"Picasso diceva: ci vogliono tanti anni per diventare giovane. Ecco, io sto diventando giovane". È un Pupi Avati in gran forma quello che ha dialogato con la stampa prima dell'incontro con il pubblico in occasione degli Incontri internazionali del cinema di Sorrento. Avati è un autore che ha fatto sempre un cinema controcorrente, fuori da ogni moda e tendenza, ed è così ancora oggi. Nell'incontro con il pubblico ha spiegato com'è diventato un regista. "Sono un venditore di surgelati bolognese, ventiseienne, sposo una ragazza bellissima, e facciamo due bambini" ha raccontato l'autore bolognese. "Io mi occupo di bastoncini di pesce. Ho rinunciato al sogno della musica, non avevo abbastanza talento. Fino a quando non entro al cinema e non vedo un film, 8 e ½, e capisco che il cinema è qualcosa di più delle storie di cappa e spada o dei film di Esther Williams. E vado ai dire ragazzi del Bar Margherita che il cinema è una cosa diversa, ci permette di dire il di dentro e il di fuori di quello che siamo. Li convinco ad andare a vedere film e dico: ci proviamo? Bellocchio aveva già fatto quel capolavoro che è I pugni in tasca".
I suoi amici accettano e comincia l'assegnazione degli incarichi. "Uno fa: mia madre dice che sono bravo a fare i mobili. E io: vai, scenografo. Un altro: io sono bravo a scegliere i vestiti. E allora farà il costumista. Ero Gesù che dava agli apostoli gli incarichi" ricorda divertito Avati. "E poi un amministratore di condominio mi dice: io vorrei fare il tuo aiuto regista. Non ero ancora un regista e già avevo l'aiuto. Abbiamo spedito centinaia di lettere, e ci ha risposto uno solo: Ennio Flaiano. Apriamo la busta, e c'era scritto: non scrivetemi più". A Bologna tutto si risolve quando entra in scena un mecenate che offre 160 milioni. "Avevamo 160 milioni ed eravamo totalmente incompetenti" ricorda Avati. "Il primo giorno di riprese mi ero vestito da regista, alla Blasetti, con sahariana e stivali. Faccio quattro passi avanti e dico: ciak! E dovevo dire prima: motore. Avevo sbagliato, e se ne erano accorti tutti. Cado, mi raccolgono e mi sento dire, in romano: Non te preoccupà, er film te lo famo noi".
Il signor Diavolo e il ritorno all'horror
Il 22 agosto uscirà il suo nuovo film, Il signor Diavolo, un film gotico, horror, misterioso e con situazioni di sceneggiatura spiazzanti, come l'ha definito Antonio Avati, presente all'incontro con il fratello. I protagonisti sono due bambini esordienti, circondati dagli attori feticcio di Pupi Avati, come Lino Capolicchio, Gianni Cavina, Alessandro Haber, Massimo Bonetti, e Chiara Caselli. Ricorda nell'ambientazione e nei costumi La casa dalle finestre che ridono. Agli effetti speciali c'è Sergio Stivaletti. Di questa novità - che si preannuncia come uno degli horror più attesi del 2019 - e molto altro abbiamo parlato con Pupi e Antonio Avati a margine dell'incontro.
Il Signor Diavolo è il suo attesissimo ritorno all'horror. C'è una rinascita dei generi in Italia?
Su quell'attesissimo ho investito i prossimi vent'anni della mia vita. Che in Italia ci sia un ritorno ai generi ne dubito. Quando abbiamo fatto La casa delle finestre che ridono c'erano registi come Bava, Fulci, Argento, si producevano 350 film all'anno e venivano venduti in tutto il mondo. Siamo arrivati alla sfrontatezza di fare il western, e con successo. I generi non venivano disdegnati dagli autori. Il regista americano fa film di genere ma rimane sempre autore. Qui se fai un film di genere non sei più autore. Quando vedrete il nostro nuovo film vi renderete conto che è un film di genere ma è un film nostro. Oggi non puoi far solo commedie, con quella panchina corta dove giocano solo quei nove giocatori.
Cosa ricorda della sua prima volta a Sorrento?
Erano gli Incontri internazionali organizzati da Gian Luigi Rondi. Venivamo dal nostro primo successo, Jazz Band, una serie televisiva del 1978. Alla luce di questo successo, ci regalammo un piccolo film alternativo, Le strelle nel fosso. Venne proiettato da Rondi per i critici alle undici e mezza di sera. Prima c'era un film svedese che non finiva mai. Poi incomincia il nostro. I critici erano molto stanchi, forse avevano un po' bevuto. Morando Morandini cercava qualcuno che gli cambiasse un assegno. Callisto Cosulich era davanti a me, e dopo cinque minuti stava dormendo a bocca aperta. Nessuno aveva il coraggio di dir loro niente, erano autorevolissimi, il gotha di quel tempo. Io sono scappato dal cinema terrorizzato, e mi sono inerpicato sulla montagna qui vicino. L'accoglienza di quel film fu devastante. Il giorno dopo eravamo incazzati neri: ho augurato la morte a Kezich e Cosulich. E su Positif l'hanno anche riportato...
Pupi Avati e gli attori: Abatantuono, Boldi, De Sica, Accorsi
Ha sempre fatto scelte originali sugli attori. Pensiamo ad Abatantuono e a Boldi utilizzati in dei film drammatici...
Massimo Boldi recitò in Festival: aveva visto Regalo di Natale e quell'esempio aveva suggestionato tutti i comici italiani. Non c'era un comico italiano che non volesse essere redento. Ci chiamavano la "Tintoria Avati": portare Boldi in tintoria voleva dire liberarlo da tutte le "colpe" che aveva avuto. Boldi aveva detto a De Laurentiis: o mi fai fare un film serio, o non faccio più i cinepanettoni. Aurelio ci telefonò. E mi venne in mente l'episodio di Walter Chiari a Venezia, quando Carlo Delle Piane vinse la Coppa Volpi per Regalo di Natale. Per tutta la notte precedente Walter Chiari festeggiò e chiamò gli amici sicuro di aver vinto la Coppa Volpi. E su quella idea, un pezzo di vita tremendo, perché Walter Chiari era al suo tramonto e il premio gli avrebbe dato autostima, scrissi il copione per Boldi. Ma il film andò male. La differenza con Regalo di Natale, che era andato benissimo, è questa: Diego Abatantuono fu salvato da quel film. In quel momento era fuori dal cinema, aveva un night, Lady Godiva, sotto all'Hotel Excelsior di Rimini. Gli ultimi film da "terrunciello" erano andati male. Un distributore di Milano ci disse: se avete Abatantuono vi togliamo 300 milioni del minimo garantito. Abbiamo difeso Diego, e lui ha sempre raccontato questa cosa, è uno riconoscente.
E nel caso di Christian De Sica come è andata?
Gli vogliamo un bene dell'anima. Ma lui non sa che invece deve fare quel cinema lì, continua a fare il comico, contro tutto e tutti, anche perché anagraficamente, il comico ha una scadenza, il comico in età rischia di essere un po' patetico. Christian De Sica è un attore straordinario. E lo ha dimostrato ne Il figlio più piccolo e nella serie Un matrimonio. È di una duttilità e una sensibilità uniche, avrebbe potuto essere più ambizioso sul piano qualitativo. È una cosa che gli rimprovero. Si fa perdonare con il teatro.
Ha lanciato Stefano Accorsi. A distanza di tempo che ne pensa di quell'intuizione?
Sono andato ai provini per Fratelli e sorelle a Bologna, alla scuola di teatro Galante Garrone. Faccio 150 provini, cercavo due ragazzi da portare in America. Esco e c'è un ragazzo che chiede come iscriversi alla scuola. Mi chiede: ma lei è Pupi Avati? Posso accompagnarla in albergo? Posso venire a cena con lei? Uno di quelli che non li molli più. Ma era così simpatico, così carino. E la sua fidanzata mi disse; lo prenda signor Avati, lo porti in America. Per fare un favore alla sua fidanzata, lo prendo. Sul set, il primo giorno, è bravissimo, una spontaneità, una confidenza unica con la macchina da presa. Ma lui non cita mai la sua fidanzata. Che poi è stata lasciata.
Scambi di persona: da Silvio Orlando a... Tinto Brass
Cosa ci può raccontare dell'incontro con Silvio Orlando per Il papà di Giovanna?
Antonio Avati: Veniva da un cinema che si imparentava poco con il nostro, essendo l'attore feticcio di Nanni Moretti. Era un periodo che Moretti non ci amava troppo, ed era reciproco. E pensavamo che anche Silvio Orlando non amasse il nostro cinema. Invece combinammo un appuntamento fuori dal Teatro Ambra Jovinelli: Silvio fu entusiasta, per cui gli abbiamo chiesto se potevamo scrivere il copione su di lui. Pupi Avati: Tutti gli dicevano ci saluti tanto Pupi Avati... lo scambiavano per Carlo Delle Piane! Come succede a me con Tinto Brass...
La scambiano davvero con Tinto Brass?
Due anni fa ero in chiesa, e mi sento guardato da un signore di mezza età, elegante. Mi sentivo lusingato, vuol dire che mi aveva riconosciuto. Finalmente arriva il momento della comunione. Mi alzo, mi metto in fila e me lo sento dietro. Vado a inginocchiarmi e viene a inginocchiarsi accanto e mi dice: lei non sa il piacere che mi dà far la comunione con Tinto Brass... ma che vuoi dire a uno così? E poi se Tinto Brass mette piede in una chiesa lo mandano via... Tutti mi prendono per Tinto Brass, con cui non credo di aver niente in comune...
Fellini, Pasolini e i sassolini
Dopo tanti anni di lavoro quanti sassolini nelle scarpe si vuole levare?
Io vorrei fare la pace con tutti. Come quando si giocava in cortile, c'era quello che è tuo nemico, ma quando arriva l'imbrunire cominci ad avere una gran voglia di far la pace. Non voglio dire che sono vicino all'imbrunire, ma avendo ottant'anni i titoli di coda sono in prossimità. E vorrei chiarire molte cose. Non siamo stati molto amati. Ma l'emarginazione me la sono andata a cercare: che bisogno c'è che io dica continuamente che vado in chiesa tutti i giorni? Che bisogno c'era di non pronunciarsi per uno schieramento politico di un certo tipo al quale tutti dovevano per forza richiamarsi? Che bisogno c'era quella sera, nel salotto di Laura Betti, con Moravia, Bertolucci, Bellocchio, Pasolini, di dire che noi votavamo democristiano? Ti vuoi far del male da solo! Però se vuoi avere un'identità devi fare in modo che la tua filmografia sia sempre perennemente alternativa e devi emarginarti.
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E i sassolini?
Credo che i sassolini siano i film, la sopravvivenza dei miei film. Potrei benissimo citare un regista che è stato iper lodato, e quanto è scaduto oggi rispetto ai miei film. Il cinema è uno strumento che ha una data di scadenza. Flaiano diceva che dopo 15 anni qualunque film drammatico diventa un film comico. È abbastanza vero, a meno che non ci sia la poesia. Accattone non l'ammazzerai mai, sarà sempre un film attuale. Altri film di Pasolini, come altri film di Fellini sono invecchiati in modo imbarazzante, sono "felliniani" nel modo più indecente in cui poteva essere un film felliniano. Christian De Sica mi raccontò che era andato sul set di Ginger e Fred, a trovare Fellini e lui, mentre girava una scena con Mastroianni e la Masina, si girò e gli disse: stavolta ci beccano, se ne accorgono. È la maniera che ti frega sempre: quando hai successo con un modo di fare tendi ad aggrapparti a quella cosa che è andata bene.
Dante Alighieri, Benigni ed Edward Furlong
A che punto è il progetto su Dante?
È un progetto partito dal sindaco di Ravenna. Nel 1350 Giovanni Boccaccio per risarcire Dante, morto da 29 anni e trattato male dalla città di Firenze, portò dieci fiorini d'oro alla figlia di Dante. E da lì iniziò una ricerca su chi era stato Dante. È l'approccio più bello che ci sia: mi sono ispirato a Salvatore Giuliano di Rosi, dove Salvatore Giuliano non si vedeva mai. Questo è un film su Dante in cui c'è Boccaccio che lo va a cercare, che va a intervistare per parlare di lui, è l'approccio migliore. Altrimenti come fai? Chi prendi, Benigni? Rai Cinema ci ha promesso che lo faremo, quest'anno ci sarà l'approvazione, il prossimo anno le riprese, e nel 2021 la programmazione. Sarà un film, come l'operazione magnifica che ha fatto Martone con Leopardi. Non volevamo che fosse una fiction televisiva.
Qual è il film che vi ha fatto più penare?
Antonio Avati: Quello più impegnativo dal punto di vista del budget è stato I cavalieri che fecero l'impresa. Mettemmo insieme sei produttori. L'attore protagonista era Edward Furlong, che veniva da Terminator 2 - il giorno del giudizio e aveva delle crisi "chimiche".
I Fratelli Avati e il cinema italiano
Tra Pupi e Antonio, chi è che consola l'altro?
Antonio è molto più forte di me, io sono molto più fragile. Però ho la capacità di riprendermi dalle tante ferite. Cinquant'anni di cinema vuol dire avere avuto un sacco di insuccessi. In cinquant'anni cinquanta titoli, vuol dire aver avuto un sacco di volte che è andata male, e le volte che va male sono molto più dolorose delle poche volte in cui è andata bene. Per riprendersi bisogna essere molto incazzati. Credo che l'energia più forte venga dall'invidia: devi trovare ingiusto il successo altrui, e allora incominci a collocarti in una posizione in una tua classifica ideale, per cui pensi che deva capitare qualche cosa. Vorrei che Il signor Diavolo fosse, come quando fai le analisi del sangue, il quadro di tutti i valori, un test del cinema che facciamo noi oggi.
Come vede il cinema italiano oggi?
Dai dati Cinetel, questa settimana tra i primi dieci titoli non ce n'è uno italiano. E non è che non si producono. Siamo totalmente colonizzati, i nostri nipoti comprano immaginari altrui. Siamo un paese in cui abbiamo 5 milioni di spettatori televisivi fidelizzati su un tipo di proposta televisiva con cui nessuno di noi ha rapporti, quei programmi che "vincono la serata".
Antonio Avati: I nostri figli e nipoti ci dicono: non sarai mica andato a vedere un film italiano? Siamo rovinati anche perché abbiamo fatto per sei sette anni consecutivi i film coi copia e incolla, con Giallini, con Alessandro Gassman, Ambra Angiolini, Ricky Memphis, tutti uguali. Adesso forse un po' meno.
Pupi Avati: E poi questa rinuncia a riprovare a fare i generi. Prima di riuscire a produrre Il signor Diavolo, un film di genere a basso costo, abbiamo avuto sei no.