Ragione (di stato) e sentimento
Ci troviamo nelle isole britanniche: in seguito alla caduta dell'impero romano gli inglesi sono schiacciati dalle brutali orde irlandesi ma Lord Mark (Rufus Sewell) è convinto di poter liberare la sua terra dal giogo unificando i clan in un'unica grande nazione. I suoi piani vengono annegati nel sangue da re Donnchadh, Mark è costretto a rinunciare momentaneamente al suo disegno. Nella foga della battaglia salva la vita al giovanissimo Tristano (James Franco) e ne fà suo figlio.
Passano gli anni e Tristano diventa forte e valoroso. Ferito in una sortita e creduto morto, conoscerà tra le nebbie d'Irlanda la bella Isotta (Sophia Myles), l'infelice figlia di re Donnchadh, e se ne innamorerà. Combattuti tra il loro formidabile sogno d'amore e la devozione alla ragion di stato i due si avvieranno dolorosamente verso un cupo destino.
Il mito di Tristano e Isotta è dotato di una forte componente tragica: la storia di due personaggi che sembrano destinati ad essere divisi per sempre e che invece proprio il destino unisce, per poi separare nuovamente. La storia drammatica di un amore proibito che sembra vivere e nutrirsi della distanza e del dolore, un anelito angoscioso più che un sentimento gridato, un perenne rincorrersi tra le pieghe dolorose della storia in un mondo crudele e indifferente che esalta e glorifica la loro fatale attrazione. Un mondo fatto di dignità altera, di valore virile, di forza bruta, in cui il calore dell'amicizia, il conforto degli affetti famigliari e la tenerezza sembrano come aspettare un'alba ancora lontana da venire, celata dalle nebbie di un medioevo oscuro e triste.
Isotta vive il suo sogno d'amore con slancio e ardore, decisa a inseguirlo a dispetto di ogni difficoltà, indomita e appassionata, convinta di aver diritto alla propria felicità, ad elevarsi al di sopra delle miserie che il mondo le ha riservato. Tristano è immerso nel flusso degli uomini e della storia, sorregge sulle sue valorose spalle il peso di una responsabilità che è insieme scopo e dannazione, devoto al suo ruolo. La gloria è per lui allo stesso tempo un fine a cui tendere ineluttabilmente una dannazione capace di soverchiarlo.
Una polarizzazione drammatica così imponente sarebbe certo un ottimo materiale da filmare se non fosse annegata in una strana sorta di spy story sgangherata che stenta a stare in piedi scricchiolando fastidiosamente a ogni passo, dispersa tra mille inspiegabili complotti, subitanei quanto immotivati rovesciamenti di fronte, episodi di realpolitik che mal si accordano alla dimensione mitica di partenza. I due piani non si amalgamo mai, producendo contrasti e accostamenti dall'esito spesso ridicolo. Il mondo pseudo realistico in cui si muovono i due titanici protagonisti non offre sostegno ai loro ardori e finisce per risultare estraneo e posticcio, come la scenografia da bric-à-brac che lo caratterizza.
I dialoghi sono inutilmente verbosi e a tratti insopportabilmente didascalici, le scene d'amore e di sesso ripetitive e stanche, gli scatti di gelosia e gli impeti del cuore immotivati ed eccessivi. Kevin Reynolds filma il tutto con mano pesante e incerta, abusando clamorosamente di alcuni espedienti stilistici e fallendo clamorosamente nelle sequenze di battaglia, approssimative, confuse, raffazzonate e "fumettose" (nell'accezione più deteriore del termine). James Franco gioca a fare il tenebroso ma è monotono e stanco, Sophia Myles è bella, ma nulla di più. Il resto del cast e il film tutto si attesta su livelli di sufficienza striminzita non giustificabili in un film che vede i due fratelli Tony e Ridley Scott come produttori esecutivi. Lo sceneggiatore Dan Georgaris (Paycheck, The Manchurian Candidate) conferma una sinistra abilità nell'incartarsi inutilmente nelle pieghe di una complessità che non riesce a gestire.