E' una commedia atipica, a suo modo coraggiosa, l'ultimo lavoro di Agnès Jaoui Quando meno te lo aspetti. E' da dire, a scanso di equivoci, che il titolo italiano tradisce e banalizza il ben più attinente Au bout du conte (Alla fine della storia): il film della Jaoui, infatti (scritto ancora una volta insieme al marito Jean-Pierre Bacri) è una love story si propone di trasporre nella modernità l'atmosfera delle più classiche favole, raccontando in particolare ciò che accade dopo il classico "e vissero felici e contenti". Il risultato è un prodotto divertente e ben confezionato, raccontato con il tono dolceamaro che ha sempre caratterizzato i lavori della coppia, leggero nell'approccio ma capace di toccare temi (la morte, la religione, la paura di invecchiare) di assoluto spessore.
Di questo carattere di commedia seria, in grado di far riflettere senza mai abbandonare un tono genuinamente divertito, e dell'evoluzione che il film rappresenta nella sua ormai ventennale carriera, ha parlato la stessa regista nell'incontro stampa tenutosi a Roma, nell'insolita cornice del museo MAXXI.
Quant'è importante, oggi, credere nelle favole?
Agnès Jaoui: In realtà non so se noi ci crediamo o meno... abbiamo scritto questo film perché mi sono resa conto che, anche se sono cresciuta con genitori moderni e femministi, di fatto aspettavo ancora il principe azzurro. Mi sono chiesta perché, nonostante tutto, questi simboli avessero ancora presa sulla nostra società. Le favole che hanno tuttora effetto sul nostro inconscio sono queste, archetipi ormai plurisecolari: allora mi è venuta voglia di reinventarle e riadattarle alla società moderna.
Sì, sono stati contenti di farlo, compreso Benjamin Biolay che interpretava Maxime, che simbolicamente rappresentava il lupo cattivo. Altri non capivano a quale personaggio potessero corrispondere, ma noi comunque non volevamo forzare la mano e creare corrispondenze precise: il nostro scopo era mescolare le favole con dei personaggi reali. Poi, giornalisti e spettatori hanno visto riferimenti a personaggi di favole che noi non vedevamo: per esempio, Jean-Pierre per molti rappresentava l'orco. La cosa non ci è dispiaciuta.
Si è trovata bene a lavorare con i bambini?
Ci sono state difficoltà, certo, era difficile far fare ai bambini quello che volevamo: è sempre così quando si lavora con loro. Tra i bambini c'erano anche i miei figli, ed erano proprio loro i primi che avrei ucciso! Ma alla fine mi hanno dato anche molto in termini di vitalità, ed è quello che voglio cogliere quando faccio un film. Da tempo volevo lavorare con i bambini.
Sicuramente avevamo voglia di fare qualcosa di nuovo: d'altronde sono 20 anni che lavoriamo e scriviamo insieme. Ci siamo resi conto che alla fine, nella nostra carriera, non avevamo creato così tanti personaggi nuovi, avevamo paura di ripeterci, di annoiarci e annoiare. Volevamo cercare delle cose nuove, cose che ci divertissero, e questa volta volevamo anche trovare una forma nuova: raccontare la vita di oggi con la struttura formale delle favole. Scrivendo da così tanti anni si acquista esperienza ma è più difficile rinnovarsi. Per me è stato anche molto liberatorio, il nuovo direttore della fotografia per esempio era meno dogmatico; e forse anche io, crescendo, mi sono un po' liberata da quella paura della tecnica che ho sempre avuto. Prima, come regista volevo essere invisibile, perché come spettatrice non mi piace molto vedere la presenza del regista. Stavolta è stato diverso, le favole mi hanno dato anche la possibilità di usare stratagemmi cinematografici particolari, come l'incontro degli sguardi o il ralenty.
Com'è andato il film in Francia? Ci sono state reazioni che l'hanno sorpresa o non si aspettava?
Il film ha fatto un milione di spettatori... per quanto riguarda le critiche, da tempo ho smesso di leggerle.
Per quanto riguarda Polanski, preferisco non perdere tempo su una frase di questo tipo... forse le donne sono vittime di certi stereotipi, ma anche colpevoli. A me, più che di stereotipi, piace discutere di norme e condizionamenti che ci influenzano: spesso si sentono dire frasi come "la mia natura è questa, sono fatto così, non posso cambiare". Pare che il margine di manovra per modificarci sia sempre molto stretto. Questi in realtà sono i condizionamenti che ci vengono dalla società, si vive pensando che il modello e la norma siano solo quelli. Io spero che le donne possano non solo essere vittime di questi modelli ma anche crearne di nuovi: quello che dovremmo fare è scrivere nuove favole, che modifichino questi stereotipi. Per questo è importante raccontare sempre nuove storie e fare nuovi film. E' utile anche per creare nuovi modelli. Scusate se amplio il discorso, ma vorrei che voi italiani convinceste i vostri politici a proteggere il valore della vostra cultura, che non può essere considerata come una semplice merce. Io ho sempre amato i grandi registi italiani, per esempio, non voglio dire che ora non ce ne siano, ma sicuramente abbiamo meno opportunità di vedere i film dei vostri grandi cineasti all'estero.
Anche questo film, come molti dei suoi precedenti, è stato scritto con suo marito Jean-Pierre Bacri, e c'è un sottile umorismo. Chi dei due ha più commedia nel suo stile?
Sicuramente questa vena c'è soprattutto in Jean-Pierre, ma anche a me la commedia piace molto.
Gli spunti reali sono soprattutto due. Il primo risale a qualche anno fa, quando qualcuno ha avuto l'idea di predire a Jean-Pierre la data della sua morte: è nel 2015, ma non vi rivelo il giorno. Il secondo è il fatto che io guido proprio così, come si vede nel film.
Come ha lavorato sulla colonna sonora?
Questa è stata la prima volta che ho potuto lavorare con un compositore prima della scrittura del film: in genere, il compositore subentra dopo l'ultimo montaggio, e c'è sempre poco tempo per lavorare sulla colonna sonora. Soprattutto, stavolta si tratta di un compositore che conosco da tempo e con cui avevo già lavorato: abbiamo avuto tempo di cercare temi insieme e discutere, volevo che nella musica ci fossero riferimenti ai film Disney e alla musica classica. Il lavoro è stato molto diverso da quello fatto nei miei film precedenti.
Nel film ci sono i temi nuovi, per il suo cinema, della religione e dell'aldilà.
Qualcuno mi ha detto che in questo film ho trattato la religione come se fosse una semplice credenza... innanzitutto, una persona che crede si chiama proprio credente, quindi parlare di "credenza" è naturale. Ma comunque non era mia intenzione ferire o prendermi gioco di qualcuno: ci sono tappe, nella vita, in cui c'è bisogno di credere e di appoggiarsi a qualcosa. Volevo che durante le scene che riguardavano la religione ci fosse della musica classica, proprio per sottolinearne la bellezza.
Se ho utilizzato una struttura da fiaba, è per i motivi già detti, perché la ragazza aspetta il suo principe azzurro, e ci crede davvero. Siamo tutti influenzati da questi condizionamenti che risalgono a quattro-cinquecento anni fa: sono condizionamenti che riflettevano paure di allora, che però in parte restano le stesse anche oggi. La paura di invecchiare, per esempio, è la stessa allora come oggi: il personaggio della matrigna, che si è rifatta ogni centimetro quadrato di pelle, ne è un esempio.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Ora abbiamo ricominciato a scrivere, e poi penso che farò del teatro, dei concerti... insomma, il mio progetto è la vita.