"Io penso che ogni grande film sia gay. Senza dubbio. Se un film non è gay difficilmente è da considerarsi un grande film"
Quello che interessa a Luca Guadagnino è sempre stato ciò che vive al di fuori della vista, dal posto al sole, da una centratura che potremmo definire "etero". Qualcosa che sfugge alla regola e che per vivere ha bisogno della libertà, ma che non riesce a trovarla in una realtà altamente normata. Il desiderio, secondo il regista siciliano, non ammette leggi o confini, ecco la sua condizione è quella della fuga ed ecco perché gli interessa. Ed ecco perché è gay.

Queer di William S. Burroughs è una storia che parla proprio di questo: di un sentimento in fuga, come il suo protagonista / alter ego William Lee, che è scappato dagli Stati Uniti e che vuole scappare dalla realtà e, infine, da se stesso. Tutto perché alla disperata ricerca di un luogo dove potersi finalmente esprimere. Un luogo dove il desiderio di cui è personificazione possa trovare soddisfazione.
Lo scrittore statunitense è il perfetto narratore di questa parbola non solo perché è ne è espressione esso stesso, ma anche per la sua tecnica di scrittura, il famigerato cut-up, che consiste nel frammentare un testo scritto per poi ricomporlo senza logicità e o correttezza sintattica. Lontano dalle regole. Non sorprende che Guadagnino lo abbia scelto per la sua pellicola più personale.
I queer prima di Queer

La filmografia di Guadagnino è votata all'indagine e al racconto del desiderio. Spesso i suoi film hanno cercato le modalità con cui esso possa trovare il modo di esprimersi, soffermandosi sugli effetti collaterali che ciò comporta (le derive fameliche di Bones and All) o cercando di creare degli ecosistemi in cui esso possa affiorare (ecosistemi accoglienti come l'estate di Chiamami col tuo nome o più sofferti come il campo da tennis in Challengers).
Anche tutta la sua concentrazione sull'età adolescenziale, riscontrabile in lavori come Melissa P. e We Are Who We Are, passa da questo interesse, dal momento che è in quella specifica fase della crescita che è possibile poter toccare con mano il desiderio prima che esso perda una sua forza espressiva per il sopraggiungere di una progressiva resa alla norma. I suoi personaggi sono tutti degli eroi romantici nella misura in cui si muovono in funzione di questa forza primitiva così travolgente da essere addirittura soggetta ad autorepressione. Un vanto tentativo di domarla.

Le parabole della Emma Recchi di Tilda Swinton, protagonista di Io sono l'amore, o la strega Susie Bannon di Dakota Johnson nel remake di Suspiria, ne sono esempi lampanti. Donne che sconvolgono la loro esistenza e gli ambienti in cui vivono (o in cui arrivano) per una riscoperta del desiderio dentro di loro. Un fuoco interiore che assecondano anche a costo di rimanere sole se dovesse andare vale, anche se il loro scopo scomparire insieme all'oggetto del loro sentimento, lontano da tutti vincoli della realtà visibile.
Il desiderio sono Io

Nelle mani di Luca Guadagnino, Queer diventa una summa di questo lungo e articolato percorso cinematografico. Un trattato, ma anche un racconto estremamente personale, quindi un film che vive costantemente di una doppia identità: sia voyeurista che "autovoyeurista" (c'è anche una scena in particolare che lo dice chiaramente). Il regista osserva la storia di desiderio tra Lee e Allerton e, attraverso essa, osserva se stesso, mettendo questo livello come elemento dall'importante peso specifico.
Per farlo forza la norma, prova a dar vita a ciò che solitamente è nascosto, prepara il terreno. Sceglie di abbrutire Daniel Craig (nella misura in cui è possibile) e crea una lente re-immaginifica in cui il Sud America prende corpo a Cinecittà fotografato dal suo ormai solito sodale thailandese Mukdiphrom, che unisce cinema e pittura per dar modo di svolgersi ad un racconto allucinatorio, paranoico e ossessivo. Esattamente le caratteristiche del desiderio. In questa strana dimensione Lee / Borroughs / Guadagnino cerca il modo di connettersi con l'oggetto del proprio sentimento per (ormai lo avrete capito) non rimanere solo.
Queer è quindi un vero e proprio ritratto del desiderio. Ne descrive la sua condizione di fuga costante, la sua perenne incapacità di essere all'altezza della sua forza, dei suoi appetiti e, soprattutto, della sua natura antitetica, che lo condanna in modo definitivo. Esso è, per sua natura, carnale, cioè vive nella dimensione corporale e dell'attrazione verso il corpo, eppure per esprimersi è proprio dalla prigionia del corpo che si deve liberare. "I'm not queer, i'm disembodied".