Le carceri spagnole, sotto il regime franchista, erano luoghi infernali in cui le guardie spadroneggiavano tiranneggiando i detenuti e arrivando a utilizzare la tortura per placare gli animi più bollenti. Il regista de La isla minima Alberto Rodriguez si immerge in questa atmosfera brutale per ricostruire la battaglia dei prigionieri per l'amnistia nel periodo a cavallo tra la morte di Franco e l'insediamento di un nuovo governo liberale. Il risultato è Prigione 77. Per far empatizzare lo spettatore con la condizione dei detenuti, il regista si affida alla star de La casa di carta Miguel Herran concentrandosi su una vicenda personale inserita in un contesto generale di ricostruzione storica.
Il suo Manuel viene schiaffato tra ladri e stupratori, ma anche omosessuali e prigionieri politici, per aver sottratto una somma di denaro all'azienda per cui lavorava con la complicità del figlio del padrone. Incastrato dal suo mandante, Manuel si ritrova completamente abbandonato nelle grinfie del sistema carcerario. Con l'unico parziale sollievo delle visite della sorella della sua fidanzata, che invece non ne vuol più sapere di lui, Manuel subisce la violenza delle guardie e quando capisce che la democrazia, dietro quelle mura, non è ancora arrivata, diventa un attivista per i diritti dei detenuti.
La cieca violenza delle prigioni spagnole
Solido e coinvolgente (anche se una ventina di minuti in meno non lo avrebbero affatto danneggiato), Prigione 77 trascina lo spettatore nel dramma della situazione carceraria facendogli percepire la claustrofobia, la perdita della speranza e il dolore (anche fisico) attraverso una narrazione ben calibrata e una rete di personaggi caratterizzati con cura. La vicenda di Manuel è solo la punta dell'iceberg. Nel carcere barcellonese di La Modelo, chiuso nel 2017 e trasformato in centro culturale, ma tornato alle origini per il set di Alberto Rodríguez, brulica una fauna umana piuttosto varia. Tra intellettuali, spie e delinquenti tradizionali spiccano lo ieratico Pino (Javier Gutiérrez), veterano del carcere che sogna di uscire mentre passa il tempo leggendo romanzi di fantascienza, e il bonario El Negro (Jesús Carroza) che vorrebbe solo tornare dalla sua numerosa famiglia. Ritratti di umanità varia che Manuel incontra, e con cui si scontra, dentro La Modelo.
Confrontando le sequenze del film con le foto in bianco e nero durante i titoli di coda, che ritraggono il carcere e i veri detenuti alla fine degli anni '70, possiamo apprezzare la cura con cui Rodriguez ha ricostruito nei minimi dettagli ambienti, costumi e atmosfere. Il regista calca la mano nelle sequenze più violente, tra proteste, scontri e rivolte, non risparmiando niente, neppure i dettagli più truculenti, che mettono alla prova gli spettatori più sensibili. Ma le sue scelte radicali rafforzano il realismo della rappresentazione.
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Un dramma storico che fa tesoro dei modelli del genere
Superando le due ore di durata, Prigione 77 riunisce i vari sottogeneri del dramma carcerario: c'è il romanzo di formazione, la denuncia della situazione disumana alla Fuga di mezzanotte e il consolidarsi del legame tra detenuti che sognano la fuga in stile Le ali della libertà, ma prima di tutto il film è la ricostruzione di uno spaccato storico che sceglie di aderire a un punto di vista politico ben preciso, forzando la mano in alcuni passaggi narrativi un tantino grossolani per corroborare la sua tesi.
Con il suo accurato lavoro di regia, soprattutto nelle sequenze più concitate, Alberto Rodriguez si fa perdonare perfino qualche rallentamento nel ritmo narrativo. Il cineasta dirige con sicurezza un cast più che convincente e se l'impegno di Miguel Herrán è visibile, a rubare la scena è Javier Gutiérrez nei panni di Pino. Con la sua barba bianca, le sue camicie sgargianti da dandy e la sua passione per la fantascienza, è lui il personaggio che difficilmente riusciremo a dimenticare.
Conclusioni
Come rivela la nostra recensione di Prigione 77, Alberto Rodriguez ci regala un dramma carcerario solido e appassionante che è anche un importante spaccato storico della Spagna a cavallo della fine del franchismo. Un cast in parte, capitanato dalla star de La casa di carta Miguel Herran, per una pellicola cruda e senza compromessi che denuncia la violenza dei penitenziari spagnoli prima dell'avvento della democrazia.
Perché ci piace
- La ricostruzione storica è dettagliata e appassionante.
- Un film senza compromessi, soprattutto nei momenti più violenti.
- Accurata la rappresentazione dei personaggi, con Pino (Javier Gutierrez) che ruba la scena in ogni occasione.
Cosa non va
- Essendo un film a tesi e prendendo una posizione politica ben precisa, a tratti c'è qualche forzatura nella narrazione.
- Il ritmo è altalenante.