Dopo gli applausi raccolti al Festival di Cannes 2014, dove si è aggiudicata la Queer Palm come miglior film a tematica gay, e il grande successo di pubblico (settecentomila spettatori solo in patria), dall'11 dicembre arriverà nelle sale italiane, distribuita da Teodora Film, Pride, l'irresistibile commedia di Matthew Warchus basata su un reale episodio nella storia della Gran Bretagna: l'inedita alleanza che, nel 1984, unì un gruppo di attivisti gay e lesbiche ed il sindacato nazionale dei minatori, impegnato in un serrato braccio di ferro contro il giro di vite imposto dal Governo di Margaret Thatcher.
Con un variegato cast che, accanto a giovani attori emergenti, include diversi volti noti del cinema British (Bill Nighy, Imelda Staunton, Paddy Considine e Dominic West), Pride racconta una pagina estremamente significativa nel processo di emancipazione e nella lotta per il riconoscimento dei propri - e degli altrui - diritti da parte di una minoranza che, in Gran Bretagna, non ha certo avuto vita facile. Ce lo ricorda anche un altro film di prossima uscita, l'apprezzatissimo The Imitation Game, biopic di Morten Tyldum dedicato alla figura del geniale matematico Alan Turing, impersonato da Benedict Cumberbatch: un uomo che, nonostante i suoi straordinari meriti scientifici e il suo contributo alla vittoria delle forze Alleate nella Seconda Guerra Mondiale, sarebbe stato perseguito dalle autorità giudiziarie perché gay e costretto a subire la castrazione chimica.
In Inghilterra e in Galles, difatti, l'omosessualità è stata depenalizzata soltanto nel 1967 (prima di quella data costituiva a tutti gli effetti un reato penale), mentre per la Scozia e l'Irlanda del Nord si è dovuto attendere l'inizio degli anni Ottanta. Da allora, la Gran Bretagna ha compiuto diversi progressi importanti in materia di legislazione sui diritti LGBT, con l'approvazione delle unioni civili nel 2005 (e in seguito dei matrimoni gay, con una legge in corso di definizione), delle adozioni per le coppie omosessuali e di norme contro l'omofobia. Un percorso testimoniato in più occasioni proprio dal cinema, mediante pellicole che hanno saputo illustrare in maniera emblematica la realtà della condizione omosessuale all'interno della società britannica, ma che al tempo stesso hanno contribuito ad una sempre più completa 'legittimazione' dell'omosessualità nella cultura e nell'immaginario collettivo. E proprio in occasione dell'uscita di Pride abbiamo deciso di proporvi una "cronistoria" di titoli fondamentali del cinema British che hanno descritto i vari aspetti dell'omosessualità nel Regno di Sua Maestà Britannica, fra discriminazioni e orgogliose prese di coscienza...
Gli anni Sessanta e Settanta: Victim e Domenica, maledetta domenica
Nel 1961, in una società in cui, per legge, i rapporti sessuali fra adulti di genere maschile erano considerati illeciti, il primo film britannico ad affrontare esplicitamente il tema dell'omosessualità (e ad usare al suo interno la parola homosexual) fu Victim, dramma psicologico diretto da Basil Dearden che, all'epoca, contribuì ad aprire il dibattito sull'assenza di diritti per le persone gay e sulle relative discriminazioni. Il film racconta la vicenda di Melville Farr, stimato avvocato londinese, sposato con Laura e in procinto di accedere ad una prestigiosa carica giuridica, il quale in passato aveva intrattenuto una relazione con un giovane operaio di nome Barrett (quest'ultimo vittima di un ignobile ricatto). L'importanza storica di un film come Victim risiede anche nel fatto che per la prima volta l'omosessualità fosse attribuita ad un protagonista in grado di suscitare una forte empatia nei confronti del pubblico; inoltre ad interpretare il ruolo di Melville fu il grandissimo Dirk Bogarde, all'epoca il più popolare attore d'Inghilterra (e gay non dichiarato, anche per obblighi legati al suo contratto), che in seguito avrebbe dato vita ad altri personaggi connotati da una latente omosessualità in film come Il servo e Morte a Venezia.
Dieci anni più tardi, nel 1971, quando l'omosessualità in Inghilterra era stata finalmente depenalizzata, ad esprimere il nuovo clima di liberazione sessuale post-Sessantotto, ma anche il senso di solitudine e di emarginazione legato a una certa concezione dell'"amore libero", fu il magnifico Domenica, maledetta domenica, superbo dramma sentimentale diretto dal regista John Schlesinger e incentrato su un triangolo amoroso: quello fra lo scultore bisex Bon Elkin, il suo compagno, il maturo medico ebreo Daniel Hish, e una donna, Alex Greville, che accetta di condividere Bon con Daniel. Caratterizzato dalle eccezionali interpretazioni di Peter Finch e di Glenda Jackson e ricompensato con quattro nomination all'Oscar (incluse quelle per Schlesinger e per la coppia di attori), Domenica, maledetta domenica offrì un ritratto simpatetico di un protagonista gay, Daniel, impersonato da Peter Finch in una performance di grande intensità.
Sentimento e repressione: Another Country e My Beautiful Laundrette
Realizzato nel 1984 dal regista Marek Kanievska e ambientato negli anni Trenta nel rinomato collegio di Eton, Another Country - La scelta, trasposizione dell'omonimo dramma teatrale di Julian Mitchell, è un film che esprime alla perfezione il clima di repressione e di soffocamento delle libertà individuali tipico della società inglese della prima metà del secolo, anche (e soprattutto) per il ceto della media ed alta borghesia. La trama del film si sviluppa a partire dal suicidio di Martineau, uno studente sorpreso a masturbarsi insieme ad un suo coetaneo: l'avvenimento genera immediato scandalo all'interno della comunità di Eton e acuisce i conflitti fra i vari personaggi, incluso il narratore della vicenda, Guy Bennett, il quale non fa mistero della propria omosessualità. Ad interpretare i due protagonisti furono due giovani attori destinati ad una brillante carriera: Rupert Everett e l'esordiente Colin Firth, che avevano già recitato lo stesso testo sui palcoscenici londinesi.
Appena un anno più tardi, con un approccio differente e strettamente radicato all'attualità dell'Inghilterra thatcheriana, fu il regista Stephen Frears a regalare al pubblico un cult movie del cinema queer con My Beautiful Laundrette, firmato dal celebre scrittore Hanif Kureishi. Ambientato nella comunità indiana residente nei sobborghi londinesi in un periodo di gravi conflitti sociali, My Beautiful Laundrette ha come protagonista Omar Ali, un giovane pakistano che si prende cura del padre Hussein, giornalista politicamente schierato, e viene incaricato dallo zio Nasser di gestire una lavanderia nel distretto di Battersea. Omar, che la famiglia vorrebbe vedere sposato con la cugina Tania, conduce inoltre una turbolenta relazione con Johnny Burfoot (interpretato da un giovane Daniel Day-Lewis), un bianco coinvolto con gruppi di estrema destra. Amalgamando abilmente dramma e ironia, Frears e Kureishi realizzarono un film originale ed accattivante, in cui il sentimento omosessuale viene vissuto finalmente senza sensi di colpa, benché continuando a celarsi agli occhi della società e ai pregiudizi dei rispettivi background di provenienza.
Fra letteratura, teatro e cinema: Maurice ed Edoardo II
Se un film quale My Beautiful Laundrette si approccia al tema dell'omosessualità in un contesto contemporaneo correlato alla società coeva, altri autori hanno deciso al contrario di far riferimento a classici della letteratura o del teatro ambientati nel passato. Nel 1987 il regista americano James Ivory, reduce dal trionfo di Camera con vista, portò sullo schermo un altro romanzo dello scrittore Edward Morgan Forster: Maurice, commovente racconto dell'accettazione della propria omosessualità da parte di Maurice Hall, un ragazzo di buona famiglia nell'Inghilterra edoardiana, il quale realizza per la prima volta la natura dei propri sentimenti attraverso il rapporto platonico con Clive Durham, suo compagno di studi a Cambridge, per poi essere respinto da quest'ultimo e riscoprire la passione fra le braccia del giovane guardacaccia Alec Scudder. Contrassegnato da un romanticismo tenero e malinconico, Maurice è un'opera in cui il percorso di un emblematico coming of age si fonde con acute notazioni sociologiche sulla mentalità classista ed ipocrita dell'Inghilterra di inizio secolo. Vincitore del Leone d'Argento al Festival di Venezia e della Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile per i due protagonisti, James Wilby e Hugh Grant, Maurice, proprio in virtù del suo successo internazionale, contribuì alla sensibilizzazione del pubblico nei confronti delle difficoltà dell'esperienza omosessuale, nonché a ribadire l'intrinseca dignità del cosiddetto "vizio dei greci".
Non altrettanto "filologicamente corretta" e di tutt'altro stampo, invece, è l'operazione condotta nel 1991 da Derek Jarman, uno dei nomi di punta del cinema queer a cavallo fra i due decenni, con la sua rielaborazione squisitamente postmoderna della tragedia storica di Christopher Marlowe Edoardo II. Contraddistinto dalla compresenza di scenografie ed abiti medievali e di elementi appartenenti alla contemporaneità (incluso un cameo di Annie Lennox, che compare nel film cantando il brano di Cole Porter Ev'ry Time We Say Goodbye), il film di Jarman, il quale aveva già diretto diverse pellicole a tematica gay, da Sebastiane a Caravaggio, descrive la passione fra il sovrano d'Inghilterra Edoardo II e Piers Gaveston, Duca di Cornovaglia, illustrando in maniera esplicita il sottotesto omoerotico del dramma di Marlowe ed inserendo precisi richiami al presente (ad esempio, l'esercito del Re è trasformato in un gruppo di attivisti per i diritti LGBT). Un'algida Tilda Swinton fu premiata come miglior attrice al Festival di Venezia per il ruolo di Isabella di Francia, l'infida moglie del sovrano.
L'identità sessuale nel cinema di Neil Jordan: La moglie del soldato e Breakfast on Pluto
Uno dei temi chiave nella produzione del regista irlandese Neil Jordan è costituito dalla ricerca e dalla definizione di un'identità personale che passa inevitabilmente anche attraverso la sessualità: un elemento attorno al quale Jordan ha costruito i propri film più intriganti ed intensi. Invitando chi non avesse mai visto la pellicola in questione ad evitare lo spoiler passando direttamente al paragrafo successivo, è significativo rilevare come nel capolavoro di Jordan, La moglie del soldato, che nel 1992 ottenne sei nomination ed il premio Oscar per la miglior sceneggiatura, l'ambiguità morale del protagonista Fergus (Stephen Rea), ex terrorista nelle file dell'IRA, si intrecci con l'ambiguità sessuale che lo porterà ad innamorarsi di Dil, la compagna di una delle sue vittime, senza rendersi subito conto che Dil (uno dei più celebri colpi di scena del cinema moderno) è in realtà un maschio. Il giovane esordiente Jaye Davidson incarna difatti un personaggio memorabile, il cui fascino androgino funge da veicolo per l'esplorazione della natura di sentimenti e desideri che collidono in maniera sorprendente con i risvolti noir della trama.
Neil Jordan tornerà sui medesimi territori del travestitismo e della ricerca di un'identità sessuale (ma secondo modalità narrative più canoniche) nel 2005 con Breakfast on Pluto, adattamento del romanzo di Patrick McCabe, con un prodigioso Cillian Murphy il cui aspetto efebico gli permette di dare corpo e volto al personaggio di Patrick / Patricia Braden, un transgender che cresce in una soffocante realtà di provincia irlandese per poi decidere di trasferirsi a Londra, negli anni del glam rock e dei grandi mutamenti socio-culturali. Un percorso di formazione spesso complesso e doloroso, ma narrato da Jordan con una liberatoria ironia e con una viscerale partecipazione nei confronti di un(a) protagonista in grado di incantare lo spettatore con la sua ingenua dolcezza.
Fra coming of age e trasgressione: Velvet Goldmine e The History Boys
Il racconto di formazione, per l'appunto, è un genere che si ricollega molto di frequente con il cinema a tematica gay, che in tal senso offre ampie possibilità di sviluppo di storie dal taglio molto diverso. È la cronaca di un coming of age, per quanto sui generis, quella messa in scena dal regista americano Todd Haynes in Velvet Goldmine del 1998, formidabile ritratto della scena glam nella Gran Bretagna dei primi anni Settanta attraverso lo sguardo di Arthur Stuart (Christian Bale), un ragazzo gay che sperimenta il senso di repressione causato da una famiglia conservatrice, ma che troverà una valvola di sfogo e un modello a cui riferirsi nella figura di Brian Slade (Jonathan Rhys Meyers), rockstar in ascesa che fa degli eccessi, dell'ambiguità sessuale e di un kitsch elevato a forma d'arte i propri marchi distintivi. Haynes, in sostanza, si ispira alla parabola artistica del primo David Bowie per offrire un affresco di stupefacente originalità sui fermenti della Londra nell'epoca del glam e sulla rivoluzione sessuale che avrebbe contribuito ad abbattere tabù e pregiudizi.
È un coming of age più 'quieto' e ordinario, ma di sicuro altrettanto coinvolgente, quello di David Posner, studente gay ed ebreo che offre il punto di vista privilegiato in The History Boys, eccellente trasposizione del 2006, da parte del regista Nicholas Hytner, della pluripremiata commedia teatrale firmata dal grande Alan Bennett. Ambientato in un prestigioso istituto scolastico di Sheffield nel 1983, The History Boys narra con gusto per la trasgressione ed il "politicamente scorretto" le lezioni di una classe di studenti impegnati a prepararsi per l'esame di storia che permetterà loro di accedere alle Università di Oxford o Cambridge. Al centro del racconto, caratterizzato da dialoghi ironici e pungenti, vi è il rapporto fra gli studenti e il loro insegnante di poesia, il professor Hector (un impagabile Richard Griffiths), il quale non lesina delle timide advance verso i suoi alunni (fra i quali, a loro volta, non si risparmiano tensioni sentimentali o sessuali di vario tipo).
L'omosessualità nel cinema contemporaneo: Weekend e Philomena
Il punto di arrivo della nostra panoramica sul cinema LGBT in Gran Bretagna ci porta agli anni più recenti, con due ulteriori titoli, entrambi lodatissimi dalla critica, che hanno saputo affrontare il tema dell'omosessualità con sensibilità e finezza psicologica. Produzione indipendente scritta e diretta da Andrew Haigh e purtroppo inedita in Italia (dove in compenso è stata proiettata al Festival di Roma 2011), Weekend è uno dei film sentimentali più delicati e vibranti degli scorsi anni, anche per merito di un approccio basato su un rigoroso realismo nei dialoghi e nella messa in scena. La pellicola, sviluppata nell'arco di un fine settimana, è incentrata sul "breve incontro" fra Russell, un giovane omosessuale che vive a Nottingham, e Glen, un ragazzo conosciuto in un bar il venerdì sera; quella che era nata come la "storia di una notte" lascerà spazio alla possibilità che il loro rapporto possa diventare più intenso e profondo, man mano che i due imparano a conoscersi, a superare le reciproche barriere e a condividere i rispettivi stati d'animo.
Risale invece al 2013 Philomena, altra opera diretta dalla mano sapiente di Stephen Frears, che al Festival di Venezia ha ricevuto il premio per la miglior sceneggiatura ed il Queer Lion come miglior film a tematica gay, oltre ad essersi aggiudicata quattro nomination all'Oscar. L'elemento dell'omosessualità, benché posto apparentemente in secondo piano, assume particolare rilevanza nell'ambito delle indagini condotte dal giornalista Martin Sixsmith e dall'anziana Philomena Lee (impersonata da una splendida Judi Dench) per ritrovare il figlio che la donna era stata costretta a dare in adozione cinquant'anni prima: Michael A. Hess, consulente legale del Partito Repubblicano, omosessuale non dichiarato e vittima dell'AIDS nel 1995. Una storia vera in cui all'aspetto del disagio di condurre una vita privata "nascosta" si sovrappone l'elogio di un amore materno in grado di superare qualunque discriminazione o pregiudizio.