Pochi segreti dietro la finestra
Secret Window è l'ennesima trasposizione cinematografica di un racconto o romanzo di Stephen King che vede come protagonista uno scrittore alle prese con i fantasmi che scaturiscono dal proprio lavoro, dall'ossessione per esso, dalla conseguente mancanza di una vita "vera", e ancor di più dal rapporto conflittuale con la propria creatività.
Il nome di questo protagonista in Secret Window è Mort Rainey, giovane autore di successo che dopo aver colto la moglie in flagranza di tradimento si è separato e vive isolato, accidioso e tormentato, in una casa su un lago. Ricordo dell'odiosa scoperta ed dolore per un amore finito a parte, il massimo del fastidio nella vita di Mort deriva dall'invadenza della donna che gli fa le pulizie in casa, fino al giorno in cui un misterioso straniero gli si presenta alla porta accusandolo di aver plagiato un suo racconto. Lo straniero non solo accusa, ma minaccia, e pretende "giustizia"... e presto Mort si troverà coinvolto in un pericoloso gioco al gatto e al topo.
Ad adattare e portare al cinema il racconto di King è David Koepp, uno degli sceneggiatori più importanti di Hollywood - sua la firma in calce agli script di film come Carlito's Way, Panic Room e Spider-Man - qui alle prese con la sua seconda regia dopo il buon esordio del 1999 del thriller Echi mortali. Un Koepp che, per personalizzare e riuscire ad esaltare le qualità di un racconto che non contiene elementi di particolare originalità, decide di pestare da subito sul pedale dell'elaboratezza visiva e delle metafore narrative, aprendo il film con un elegante e complesso movimento di macchina che - oltre a citare quello con cui Alfred Hitchcock apre il suo Psycho - ci mette subito di fronte ad una certa irrazionalità della storia, inquadrando l'immagine di Mort che riposa su un divano riflessa in uno specchio che poi si rivela essere l'immagine originale.
Per sfortuna di Koepp e dello spettatore però, non basta giocare sull'ambivalenza dell'immagine speculare, sulla sua doppiezza, sulla sua ambiguità per costruire un film sufficientemente solido dal punto di vista estetico e tematico. Secret Window è costellato ad ogni inquadratura da simboli come appunto specchi, finestre, porte, soglie da attraversare o da osservare, zone liminali oltre le quali la realtà potrebbe non essere quella che conosciamo, dove i nostri punti di riferimento si vanno a perdere, ma lo sfruttamento di questi pur interessanti temi e simboli da parte di Koepp non va oltre lo scolastico.
In un tale contesto è inoltre facile per lo spettatore dotato di un minimo di competenza di genere capire quale sia la vera natura - che in questa sede cerchiamo comunque di non svelare - del rapporto tra Mort Rainey e John Shooter, e questo priva da subito il film di quel giusto carico di tensione e mistero che sarebbe stato altrimenti adeguatamente supportato dalla già citata solida (ma a volte leggermente patinata) regia di Koepp e dalle interpretazioni dei protagonisti.
Johnny Depp - che interessantemente ha dichiarato come fonte d'ispirazione per il suo personaggio sia stato il tormentato Brian Wilson dei Beach Boys, così come un altro musicista, Keith Richards, lo fu per Jack Sparrow de La maledizione della prima luna - è in grado di caratterizzare e rendere ben strutturato un Mort Rainey che poteva rischiare di essere eccessivamente bidimensionale, e per questo gli si perdonano alcuni eccessi di gigionerie e mossette nella parte iniziale del film. John Turturro poi è efficace come sempre nei panni dell'inquietante Shooter, cui regala una monolitica e cieca determinazione, mentre è decisamente interessante la scelta di casting che ha portato un redivivo Timothy Hutton a vestire i panni del nuovo compagno della ex dello scrittore, a sua volta interpretata da Maria Bello.
Hutton era infatti il protagonista di un film che con Secret Window ha diversi punti di contatto, il sottovalutato La metà oscura di George A. Romero, pellicola in cui il grande vecchio dell'horror americano ha dimostrato di saper interpretare il materiale di King e le su trame di base in maniera più complessa ed interessante di quanto qui fatto da Koepp. Un Koepp che, pur volenteroso e con alcune buone carte da giocare, fa fatica a tenere le redini della narrazione e finisce col disperdere tra troppi stereotipi e luoghi comuni estetici e narrativi i già non numerosi pregi della sua pellicola.