Stivali texani ai piedi, jeans neri, gilet di pelle e i lunghi capelli bianchi raccolti in una coda di cavallo. Sergio Stivaletti, veterano del make-up e degli effetti speciali del cinema horror italiano, e poi anche regista, potrebbe essere un personaggio uscito da uno dei suoi film. È una persona che suscita simpatia a prima vista. Una simpatia che cresce ancora di più dopo che, in occasione della presentazione a Roma, la scorsa settimana, ci ha raccontato la storia di Rabbia furiosa - Er Canaro, il suo ultimo film, nelle sale dal 7 giugno. Il film di Stivaletti, come quello di Matteo Garrone, Dogman, è ispirato all'omicidio dell'ex pugile Giancarlo Ricci a opera di Pietro De Negri, detto il Canaro della Magliana, avvenuto nel lontano 1988. Una di quelle storie che Stivaletti aveva in testa da anni, uno di quei film che, lo capisci, devono essere fatti.
"Ovviamente a quei tempi avevo vissuto la storia sui giornali, nei bar, per cui mi era rimasta un po' dentro: er Canaro in quel momento per tutti noi era quel fatto lì" ricorda Stivaletti. "Da tempo avevo pensato di farci qualcosa. M chiamarono per fare una regia, da un episodio del libro di Cerami, Fattacci, in cui c'era anche la storia del film di Garrone, L'imbalsamatore. Io scelsi questo episodio, ma il film non si fece, si cercava un produttore ma non veniva mai fuori, e questa cosa mi aveva depresso. Tutti ci dicevamo: non ci sono più i produttori di una volta. E allora mi sono detto: io potrei essere uno di quelli. Quando Garrone decise di fare il suo film io avevo la sceneggiatura già pronta. E ho annunciato che avrei fatto questo film. Volevo vedere l'effetto che faceva". "Da quel momento le cose hanno preso una certa piega" continua. "E, come accade spesso al cinema, quando un film deve essere fatto, capitano cose. Ho capito che l'avrei fatto nel capannone dove faccio gli effetti speciali, con i miei allievi. Ma non è un film fatto con due lire. Ho preteso attori veri".
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Quei favolosi anni Ottanta
In realtà anche il film di Stivaletti, come quello di Garrone, opta per una lettura personale dei fatti. I personaggi principali non si chiamano come quelli veri, ma Fabio (Riccardo De Filippis) e Claudio (Virgilio Olivari): il primo è appena uscito da galera, dove si è fatto otto mesi al posto dell'altro; la loro amicizia è ambigua, malata. È in realtà una continua vessazione da parte di Claudio. Fino a che Fabio non ce la fa più a subire. Il film non è neanche ambientato negli anni in cui accaddero i fatti e rimane volutamente fuori dal tempo: tutta una serie di dettagli sembrano riportare proprio a quegli anni Ottanta. "In fondo è un Canaro ideale, un po' fuori dal tempo" riflette Stivaletti. "Vediamo i telefonini. Ma le scelte di scenografia, i costumi, tante cose, le camicie di Virgilio non sono connotabili in un'epoca precisa". Non siamo neanche alla Magliana, teatro dei fatti in quel lontano '88. "È ambientato al Mandrione, un quartiere popolare ma non squallido" spiega il regista. "Il luogo dove lavoro è simile. E ho capito che questo film avrei potuto farlo".
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Arrivare dopo Dogman
Rabbia furiosa è un film di atmosfere, di effetti. Ma anche di affetti, e di attori. "Io trovo che tutto il cinema che ho fatto a volte abbia peccato di attenzione nei confronti degli attori" riflette Stivaletti. "Se la recitazione viene lasciata da parte è qualcosa che rischia di non funzionare perché non si può creare un buon effetto speciale se non c'è una storia per la quale qualcuno se li aspetta". Se il film di Garrone ha sorpreso per come ha sublimato la violenza, il film di Stivaletti prende decisamente un'altra strada, com'è naturale che sia, anche se, anche qui, avviene quasi tutto alla fine. "Ho fatto la scelta di mostrare tutto perché io avrei voluto vedere tutto, se avessi pensato di andare a vedere un film sul Canaro" racconta il regista. "Perché uno si aspetta di vedere come il regista immagina quella storia. La famosa frase "gli ha lavato il cervello" ce la ricordiamo tutti... ci siamo abbandonati ai ricordi, a quello che ci raccontavamo tutti a quei tempi".
Stivaletti ci ricorda una delle chiavi del lavoro di un regista, che poi è anche quello che pensava Hitchcock. "Credo che un regista, quando vuole fare un film, è per due-tre inquadrature che vuole vedere realizzate" ragiona Stivaletti. "Poi ci costruisce la storia attorno e arrivano gli sceneggiatori. Per me quelle scene erano le torture e le scene con i cani. Poi alcune cose in corsa diventano più importanti, più belle. Attori e sceneggiatori lavoravamo insieme, discutevamo le scene insieme per avere il meglio da loro. Romina ha fatto un lavoro importante sul personaggio femminile che noi, da maschi, che conosciamo meno il mondo femminile, non potevamo capire". Romina è Romina Mondello, attrice di cui ci siamo innamorati tutti ai tempi de La piovra, e oggi di nuovo con il regista dopo aver girato M.D.C. - Maschera di cera, nel 1997. Interpreta Anna, la moglie di Fabio. "Io non ho visto il film e non lo vedrò mai" ci avvisa subito. "Forse non lo vedrò perché non ce la faccio, ci vuole un fegato a parte. Forse lo vedrò ma non vedrò gli ultimi dieci minuti. Posso raccontare quello che ho girato. Ero preoccupatissima nella scena di stupro".
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Riccardo De Filippis, un'altra rivelazione
Se la Mondello è attrice nota e affermata, nel cast (che annovera una serie di volti davvero notevoli tra i caratteristi) c'è una rivelazione. È Riccardo De Filippis, noto per il personaggio di Scrocchiazzeppi in Romanzo criminale - La serie. Non sarà il Marcello Fonte di Dogman, ma è un ottimo attore. "Quando ho letto la sceneggiatura mi sono fatto un po' di domande" ricorda. "Mi sono detto che la rabbia, la cattiveria doveva nascere da qualcosa. Sono partito dalla sofferenza, quella vera, non potevo partire con la cattiveria. Non voglio dire che giustifico quello che ha fatto il mio personaggio. Sono partito dalla schiavitù psicologica che gli era stata imposta. Volevo arrivare a qualcosa di universale. Quella è la base di partenza, poi c'è un'escalation".
Accanto a lui c'è Virgilio Olivari, che è Claudio, l'amico vessatore. "Le scene più disturbanti per il mio personaggio sono tutte" risponde alla domanda. "Quella dello stupro è stata la più impegnativa, al terzo giorno di riprese: c'è stata molta pressione. Quelle che non mi hanno disturbato, anzi le ho viste come una liberazione, sono stati gli ultimi cinque giorni di riprese, il momento in cui sono entrato nella gabbia. Sentivo il peso del personaggio che per tutto il film incombe sul protagonista, tanto che questa scena sembrava una sorta di liberazione. In quei momenti non abbiamo seguito alcun tipo di sceneggiatura, durante le riprese tra me e Fabio è nata una stima reciproca". Alla stessa domanda risponde anche Gianni Franco, che nel film è il Comissario Ferri. "In fondo si capisce tra le righe che il mio personaggio è affezionato al Canaro, che siamo cresciuti insieme, io ero diventato il buono e lui forse il cattivo... anche se in fondo non lo era. La scena più dura per me è stata vedere il Canaro steso a terra, sanguinante".