"Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo". L'incipit di un grande classico della letteratura russa, Anna Karenina di Lev Tolstoj, nel corso degli anni, è stato abusato e citato innumerevoli volte per parlare di nuclei familiari raccontati in film o serie tv. Uno come quello protagonista di Presunto innocente composto da una coppia di genitori, il vice procuratore capo di Chicago Rusty Sabich (Jake Gyllenhaal) e sua moglie Barbara (Ruth Negga), e una coppia di figli, gli adolescenti Jaden (Chase Infiniti) e Kyle (Kingston Rumi Southwick), la cui felicità apparente si sgretola sotto il peso di un'accusa di omicidio.
Presentata in anteprima al Tribeca Film Festival, la serie Apple TV+ ideata da David E. Kelley e basata sull'omonimo bestseller di Scott Turow (già adattato in un lungometraggio diretto da Alan J. Pakula nel 1990 con protagonista Harrison Ford) è arrivata al suo ottavo e ultimo episodio. La resa dei conti finale per Rusty, accusato di aver ucciso la collega e amante Carolyn Polhemus (Renate Reinsve, che dopo il successo di La persona peggiore del mondo ha scelto progetti ricercati e poco scontati come Another End e A Different Man) dopo che questa aveva deciso di troncare la loro relazione.
Presunto innocente: David E. Kelley, il re dei legal drama
Il legal drama attraversato da sfumature di thriller erotico è riuscito ad accaparrarsi il titolo di dramma più visto sulla piattaforma ottenendo il rinnovo per una seconda stagione (incentrata su un nuovo caso) nel corso della messa in onda del primo capitolo. Un successo notevole, sebbene non siano mancati detrattori che hanno apostrofato la serie come noiosa e il suo ideatore di non riuscire ad uscire da un'aula di tribunale.
Effettivamente a guardare i titoli che compongono la carriera di David E. Kelley, da Ally McBeal a Boston Legal passando per Big Little Lies, Anatomia di uno scandalo e The Undoing è palese come lo sceneggiatore e produttore abbia una predilezione per il genere (complici gli studi in giurisprudenza), specie se intrecciato a questioni personali che rendono l'indagine ancor più torbida. Ma forse, più che noiosa, Presunto innocente è semplicemente classica. Segue, cioè, tutte le tappe che ci si aspetterebbe da una serie drammatica in cui si intrecciano elementi procedurali e polizieschi.
Presunto innocente, recensione: Jake Gyllenhaal e David E. Kelley per un'ambigua serie crime
Andamento classico e cliffhanger
Se dovessimo evidenziare un difetto di Presunto innocente, comune a molte altre serie tv, è l'attitudine ad allungare le fila del racconto nella parte centrale della stagione. Una sorta di zona ponte che serve a traghettare l'inizio con la fine e in cui, spesso, si tende a ripiegarsi su se stessi. Caratterizzata dal ritmo controllato e rarefatto della regia di Anne Sewitsky e Greg Yaitanes, la serie - prodotta, tra gli altri dallo stesso Jake Gyllenhaal insieme alla Bad Robots di J.J. Abrams - ha però disseminato una serie di cliffhanger ad effetto nel corso degli episodi.
Come quello che conclude il settimo episodio, Il testimone, con il neo procuratore di Chicago Tommy Molto (Peter Sarsgaard) che nella cucina di casa si ritrova l'arma del delitto accompagnata da un post it che recita: "Go Fuck Yourself". L'ottava ed ultima puntata, Il verdetto, riparte proprio da quel ritrovamento che rischia di portare ad un secondo annullamento del processo dopo il malore in aula dell'avvocato difensore e migliore amico di Rusty, l'ex procuratore Raymond Horgan (Bill Camp). Un pericolo scongiurato dalla decisione di non ammettere il reperto compre prova dato che privo di impronte digitali o elementi certi che potrebbero ricollegarlo alla scena del crimine.
Una vittima rimasta bidimensionale
Ciò che veramente ha scricchiolato nella scrittura della serie è la bidimensionalità della procuratrice Carolyn Polhemus. È rimasta sullo sfondo di questa storia come una donna capace di far perdere la testa all'imputato, tenere segreta la sua vita privata e così determinata nel vincere da occultare delle prove a sostegno della sua testi. Per il resto la psicologia di Carolyn non è stata mai veramente approfondita e si è limitato a mostrarla in una serie di flashback fulminei, spesso di natura sessuale. Un passo falso.
Anche perché la serie avrebbe potuto approfittarne per ribaltare l'idea della donna predatrice che ha caratterizzato cinema e letteratura degli anni Ottanta e Novanta che irretisce un rispettabile uomo di famiglia e lo porta a tradire. Sempre interessante, invece, come la politica e le sue infiltrazioni, anche nelle aule di tribunale - la posizione dei procuratori nel sistema giudiziario americano è politica e sono figure elette dai cittadini - facciano da sfondo al racconto. L'omicidio avviene, infatti, nel corso di una campagna elettorale per la rielezione del procuratore di Chicago.
Presunto innocente: differenze e analogie tra la il film e la serie tv
Un finale che trattiene il fiato
Il finale di stagione di Presunto Innocente sembra trattenere il fiato esattamente come i suoi personaggi, ognuno con le proprie motivazioni per temere il verdetto della giuria. Questo si traduce in una puntata ancor più riflessiva e ricca di silenzi. Un'attesa tutt'altro che placida che, nella quiete, nasconde un tumulto di emozioni e paure. Su tutte quelle di Rusty consapevole di avere la sua vita nelle sue stesse mani. Per questo decide di pronunciare lui l'arringa finale davanti agli uomini e le donne che dovranno giudicarlo. Un discorso da procuratore ma, prima ancora, da uomo consapevole dei propri errori che lo portano ad "accettare e mantenere il disprezzo come uomo sposato, padre ed essere umano" per il suo tradimento. Ma che rifugge l'accusa infamante di aver uccido lui Carolyn Polhemus.
Nel corso di tutta la stagione, la sceneggiatura scritta a sei mani da David E. Kelly, Sharr White e Miki Johnson, non ha mai smesso di sottolineare la tematica della famiglia. Unita, tradita, spaventata. A cercare di tenerla salda la figura di Barbara, tradita due volte da Rusty. La prima quando ha scoperto della relazione con la collega del marito, la seconda quando è venuta a conoscenza che quella storia che credeva conclusa in realtà era ripresa. La prova attoriale di Ruth Negga, grande interprete che meriterebbe molto più spazio, si è giocata su un dolore sempre misurato, vissuto nella discrezione e nella solitudine. Specie per proteggere i figli che, con l'accusa di omicidio divenuta di pubblico dominio, hanno dovuto fare i conti con la fallibilità paterna. Un uomo, marito e padre all'apparenza integerrimo ma, invece, disonesto come molti altri.
Il tema della famiglia è centrale anche nell'ultimo episodio. Come sempre Barbara e i ragazzi sono al fianco di Rusty nell'aula di tribunale che dovrà giudicarlo. Ma non solo. Perché l'omicidio al centro della serie diventa una questione di famiglia per i Sabich ben oltre l'accusa nei confronti dell'ex vice procuratore. E, come sempre, è interessante ripensare a ritroso a ciò a cui abbiamo assistito per ricomporre il puzzle investigativo che ha portato allo svelamento del colpevole. Così come non si può non pensare a Tolstoj e a quello scambio di sguardi finali di Presunto innocente che ci riporta alle prime righe del suo romanzo.
Conclusioni
Il finale di stagione di Presunto Innocente ne conferma i pregi e difetti. Sorretta da un grande cast, la serie riesce a mantenere intatta la sua atmosfera a metà strada tra legal drama e thriller ma dimentica fino all'ultimo di dare giusto spessore psicologico alla vittima. La scoperta del colpevole nei minuti conclusivi potrebbe non essere così sorprendete per una fetta di spettatori.
Perché ci piace
- Le interpretazioni di un cast sempre in parte
- La riflessione sulle implicazioni politiche del caso giudiziario
- L'andamento rarefatto che riflette lo stato d'animo dei personaggi
Cosa non va
- La bidimensionalità psicologica della vittima
- Alcuni spettatori potrebbero giudicare il colpevole una scelta scontata