli, ma quelli che sceglieva lui avevano qualcosa in più. Avevano un'atmosfera, un'energia particolare. Lui aveva questa capacità di capire le cose, di intuire. Questi luoghi rimangono tutt'oggi dei posti misteriosi da visitare. Il segreto è lo sguardo di un vero artista, un filtro poetico che aveva la capacità di vedere cose che noi comuni mortali non riusciamo a vedere.
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Quanto è stata importante l'infanzia, e la madre, nel cinema di Tarkovskij?
È stata fondamentale. Lo specchio è un inno alla madre. È lei che lo ha tirato su, lo ha salvato. Per rimanere da sola durante la guerra, senza mezzi di sostentamento, tirar su due bambini piccoli, dar loro un'educazione importante, doveva essere una donna molto forte. Anche lei scriveva, poi ha lasciato tutto e si è dedicata completamente ai figli. Anche questo dimostra la forza con quella donna. Mio padre amava molto sua madre, e soffrì molto la sua morte, nel 1979.
La natura è un altro aspetto importante nel suo cinema...
Quello che ci circonda è la natura. Era fondamentale, fa parte dei suoi ricordi di infanzia. Per ogni artista, e anche per tutti noi, l'impatto dell'infanzia è fondamentale sulla nostra vita. E per lui era fondamentale il rapporto con la natura, con i boschi dove andavano in vacanza. Quelli del film Lo specchio, dove la natura è predominante. Noi facciamo parte della natura: ignorarla è stupido, perché solo capendo che la natura siamo noi possiamo comprendere noi stessi.
I critici e il mistero dell'immagine
Il rapporto con i critici non è mai stato facile. Cosa pensava di loro?
Il classico critico cinematografico non capiva Tarkovskij perché cercava i riferimenti nel mondo del cinema. Invece bisogna uscire da questo ambito: prima di tutto è un poeta, poi è un regista. La sua eredità poetica, la sua filosofia artistica va più verso la filosofia religiosa, verso gli scrittori e i poeti russi di fine Ottocento e primi Novecento, come Dostoevskij e Tolstoj. È lì che bisogna andare per capire i motivi della sua poesia, che ha ereditato dal padre, che è stato forse l'ultimo poeta del secolo d'argento. Si andava in un campo difficile da interpretare. Per i film il metodo critico di analisi è quello intellettuale, invece mio padre diceva: "i miei film non devono essere visti, devono essere vissuti, insieme con me". Ci voleva questa emozione, questa empatia con l'artista perché il film potesse essere capito. Per lui la sceneggiatura doveva essere di 30-40 pagine, serviva come canovaccio, erano le immagini a parlare, a suscitare emozioni. Parlava spesso dei bambini come tramite tra il mondo trascendentale e il nostro, perché non avevano perso il contatto con questa bellezza, con l'oltre. Per questo diceva che i suoi film andavano visti con gli occhi di un bambino.
"Se il mondo è misterioso, la veridicità dell'immagine deve portare con sé un po' di quel mistero". In questa frase possiamo trovare il senso del suo cinema, il diritto a fare delle opere che non siano immediatamente comprensibili e totalmente spiegabili...
Assolutamente. Ma non è che tutti noi capiamo la vita... Il compito di un artista è condividere le sue impressioni, le sue paure, le sue frustrazioni ma anche le aspirazioni più alte. È quello che crea l'emozione e l'empatia. La storia, come diceva lui, è secondaria. Tutte le opere d'arte sono cosi. La vita è misteriosa, non comprendiamo affatto la nostra realtà. L'immagine artistica è impossibile da comprendere. È impossibile comprendere l'infinito, noi siamo limitati al finito. L'uomo opera con la materia, ma prostrando l'altra mano verso l'infinto.
Cosa è stata l'Italia per Tarkovskij e che rapporto aveva, e ha lei, con il nostro paese?
Lui amava molto l'Italia, la sua storia la sua bellezza. Credo fosse l'unico paese dove avrebbe potuto continuare a vivere e a lavorare. Adorava il Rinascimento, Leonardo, Beato Angelico. L'Italia in qualche modo lo faceva sentire meno solo, meno distaccato dalla patria. Era russo, e noi russi siamo cattivi migranti: la Russia la portiamo sempre dento. Per me è diverso: avevo 15 anni quando ho lasciato la Russia, avevo tempo per adattarmi, ero ancora plasmabile. A quell'età un adolescente accoglie anche altre culture in qualche modo. Ormai ho vissuto la mia vita più in Italia che in Russia. Non posso fare a meno della cultura italiana, e di Firenze, la città dove vivo e di cui non potrei fare a meno.