Per il mio bene, la recensione: Mimmo Verdesca e un viaggio alla ricerca delle proprie origini

Una storia di madri e figlie in un buon esordio. E Bobulova, Sandrelli, Ciocca e Barrault giganteggiano per tutto il film. Al cinema.

Un dettaglio della locandina di Per il mio bene

Un melodramma sulla maternità e le sfumature del femminile giocata interamente sulla sottrazione e l'esplorazione di un dilemma etico di grande attualità e di cui si è sempre poco parlato. È lo specchio dei tempi questo piccolo saggio sulla femminilità dal sapore rohmeriano; a metà tra il viaggio interiore alla ricerca delle proprie origini e un cinema di atmosfera, Per il mio bene è in sala con 01 Distribution.

Per Il Mio Bene Barbora Bobulova Scena Photo Credits Francesca Fago
Barbora Bobulova in una scena di Per il mio bene

Dirige Mimmo Verdesca che scrive il film insieme a Monica Zapelli e Pierpaolo De Mejo, firmando così il suo esordio a un lungometraggio di finzione. Verdesca viene infatti dal documentario, dove aveva già avuto modo di indagare l'universo femminile prima con In arte Lilia Silvi (ritratto della celebre diva del cinema dei telefoni bianchi) poi con Alida (documentario su Alida Valli); qui vi fa ritorno attraverso un dramma che intreccia la complessità delle dinamiche familiari con profonde riflessioni di carattere etico.

Un melodramma classico

Per Il Mio Bene Grazia Schiavo Photo Credits Carolina Zorzi
Grazia Schiavo in una scena del film

Il film prende in prestito la grammatica del melodramma vecchio stile, combinando almeno nella prima parte l'intimità del viaggio interiore della protagonista alla ricerca delle proprie origini con l'elemento investigativo tipico del racconto poliziesco. La protagonista è Giovanna (Barbora Bobulova), una donna libera e indipendente, fieramente alla guida dell'azienda di famiglia che si occupa della lavorazione della pietra naturale; una vita ben incasellata e apparentemente stabile, senza particolari guizzi e con una figlia adolescente, Alida (Sara Ciocca), che ha tirato su da sola. Giovanna non ha un compagno e non sembra interessata ad averne uno; ha un rapporto molto stretto con la madre Lilia (Stefania Sandrelli) e per ora il legame con lei e sua figlia sembra bastarle. Almeno fino a quando non scopre di avere una grave malattia dalla quale potrebbe salvarla solo un trapianto. Comincia così a cercare un donatore compatibile all'interno della famiglia, ma quello che non sa è che non lo troverà: Giovanna è stata infatti adottata, e nessuno fino a quel momento ha mai trovato il coraggio di dirglielo.

Il compito di rivelarle la verità spetta a sua madre Lilia: "Non sei nata da me", le dirà catapultandola improvvisamente in uno spazio nuovo, in una dimensione in cui Giovanna non sa più chi è. Nel tentativo di risalire all'identità della sua vera madre (Marie Christine Barrault) si scontra con una legge controversa, quella attualmente in vigore nel nostro paese che tutela l'anonimato della madre biologica rispetto al diritto del figlio non riconosciuto alla nascita di conoscere le proprie origini. Il quadro normativo vigente impedisce infatti ai figli e alle figlie adottate di accedere alla cartella clinica e quindi ai dati della madre prima di cento anni dalla formazione del documento. Tuttavia nel 2013 la Consulta si è pronunciata a favore della revoca dell'anonimato nel caso in cui l'adottato faccia richiesta al giudice di interpellare la madre, che potrà accettare o rifiutare la revoca della dichiarazione di anonimato. Quando il tribunale le comunica che sua madre si è rifiuta di aiutarla, Giovanna decide di aggirare le regole, rintraccia la donna e si presenta da lei, decisa a farsi conoscere.

La questione etica di Per il mio bene

Per Il Mio Bene Stefania Sandrelli Photo Credits Francesca Fago
Stefania Sandrelli in una scena del film

"Il diritto all'anonimato di chi ti ha partorito è molto più forte del tuo diritto a sapere chi sei", tuona l'avvocata di Giovanna trasformando queste parole in una sorta di manifesto del film. Da quel momento la questione etica tra il diritto di una madre a mantenere segreta la propria identità e quello di un figlio di conoscere le proprie origini, accompagnerà l'intero racconto senza trovare soluzione.

Mimmo Verdesca dirige con la sensibilità, la grazia e la misura necessarie per mettere in risalto tutte le sfumature emotive della storia, sebbene il rigore della messa in scena non permetta allo spettatore di empatizzare fino in fondo con le protagoniste. Per il mio bene si presta a diverse chiavi di lettura: è una storia di identità e di ritorni (alle proprie radici, al grembo materno, ai traumi del passato), ma anche un viaggio attraverso la capacità di saper perdonare.

Tutti i volti della maternità

Per Il Mio Bene Marie Christine Barrault Photo Credits Francesca Fago
Marie-Christine Barrault in una scena del film

L'esplorazione della maternità domina l'intero film tramite il ritratto di tre diverse figure di madre (Giovanna, Lilia e Anna) in un gioco di specchi e rimandi non troppo velato, spesso evocato dagli oggetti di scena: Barbora Bobulova offre una rappresentazione sfaccettata di forza e vulnerabilità, mentre Stefania Sandrelli tratteggia il ruolo dell'amorevole madre adottiva con la raffinata eleganza che la contraddistingue. Marie-Christine Barrault incarna invece Anna, la madre biologica; il dolore inflittole da un trauma del passato l'ha trasformata in una donna ostile e sfuggente; oggi è un'accumulatrice seriale chiusa nel muto dolore di una vecchia pensione di provincia, gestita da un losco affittuario, un ometto misero guidato dall'avidità (Leo Gullotta). Il rigore dei luoghi e l'essenzialità dei dialoghi fanno il resto, a dispetto di un finale un po' affrettato.

Conclusioni

Al suo esordio alla regia di un lungometraggio di finzione Mimmo Verdesca torna su un terreno a lui caro, quello della figura femminile indagata nei suoi documentari precedenti attraverso il ritratto di grandi attrici del passato. Qui allarga il proprio orizzonte al tema della maternità; lo fa ponendo l’accento sul dilemma etico sollevato dalla legge che tutela il diritto all’anonimato della madre biologica rispetto a quello del figlio non riconosciuto di risalire alle proprie origini e quindi alla sua identità. Per farlo utilizza le regole del melodramma classico e si affida ad un cast di attrici straordinarie che giganteggiano per tutto il film. Un racconto per sottrazione dagli echi rohmeriani.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • La grazia con cui Mimmo Verdesca esplora il tema della maternità e pone un dilemma etico finora poco indagato.
  • Il rigore delle interpretazioni.

Cosa non va

  • Un finale un po’ affrettato.