Quattro fratelli per un funerale
Dopo L'amore ritorna, Sergio Rubini torna a parlare della sua terra natale: la Puglia. E lo fa riappropriandosi di luoghi e costumi che, per sua stessa ammissione, non sente più suoi, né come consuetudine di vita né come sentimento d' appartenenza.
Eppure lo fa con un garbo, un'attenzione e una lucidità che dimostrerebbero tutt'altro.
Parla della sua terra, intesa sia come imprescindibile tensione verso la propria casa come unico luogo (fisico e dell'anima) veramente sviscerabile e tracciabile sensibilmente, sia come possesso fisico su una materialità che è descrivibile (e descritta) ancora da casolari, masserie e campi brulli o dorati dal grano.
Due aspetti si rincorrono e si contrastano all'interno del film. Quello legato alla potenza dell'immagine e del rapporto di questa con gli altri ingredienti della messa in scena, e l'aspetto della costruzione narrativa. Indiscutibilmente fascinoso il primo, debole e traballante il secondo.
Rubini costruisce una pellicola di rara capacità visiva ed espressiva, mescolando sapientemente elementi diegetici ed extradiegetici, unendo una capacità di costruire lo spazio dell'inquadratura, con un'azzeccatissima scelta del contrappunto musicale, che contribuisce ad una notevole densità dell'immagine. Anche la composizione etica della messa in scena concorre a soppesare in maniera sempre precisa e funzionale le diverse inquadrature. Una capacità veramente inaspettata per l'attore/regista barese, che supera a pieni voti una prova di maturazione e autorialità non da poco.
Purtroppo, e veniamo al secondo aspetto, l'aspetto della costruzione narrativa lascia molto a desiderare. In un film che si pone (anche) come un giallo, capire chi è l'assassino intorno al ventesimo minuto non contribuisce particolarmente al mantenimento della tensione. Gli indizi che Rubini dissemina lungo tutto il film sono, sia come descrizione delle situazioni, sia come flash visivo/narrativi, piuttosto grezzi e semplicistici. Anche il delinearsi di molti personaggi è approssimato.
La centralità dell'azione verte su quattro fratelli - in particolar modo su Luigi, interpretato da Fabrizio Bentivoglio - che cedono nella propria caratterizzazione alla tentazione di luogocomunismo, del quale, ripercorrendo a mente fredda la storia, c'era serio rischio. Fortunatamente in tutti e quattro i personaggi si calano attori che per bravura personale e per un'ottima direzione, riescono a dare spessore ai rispettivi ruoli. La trama dunque, seppur sviluppata con garbo e attenzione, imprimendo centralità all'aspetto della terra, come elemento di catarsi e di redenzione nel suo (non) possesso, presenta aspetti d'approssimazione che stonano con la coerente e precisa messa in scena.
Passi da gigante, comunque sia, per Rubini - che si ritaglia un ruolo per lui nuovo e gustoso - che dà vita ad un cinema generoso e passionale, soffrendo di un problema, legato allo script, che è comune a buona parte del cinema italiano odierno. Ma la strada intrapresa ci sembra quella giusta. Attendiamo segnali di conferma.