L'estate al cinema ha la forma astratta del ricordo, a volte magica, a volte inconsistente, quasi menzognera. L'estate al cinema è un genere a sé, che spesso combacia con quella memoria frammentata, che vive di situazioni che sembrano non essere mai avvenute. Accade questo nel film di Carlo Sironi, sempre bravo a traslare la sceneggiatura in un'opera che parte proprio dai colori. Come in Sole, uscito nel 2019 (e presentato a Venezia), anche in Quell'estate con Irène, si parte da due solitudini che, poi, si vanno ad allungare, scoprendosi e coccolandosi (anche se il film è geograficamente opposto, in quanto troviamo spazi decisamente più aperti e liberi).
Non è un film dai picchi altissimi ma ha il pregio di essere diretto nella rappresentazione di uno stato d'animo sospeso, com'è sospesa la stagione più attesa dell'anno. Una stagione che riflette le due protagoniste (Noée Abita e Camilla Brandeburg, entrambe brave nel mantenere una sorta di scostante e voluta distanza con lo spettatore), e riflette la crescita e il cambiamento, in un imprinting che Sironi muove verso il futuro, in qualche modo costruito grazie "alle esperienze, e alle estati che non dimenticheremo mai", come spiega nelle note di regia, alla vigilia della presentazione del film alla Berlinale 2024, nella sezione Generation.
Quell'estate con Irène, profumo d'agosto
Quell'estate con Irène è un film semplice, com'era semplice la vita nel 1997, anno in cui il film è ambientato. Piccolo inciso, gli Anni Novanta, sembra dirci il cinema, sono il nuovo metro narrativo, puntando a quel pubblico che li ha vissuti, ricordandoli con malinconia e nostalgia. E se di malinconia parliamo, l'estate di Sironi è quella di un lontano agosto (l'estate che finisce), quando due ragazze di 17 anni, Clara (Camilla Brandeburg) e Irène (Noée Abita), decidono di scappare durante una gita organizzata dalla struttura sanitaria che ha seguito le loro cure (una clinica per malattie oncologiche). Scappano, e puntano al mare (François Truffaut docet) di un'isola del Mediterraneo, per una vacanza straniante e appartata, vivace e sorniona, dove le due, inseguite dall'ombra della malattia (forse superata, forse no), proveranno a trovare una propria, scontornata, dimensione.
Tra sogno, memoria e magia
C'è l'estate, declinata da Sironi come se fosse un luogo a-temporale; l'estate che sembra un non-luogo, rivista dalla fugace scenografia di Ilaria Sadun, che risalta grazie alla tiepida fotografia di Gergely Poharnok (quanto è vero che i polacchi siano i migliori nel campo, cogliendo al meglio le intenzioni dei registi), in grado di scrivere una realtà che, secondo Sironi, pare esistere solo nello sguardo di Clara e Irène. Uno sguardo mai definito del tutto, che si perde e si distrae, che si prende il tempo e lo spazio, accompagnandoci in un placido coming-of-age che vorrebbe essere rivelazione di un sogno universale tenuto per mano da due ragazze disorientate e abbagliate.
Scritto da Carlo Sironi insieme a Silvana Tamma, Quell'estate con Irène si rifà però ad una costruzione che si appoggia ad un immaginario ben definito, e magari troppo riconoscibile nel romanzo di formazione ripensato dal regista. Un concetto, in un certo senso, direttamente contrario allo spirito libero delle due protagoniste. Per questo, all'inizio della nostra recensione, scrivevamo di quanto l'opera non abbia (volutamente?) nessun picco narrativo, seguendo invece un racconto minuto e scarno, affidato più alle sensazioni che alle parole. Un'idea di narrativa che si aggancia all'istante, come insegna la poetica di Éric Rohmer, di cui Sironi sembra debitore. Un momento da cogliere secondo lo spirito di una stagione che arriva in fretta e scorre via inesorabilmente, segnando una memoria che sfugge a quell'emozione che Sironi prova ad immortalare in un film luminoso, rarefatto, pittorico.
Conclusioni
Carlo Sironi dopo Sole dirige Quell'estate con Irène, film che parte dal concetto di memoria, allargandosi verso un coming-of-age straniante e pittorico, dove due giovani protagoniste provano a trovare una dimensione che ha i colori di un agosto malinconico e dolente. Racconto probabilmente poco incisivo, al netto di un'estetica che trasmette perfettamente le sensazioni di un'estate che sta per finire. In tutti i sensi.
Perché ci piace
- L'estetica di Sironi convince.
- Le due attrici protagoniste, essenziali.
- L'estate come metafora.
Cosa non va
- Pochi picchi, poca incisività.
- Il racconto sembra (volutamente? troppo scarno.