Fabrizio Gifuni è sempre stato tra i più bravi attori italiani, ma questo è il suo momento: fresco di un secondo David di Donatello per la sua interpretazione di Aldo Moro in Esterno Notte (il primo è arrivato nel 2014, per Il capitale umano di Virzì), ha ricevuto anche una consacrazione più pop. Nella quarta stagione della serie Boris si è concesso un cameo divertente, dimostrandosi molto autoironico. A un anno di distanza, l'attore è tornato a Cannes con un'opera di Marco Bellocchio, Rapito.
Nelle sale italiane dal 25 maggio, in Rapito Gifuni ha un ruolo difficile: è l'inquisitore domenicano Pier Gaetano Feletti, colui che mette in atto il rapimento di Edgardo Mortara, bambino portato via alla sua famiglia il 23 giugno 1858 a Bologna. Nato ebreo, il piccolo è stato battezzato in segreto da una domestica, diventando così oggetto di contesa tra la sua fede e la Chiesa cattolica.
Abbiamo incontrato Fabrizio Gifuni a Cannes: "Questo è un racconto molto potente ed emozionante" ci ha detto, spiegando meglio: "che ha sicuramente degli aspetti contemporanei. Nel senso che parla di un tempo che c'è sempre, perché attraversa dei temi universali. Questo film parte da un fatto di cronaca avvenuto nell'Ottocento, che riguarda in particolare lo Stato Pontificio e il suo rapporto problematico con la comunità ebraica, ma è un tema che riguarda tutte le religioni monoteiste. Tutte le religioni possono trasformarsi da esperienze portatrici di luce e conforto in un sistema di regole che imprigiona una comunità di persone".
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Rapito: la storia vera di Edgardo Mortara
Rapito il 23 giugno 1858 a Bologna, Edgardo Mortara all'epoca aveva sei anni. Nel film di Bellocchio vediamo come ami la sua famiglia e la mamma, ma, alla fine, l'educazione cattolica ha avuto la meglio. Il luogo in cui cresciamo è molto più importante di quello in cui nasciamo? Per Gifuni: "In questa storia c'è anche un elemento inspiegabile e misterioso. Che poi è quello che ha attratto di più Bellocchio, che si è fatto ispirare soprattutto dalle cose difficili da comprendere. Il tema della conversione, che era uno dei primi titoli provvisori di Rapito, è difficile da ridurre razionalmente. Questo bambino viene strappato dalla famiglia in tenera età ed entra in una nuova famiglia: è come se trovasse nel papa un nuovo padre. È molto complicato capire quella che sarà la sua vita futura, che diventerà un religioso, un missionario. Sicuramente quel trauma ha inciso profondamente. Ma è di per sé sufficiente a spiegare questa conversione? Per me la grandezza del cinema di Marco Bellocchio la sua battaglia contro la semplificazione. Marco mette sempre in campo la complessità dell'animo umano attraverso i personaggi".
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Il segreto di Marco Bellocchio
A 80 anni Marco Bellocchio fa film con una libertà e un'energia che registi più giovani non hanno. Qual è il suo segreto? Secondo Gifuni: "Ogni tanto glielo chiediamo anche noi se ha un segreto e se ce lo può dire! Credo sia la grande libertà. Oltre che, naturalmente, un'onestà intellettuale che non lo ha mai abbandonato. Quando una persona non tradisce mai quello in cui crede, quello che sta cercando, soprattutto nel caso di un artista, non si tratta tanto di un ideale politico o etico, ma di una ricerca creativa, e riesce a mantenere attorno a sé uno spazio di libertà, i risultati possono essere anche questi. Ovvero un cinema che si ringiovanisce col passare degli anni anziché invecchiare. A 80 anni Bellocchio riesce a mettere in campo delle opere che parlano a tutti. La cosa che mi ha stupito del film precedente, Esterno Notte, è di quanti ragazzi siano andati a vederlo nelle sale. Ci si poteva aspettare un pubblico over 50, invece anche i ragazzi hanno seguito quel racconto come seguono le serie. Questo vuol dire che è un cinema libero, capace di parlare a tutti. E quindi viva Marco Bellocchio".