Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster. Per me, fare il gangster è sempre stato meglio che fare il Presidente degli Stati Uniti.
"Iniziare Quei bravi ragazzi come un colpo di pistola e poi aumentare la velocità, come un trailer di due ore e mezza: penso sia l'unico modo per percepire veramente l'euforia di quello stile di vita e per capire perché tante persone ne sono attratte". Con queste parole Martin Scorsese ha spiegato il suo approccio per portare sul grande schermo Wiseguy (in italiano Il delitto paga bene), il libro di Nicholas Pileggi basato sulla vicenda del mafioso Henry Hiller, gregario della criminalità organizzata di New York, diventato nel 1980 un informatore dell'FBI.
La lettura di Wiseguy costituì un'autentica rivelazione per il cineasta italo-americano, che decise subito di trarne un film e si mise al lavoro sul copione insieme a Pileggi. E il risultato, Quei bravi ragazzi (in originale Goodfellas), rimane uno dei vertici nella filmografia del regista di Taxi Driver e Toro scatenato. Selezionato dall'American Film Institute nella classifica dei cento capolavori del cinema statunitense e inserito al secondo posto nella Top 10 dei migliori gangster movie di sempre (dietro soltanto a Il Padrino di Francis Ford Coppola), Quei bravi ragazzi rimane ancora oggi una delle più acute e graffianti descrizioni del mondo della criminalità organizzata, dipinto nella sua quotidianità secondo un duplice aspetto: l'eccitazione dei locali alla moda, del lusso sfrenato e pacchiano, delle ragazze a buon mercato, contrapposta allo squallore e alla violenza del 'mestiere' del gregario mafioso. Un contrasto che Scorsese ha saputo esprimere magistralmente in una pellicola diventata a pieno diritto una pietra miliare del cinema contemporaneo, alla quale il regista avrebbe fatto seguito, cinque anni più tardi, con un altro formidabile crime drama, Casinò.
Proiettato in concorso alla 47° edizione del Festival di Venezia, dove fu premiato con il Leone d'Argento (una scelta maldestra della giuria, che gli negò il trofeo principale), Quei bravi ragazzi approdò nei cinema americani il 19 settembre 1990 (e il giorno seguente nelle sale italiane), ricevendo immediatamente un responso entusiastico da parte della critica e del pubblico. Ricompensato con decine di riconoscimenti, fra cui cinque BAFTA Award, il film di Scorsese ottenne sei nomination agli Oscar, ma nell'anno del trionfo di Balla coi lupi dovette accontentarsi di un'unica statuetta per il miglior attore supporter (Joe Pesci). E oggi, a venticinque anni esatti dalla sua uscita, Quei bravi ragazzi non ha perso neppure un grammo della sua forza, conservando al contrario una modernità e un'energia esemplari; e in occasione di questo anniversario, noi abbiamo deciso di celebrarlo analizzando dieci ingredienti indispensabili del capolavoro di Scorsese...
1. La Mafia fra realismo e ironia
"Hai imparato due grandi cose della vita: non tradire gli amici e tieni sempre il becco chiuso". È la lezione di Jimmy Conway (Robert De Niro), braccio destro di un boss locale, per il giovanissimo Henry Hill (Christopher Serrone) dopo la prima esperienza del ragazzo in un tribunale. Henry, come scopriremo nel corso del film, non è avviato a scalare i vertici della Cupola, ma è un "soldato semplice" della criminalità newyorkese, un individuo per il quale pestaggi ed esecuzioni diventeranno il pane quotidiano. In questa intuizione risiede uno dei tratti distintivi del film di Scorsese: spogliare la Mafia di quell'alone epico, di quella tragica grandezza che ammantava i celebri gangster dei classici degli anni Trenta, così come la dinastia dei Corleone nella saga de Il Padrino o il Tony Montana di Scarface, per mostrarne invece l'aspetto più ordinario e 'squallido'.
Nel far questo, da una parte Scorsese e Pileggi premono sul pedale della violenza, rappresentata con crudo realismo e nei suoi aspetti più espliciti e brutali; dall'altra, invece, caricano il film di un costante senso dell'ironia che sembra percorrere ogni sequenza, riportando alla mente un analogo capolavoro (di poco precedente) del filone dei gangster movie, ovvero L'onore dei Prizzi di John Huston. Si veda, a tal proposito, la vivace cena consumata dai protagonisti a casa dell'anziana signora De Vito (impersonata dalla madre di Scorsese, Catherine) mentre nel bagagliaio della loro auto giace un uomo che, di lì a poco, sarà ucciso e sepolto in una fossa in mezzo al bosco.
2. Ray Liotta: il fascino discreto del gangster
Per interpretare il ruolo di Henry Hill da adulto, Scorsese ingaggiò un attore di trentacinque anni ancora non molto famoso, Ray Liotta. I produttori del film avrebbero voluto un divo già affermato per la parte del protagonista, ma Liotta, che era rimasto incantato dal libro di Pileggi, fece di tutto per convincere Scorsese di essere l'attore adatto per questo personaggio. E nonostante l'azzardo, la scelta si rivelò una scommessa vinta: Ray Liotta, infatti, ha conferito a Henry Hill la giusta dose di carisma malandrino, di dissennata leggerezza e, all'occorrenza, di feroce aggressività. Henry costituisce non a caso il "volto umano" della Mafia, il bravo ragazzo incapace di resistere alle attrattive della vita da gangster, fino a trasformarsi in un killer senza scrupoli; e Liotta è bravissimo nel trasmettere la visceralità di quest'uomo, che talvolta si rivolge direttamente al pubblico guardando verso la macchina da presa - come farà anche il broker di Leonardo DiCaprio in The Wolf of Wall Street, film estremamente simile a Quei bravi ragazzi.
3. "Never rat on your friends": il mentore Robert De Niro
Già attore feticcio di Martin Scorsese, Robert De Niro aveva ottenuto la sua consacrazione (e il primo Oscar della carriera) nel 1974 proprio grazie alla parte di un malavitoso, e non certo un malavitoso qualunque: per la precisione, un giovane Vito Corleone in tutte le sequenze de Il Padrino - Parte II ambientate nel passato, all'epoca dell'arrivo del futuro don Vito a Ellis Island. In Quei bravi ragazzi, a De Niro è affidata la parte di Jimmy Conway, ispirato al vero gangster Jimmy Burke, braccio armato del boss locale Paulie Cicero (Paul Sorvino); e il rapporto fra Henry e Jimmy, eletto dal giovanotto italo-americano come una sorta di "padre putativo", è uno degli elementi chiave del racconto. In una delle scene finali del film, Henry e Jimmy si ritroveranno insieme al tavolo di un ristorante, per un ultimo confronto faccia a faccia; subito dopo Henry capirà che Jimmy ha intenzione di farlo assassinare e accetterà di collaborare con l'FBI, consegnando tutti i suoi ex compari alla giustizia.
4. Lady Mafia: Lorraine Bracco è la signora Hill
Un'altra figura centrale nella parabola di Henry è sua moglie Karen, una ragazza di famiglia ebraica che Henry abbaglia con la promessa di un'esistenza lussuosa e privilegiata, fino a farne sua moglie. Dotata di un solido carattere, ma al tempo stesso disposta a cedere ai compromessi morali richiesti dalla 'professione' del marito pur di non rinunciare al proprio status sociale, Karen ha il volto di Lorraine Bracco, un'attrice lanciata proprio grazie al successo di Quei bravi ragazzi, e che in seguito interpreterà la psichiatra Jennifer Melfi nella serie cult I Soprano. Sospesa fra ingenuità e charme, fra paziente sopportazione ed improvvise esplosioni di furia repressa, Karen non ha il sangue freddo per reggere la pressione della vita al fianco di un gangster, e nel corso del film subirà diverse crisi di nervi, arrivando a puntare una pistola contro il viso di Henry o a scatenare un'incontenibile ondata d'ira sull'amante del marito. Per la sua volitiva performance, Lorraine Bracco ha ricevuto la nomination all'Oscar come miglior attrice supporter.
5. Joe Pesci, un sicario da Oscar
La figura forse più memorabile dell'intera pellicola, quella capace di rubare invariabilmente la scena ai suoi comprimari, è senz'altro Tommy DeVito, il gangster basso e tarchiato impersonato da uno strepitoso Joe Pesci (diretto da Scorsese dieci anni prima in Toro scatenato), ricompensato per questo ruolo con il premio Oscar come miglior attore non protagonista. Tommy, sodale di Henry e Jimmy nelle loro grette imprese criminali, è per certi versi una "scheggia impazzita": un ometto in apparenza bonario ma che da istante all'altro sfodera una crudeltà e un sadismo incontrollabili, dimostrando di non avere la minima consapevolezza delle proprie azioni. In uno dei momenti più sorprendenti del film, Tommy aggredisce senza motivo un giovanissimo cameriere soprannominato Spider (Michael Imperioli, altra futura star de I Soprano) e gli spara un colpo di pistola a un piede. La volta successiva Spider, con la gamba ingessata, risponde con un'ingiuria alle provocazioni di Tommy; quest'ultimo allora estrae di nuovo l'arma e crivella il ragazzo di proiettili, di fronte agli sguardi stupefatti dei suoi commensali.
6. "You think I'm funny?"
Sempre a proposito di Tommy DeVito, è lui il cuore di una delle scene più celebri di Quei bravi ragazzi, durante la quale viene pronunciata la famigerata battuta "You think I'm funny?". Dopo che Tommy, a tavola insieme a Henry ed altri membri della loro gang, ha finito di raccontare un aneddoto suscitando reazioni esilaranti, Henry ha la malaugurata idea di definirlo "buffo". Di colpo l'atmosfera cambia, Tommy si rabbuia e domanda a Henry cosa intenda, incalzandolo con le sue richieste di precisazioni: "Mi trovi buffo? Buffo come? Buffo come un pagliaccio? Ti faccio ridere?". Il clima di euforia e divertimento gradualmente si rabbuia, mentre il volto di Henry si contrae in una smorfia di nervosismo e nel suo sguardo trapela una prima ombra di timore. L'atteggiamento di Tommy si fa sempre più teso, fin quando Henry non scopre il suo bluff e nella sala torna l'allegria di pochi minuti prima. L'intera sequenza è nata grazie a un'idea di Joe Pesci, che da giovane, quando lavorava come cameriere, aveva vissuto un episodio del genere sulla propria pelle, suscitando la dura reazione di un malavitoso; lo scambio di battute fra Pesci e Ray Liotta fu improvvisato sul momento, aumentando così lo stupore degli altri attori inquadrati accanto a loro.
7. Al Copacabana
Un'altra scena di Quei bravi ragazzi è entrata a pieno diritto nel novero dei capitoli più belli del cinema di Scorsese: si tratta della serata trascorsa da Henry e Karen al Copacabana, uno dei più rinomati locali della Grande Mela. Scorsese e il suo direttore della fotografia, Michael Ballhaus, utilizzarono una Steadicam per girare l'intera scena in un unico piano sequenza: due minuti e cinquantacinque secondi senza interruzione, in cui vediamo Henry e Karen attraversare la strada, tagliare la fila all'ingresso, scendere una scala ed entrare nell'affollatissima cucina del locale, farsi strada fra chef e camerieri e infine giungere all'interno del Copacabana, dove ai due fidanzati viene subito offerto uno dei tavoli migliori, mentre gli altri clienti si producono in saluti e segni di riverenza. Non solo un'eccezionale prova di virtuosismo registico, ma una vera e propria immersione nello stile di vita di un giovane malavitoso dinnanzi al quale si aprono (letteralmente) tutte le porte, con l'accompagnamento di uno dei grandi successi dei primi anni Sessanta, Then He Kissed Me, un brano di Phil Spector cantato dalle Crystals.
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8. L'ultimo giorno di libertà
Se l'ingresso di Henry e Karen al Copacabana è mostrato tramite un'unica, lunghissima ripresa, il montaggio assume invece un'importanza fondamentale in un'altra sezione del film: in prossimità dell'epilogo, quando Scorsese ci racconta per immagini una giornata nella vita di Henry Hill - l'11 maggio 1980 - prima di essere arrestato dagli agenti della narcotici. Stressato, paranoico, devastato dalla cocaina e aggrappato all'ultimo barlume di lucidità, Henry sale in auto, si convince di essere pedinato da un elicottero, si divide fra soci, familiari e amanti e alla fine viene catturato dalla polizia. In questo caso, la prodigiosa Thelma Schoonmaker opta per un montaggio frenetico, con un altissimo numero di stacchi e di cambiamenti di inquadratura, per esprimere il tasso di adrenalina che scorre nelle vene di Henry, la definitiva perdita di freddezza per abbandonarsi a una condizione semi-allucinata... la condizione tipica di un'esistenza vissuta oltre ogni limite di velocità.
9. Un gangster movie a tempo di rock
Se la frenesia è per l'appunto una delle cifre peculiari del racconto, a scandire il ritmo della narrazione per quasi tutto l'arco del film è una ricchissima colonna sonora, composta da numerose canzoni da hit parade degli anni Sessanta e Settanta. In questo senso Quei bravi ragazzi potrebbe essere paragonato a una sorta di opera rock, in cui la musica non rimane un mero sottofondo, ma diventa un indispensabile compendio agli eventi messi in scena. E i brani selezionati nella soundtrack sono talmente tanti che sarebbe impossibile racchiuderli in un unico disco; per citarne soltanto alcuni, si parte con Rags to Riches di Tony Bennett per proseguire con la versione di Mina de Il cielo in una stanza, Roses Are Red di Bobby Vinton, Leader of the Pack delle Shangri-Las, Ain't That a Kick in the Head? di Dean Martin, Atlantis di Donovan, Baby I Love You di Aretha Franklin, Beyond the Sea di Bobby Darin, Gimme Shelter e Monkey Man dei Rolling Stones, Wives and Lovers di Jack Jones, Sunshine of Your Love dei Cream, Layla dei Derek and the Dominus, Magic Bus degli Who, What Is Life di George Harrison e, sui titoli di coda, la cover di My Way di Sid Vicious.
10. L'epilogo: "Una normale nullità"
A suggellare uno dei migliori film firmati da Martin Scorsese è un finale beffardo e amarissimo, che suggella mirabilmente la 'caduta' di Henry Hiller: una nuova vita sotto copertura, nel programma di protezione testimoni dell'FBI, che assume il sapore del rimpianto per quell'esistenza ormai andata in frantumi. Nell'ultima sequenza della pellicola, la macchina da presa ci mostra Henry uscire in vestaglia sulla soglia della propria casa, chinarsi per raccogliere il giornale e poi guardare in direzione dello spettatore, la bocca contratta in un sorriso sardonico. La scena è inframmezzata da una fulminea inquadratura di Tommy DeVito che punta la pistola e fa fuoco: una visione emblematica del destino di Henry, un dead man walking destinato a restare per sempre nel mirino della Mafia. Ma tutto sommato, forse è proprio la "normalità" la peggiore condanna per l'ex malavitoso: "È questa la parte più dura: oggi è tutto diverso, non ci si diverte più. Sono diventato una normale nullità... vivrò tutta la vita come uno stronzo qualsiasi".