Dopo l'insolito biopic dedicato al pittore inglese William Turner, Mike Leigh torna con un altro film in costume, Peterloo, per mettere a nudo le fragilità della democrazia. Seppur ispirato ad un tragico evento della storia inglese risalente al 1819, il film rappresenta come suggerisce lo stesso regista una riflessione sulla politica di ieri e di oggi. A 75 anni Mike Leigh crede ancora nella potenza del linguaggio cinematografico. Il suo umore, ci racconta, oscilla continuamente tra ottimismo e pessimismo. Specialmente in questo periodo. Il regista è arrabbiatissimo e preoccupato per lo scenario che si configura nel Regno Unito in seguito al voto favorevole alla Brexit.
Per questa intervista a Mike Leigh, abbiamo incontrato il regista a Roma, prima tappa di un tour che lo porterà in varie città italiane dove è ansioso di confrontarsi con il pubblico su un film che non ha solamente a che fare con la storia inglese. "Noi abbiamo la monarchia ma se non ci fosse un collegamento con ciò che sta accadendo nel resto del mondo allora non ci sarebbero affinità con questo sentimento paranoico di xenofobia che si sta verificando in America, nel Regno Unito, tanto quanto qui in Italia". Dopo la première alla Mostra del Cinema di Venezia il film, di cui abbiamo parlato nella nostra recensione di Peterloo, sbarca nelle nostre sale a partire dal 21 marzo. Le copie in circolazione dovrebbero essere una sessantina.
Dalla parte dei giovani e della libertà
Quali sono le Peterloo che rischiamo oggi?
Io mi auguro che il film stimoli le nostre preoccupazioni sulla democrazia piuttosto che dibattiti o controversie. Ho cominciato a lavorare su questo film nel 2014 e mi ha colpito quanto lo scenario sia stato capace di cambiare nel giro di pochissimi anni. Più facevo ricerche e più mi rendevo conto di quanto fosse attuale. Forse abbiamo dato per scontato gli aspetti positivi della democrazia e ora cominciano ad accadere eventi che ne minano profondamente i principi fondanti.
Scelta curiosa quella di non concludere un film storico con dei dati...
Non ho mai realizzato film con l'intento di suggerire messaggi o soluzioni. Volevo lasciare lo spettatore sul terreno delle proprie emozioni. Lascio che sia il pubblico a trarre le proprie conclusioni e, se ha voglia, di ricercare quei dati sulle morti, i feriti, gli arresti e i successivi sviluppi politici.
Non crede di essere, insieme al suo collega Ken Loach, l'ultimo depositario del cinema britannico di resistenza?
Non amo le generalizzazioni ma se così fosse non credo che dipenda dalla mancanza di talento o di volontà delle nuove generazioni di cineasti. Io e Ken Loach abbiamo lavorato in un'epoca dove era possibile guadagnarsi degli spazi di libertà. Penso che oggi questo sia molto più difficile. Sono cambiate le condizioni per i registi, non le loro motivazioni.
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Senza star e senza sceneggiatura
Quanto sono durate le riprese? Ha incontrato delle difficoltà nel girare le scene di battaglia?
Assolutamente sì, anche perché abbiamo deciso di fare a meno di realizzare riprese aeree per concentrarci sui tre quadri, quello dei magistrati, quello del popolo e quello degli oratori. Le riprese sono durate 16 settimane, di cui 5 dedicate alla battaglia. Mi sono avvalso dell'aiuto di una storica brillante come Jacqueline Riding che era presente sul set per dare indicazioni a me e al cast tecnico e artistico. Un lavoro del genere è solitamente frutto di organizzazione, partecipazione e creatività.
Come sempre ha deciso di non lavorare con delle star hollywoodiane...
Io sono un regista europeo e trovo più giusto lavorare con degli attori europei. Ma soprattutto lavoro con persone intelligenti e che hanno a cuore il film. Anche perché per i miei film non esiste mai una sceneggiatura canonica con dei dialoghi. Si lavora giorno per giorno sull'improvvisazione. Purtroppo molti attori sono stupidi e nei miei film non li vedrete mai.
Netflix e il progresso
Questo è forse il film più corale che lei abbia mai realizzato. Come mai ha deciso di raccontare questo evento storico secondo più punti di vista e non solo attraverso quello delle vittime?
Avrei anche potuto girare un film dedicato al solo giorno della tragedia ma temo che il risultato sarebbe stato piuttosto scarso. Il ritratto corale era l'unico modo intelligente di rivolgersi ad un pubblico intelligente facendo emergere tutti i temi che sono legati a questa triste vicenda.
Il film è targato Amazon Studios, lei cosa ne pensa delle piattaforme streaming?
Quello che pensano più o meno tutti i miei colleghi. Non è una buona notizia che il mio film sia visto attraverso uno smartphone ma sicuramente oggi i televisori domestici sono migliori di quelli che c'erano ai miei tempi. Non mi fa piacere neanche che mentre guardano i miei film gli spettatori abbiano la tentazione di saltare qualche scena o mettere in pausa per prendere un caffè o andare in bagno. Ma questo è il progresso e non si può fermare. Ho sottoscritto un abbonamento Netflix anch'io e non mi sento una cattiva persona per questo.