Con un allegro pensier, puoi la gioia suscitar...
David Lowery di pensieri felici ne deve aver fatti tanti nel costruire il suo Peter Pan & Wendy. Lontano da quel processo di filologico compia e incolla a cui sempre più spesso i classici disney vengono sottoposti, il suo live action vola in equilibrio tra i cieli della tradizione, ancorandosi a un immaginario del tutto nuovo, inedito, fresco.
Come sottolineeremo in questa recensione di Peter Pan & Wendy, ciò che ne consegue è una commistione di fiaba e realtà, sogno e fantasia, dolore ed emancipazione; è un dialogo diretto a quel fanciullino nascosto dentro ognuno di noi e adesso pronto a ritornare a volare. Quello diretto da Lowery è un filtro cinematografico di un'infanzia solo apparentemente perduta: la sua è una Jolly Roger che si àncora ai risvolti narrativi insidiatesi negli inframezzi dei nostri ricordi, senza per questo reiterarli, ma rinvigorirli di nuova luce ed enfasi. Tutto ritorna a brillare all'ombra di una fotografia desaturata; tutto sa di già visto, in un contesto del tutto nuovo; tutto è sogno tra gli spazi di contesti reali, veri, tangibili; tutto è dicotomico, paradossale; tutto è un live-action che, dopo anni di delusioni, lo spettatore finalmente si meritava.
Una terra fantastica nel mondo del reale
È un mondo colorato, brillante; è una terra dell'immaginazione e della fanciullesca fantasia, Neverland. Eppure, tra le mani di Lowery e del direttore della fotografia Bojan Bazelli, L'isola che non c'è si fa microcosmo di colori desaturati. Da novero della fantasia, dipinto di tonalità cangianti e scintillanti, Neverland affonda le proprie radici negli strati più profondi della terra, fino a prendere in prestito da una Londra urbana e cinerea, il verde fantasmatico di paure represse per mescolarlo a un giallo tenue di dolci legami familiari. Una lotta cromatica di tonalità fredde e calde, che dà vita a un mondo ombroso, quasi gotico, lontano da quell'immaginario colorato che sarebbe il perfetto contenitore di bambini mai cresciuti. Ma essere bambini per sempre porta con sé anche delle ombre, e Lowery non ha paura di indagare sul buio di queste oscurità timorose, di quelle ansie per un destino sconosciuto, o per un passato mai affrontato. I suoi personaggi non sono soltanto tratteggi bidimensionali che si muovono nello spazio di un ambiente fantastico, ma si fanno portavoce di paure e sogni, angosce e recriminazioni per scelte compiute da altri (Wendy) e per incomprensioni mai superate, che inaridiscono l'anima e induriscono il cuore (Uncino).
Volare con le ali di una cinepresa
A farsi filo di cucitura di un abito imbastito quasi alla perfezione è la macchina da presa di David Lowery, accesasi dal lume domestico di una casa londinese, e poi slegatasi da ogni fune resistente per correre senza freni in un movimento dinamico e coinvolgente. La cinepresa di Lowery non insegue i propri protagonisti: vola con loro. È una fata dinamica, un'ombra libera, uno sguardo slegato da punti di vista per vagare senza ancoraggi terreni. Vira tra gli spigoli di casa Darling con eleganza e sicurezza; prende il controllo del timone per guidare lo sguardo dello spettatore con piani sequenza immersivi, e movimenti di camera mai casuali, ma sempre dettati dal bisogno di sottolineare un dato sentimento, o un'emozione tenuta nascosta all'ombra della sorpresa, o della paura ancestrale.
Si pensi solo ai primissimi piani di un Uncino immortalato da un grandangolo che ne deforma i tratti rendendolo ancora più sublimemente machiavellico. Già perché Peter Pan & Wendy non è una semplice fiaba: è un film per adulti che vogliono tornare grandi, e per bambini che hanno paura di diventare adulti. Un'indole ossimorica, che mette in comunicazione poli solo apparentemente opposti grazie sia a richiami diretti a inquadrature figlie del classico disneyano, che a un impianto solido, coerente, che abbraccia una serietà di racconto e un costrutto visivo imponente.
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Il gabinetto del Capitan Uncino e di Peter Pan
Se, come ci ha insegnato Inside Out, non può esistere felicità senza tristezza, così non possono esservi sia un Peter Pan senza il suo Capitan Uncino e, con loro, le età che questi rappresentano: l'infanzia e la vecchiaia, la fantasia dei bambini e la rassegnazione di sopravvivenza dei grandi. Posto in un cielo a metà tra realtà e fantasia, Peter Pan & Wendy è fiabesco senza essere fiabesco; un abbraccio di universi infantili di stampo disneyano, uniti armoniosamente a inserti più drammatici, con ralenti su sguardi attoniti, corpi che cadono in un volo che non si compie (memore di quello di The Amazing Spiderman 2) e bocche aperte in un urlo silenzioso. Più che una Neverland costruita con la forza della più brillante e accesa immaginazione, quella di Lowery è un'Isola che non c'è di espressionista memoria. Un gabinetto non più del dottor Caligari, ma di Peter Pan e di Uncino.
Passati dolorosi e futuri incerti
Filtrato dall'obiettivo di Lowery, Uncino viene investito di un passato e con esso di un'umanità prima poco toccata. Un viaggio a ritroso compiuto con la forza delle parole e del ricordo, dove ogni ferita e ogni turbamento giustifica un'involuzione da uomo a cattivissimo e temutissimo Capitan Uncino. Un'aggiunta psicologica che dona al personaggio ancora più compattezza, rendendolo ancora più complesso, ancora più reale, ancora più (dis)umano.
Come l'Uncino di Jude Law, anche il personaggio di Wendy non è immune ai cambiamenti: con Ever Anderson, la giovane protagonista perde quel lato materno di cui era stata investita nel classico disneyano, per limitarsi a essere semplicemente un'adolescente coraggiosa, pronta a caricarsi sulle spalle il destino di un'intera isola che non c'è. Una nuova rilettura, questa, in cui Peter non è altro che una semplice spalla, e non il solo e unico protagonista; già, perché nella comunità gestita da Lowery nessuno è unico, ma tutti sono il risultato di un proprio arco evolutivo in cui la crescita anagrafica non sarà contemplata, ma la rivoluzione interiore e psicologia è ampiamente strutturata.
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Re-immaginare Peter Pan
Orecchie a punta, calzamaglia verde, spirito ribelle e a tratti egocentrico. Peter Pan è molto più che un semplice personaggio fiabesco. È uno stile di vita, un pensiero, un simbolo di istinti profondi di chi è incapace di dire addio alla propria infanzia. La sua immagine si è fatta icona di un momento preciso dell'infanzia, e vederla modificata, lontana esteticamente da quella a cui lo strumento mediatico dell'animazione ci ha abituato, disorienta, sdubbia, ci fa pensare. Ciononostante, nel mondo di Lowery dove tutto è uguale, pur essendo diverso, la scelta di Alexander Molony nei panni di Peter Pan è qualcosa che si adatta perfettamente a un universo in cui tutto cambia, per rinascere in abiti nuovi. Esteticamente lontano sia dal Peter Pan disneyano, che dalle versioni cinematografiche a lui precedenti (si pensi a Peter Pan del 2003, o al Pan di Joe Wright del 2015) Molony è a tutti gli effetti Peter Pan; o meglio, è la dimostrazione di come anche allontanarsi dalla somiglianza estetica non voglia per forza compromettere una somiglianza psicologica e caratteriale.
La sua performance si adatta perfettamente all'estro ribelle, istintivo, infantile del personaggio nato dalla penna di J.M. Barrie. Unica pecca l'agilità. Tanto il Peter disneyano è sciolto e disamico, quanto il giovane attore è rigido nei salti, pesante nelle lotte, insicuro nei movimenti. Uno scarto fisico che non compromette di certo la resa finale di un'interpretazione soprattutto agli occhi di chi va oltre la superficialità per ricercare la vera essenza di Peter, ma che comunque influisce su una performance a volte traballante, come un volo compiuto senza polvere di fata.
Peter Pan & Wendy non è un semplice live-action costruito su un processo semplicistico di copia e incolla. Il classico Disney diventa un canovaccio, un testo di partenza. Il film diretto da David Lowery incrementa, aggiunge, sostituisce interi passaggi senza tradire il cuore dell'opera. Che sia Neverland, o i suoi personaggi, non c'è nulla che sfugga a un restauro generale, dove la patina di vecchio, o di una fantasia soffocante, viene levigata per lasciare spazio a un'umanità latente, credibile, immersiva, in un viaggio nel mondo che non c'è per scoprire sentimenti, legami, paure, ancorate all'universo reale, vivo, tipico dei bambini e dei grandi.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Peter Pan & Wendy sottolineando come l'opera diretta da David Lowery si dimostri un live-action finalmente ben riuscito, capace di restituire il cuore della pellicola di origine, infondendolo di freschezza e nuovi risvolti narrativi. Un volo a perdifiato tra cieli inesplorati che ogni membro del cast ha reso possibile, in un braccio di ferro tra immaginazione e terrestre, ancestrale, realtà.
Perché ci piace
- La regia di David Lowery.
- Il legame tra Wendy e Trilli.
- La fotografia di forte impianto espressionista.
- L'uso di ambientazioni reali che limitano l'uso eccessivo di CGI.
- La dolcezza dei bimbi sperduti.
Cosa non va
- La rigidità dei movimenti di Alexander Molony.
- Il mancato passaggio sul grande schermo.
- Il poco spazio dato a Spugna e Uncino insieme.