Quella che si è appena conclusa è stata la settimana di Paolo Virzì. La sua Livorno gli ha dedicato sette giorni di eventi, incontri, ospiti e proiezioni per celebrare il ventennale di Ovosodo, ritenuto da molti il suo capolavoro. In questi giorni frenetici Virzì ha fatto tappa a Castiglioncello, per ritirare il premio Suso Cecchi D'Amico assegnato alla sceneggiatura de La pazza gioia, firmato a quattro mani con Francesca Archibugi. La regista e sceneggiatrice è al suo fianco munita di stampelle per via di un infortunio alla gamba e c'è anche Francesco Bruni, altro collaboratore abituale, anche lui cresciuto a Livorno, con cui Virzì ha scritto Ovosodo.
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Ad accomunare Virzì ai suoi coautori è il ricordo di un mentore attento e generoso come Furio Scarpelli, che gli ha insegnato il mestiere del cinema e li ha coadiuvati nei loro esordi. La loro prima collaborazione porta il curioso titolo di Cozze, siringhe e lacrime, tre racconti mai scritti ideati da Virzì, Archibugi e Scarpelli che avrebbero dovuto diventare un film. Cozze è riferito alle ragazze brutte, Siringhe avrebbe dovuto parlare di un ragazzo di Livorno dipendente da eroina, mentre Lacrime era incentrato sul suicidio di una donna tormentata dai sensi di colpa per aver tradito il marito con un conduttore televisivo. Questa terza storia è diventata Dimenticare Pomezia, poi Dimenticare Piombino e infine La bella vita, film d'esordio di Virzì. Il regista livornese, con le sue opere dal sapore dolceamaro, si è conquistato di diritto il ruolo di erede della Commedia all'Italiana condita con un pizzico di Neorealismo. Basti pensare all'omaggio contenuto in La pazza gioia, il primo momento di libertà delle due protagoniste che, dopo la fuga, si recano dalla cartomante, proprio come in Ladri di biciclette.
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Micaela Ramazzotti, l'angelo che ha messo ordine nella mia vita
"In Ovosodo ho dato sfogo a un'antica ferita provata dal ragazzo nato alle Sorgenti. Dalla finestra della mia stanza vedevo le ciminiere della raffineria. Provavo la rabbia di chi si deve confrontare col mondo dalla parte sbagliata. C'era livore, ma era stemperato dall'ironia". Paolo Virzì è un istrione, livornese fino al midollo nonostante il rapporto di amore-odio che lo lega alla sua città natale e quando vuole sa essere sferzante. Tra una celebrazione e l'altra non si è ancora spenta l'eco delle polemiche seguite alle critiche all'attuale giunta pentastellata che guida la città. Non stupisce, perciò, che il suo metodo di lavoro sia debordante come la sua personalità. "Scrivo i film al pc insieme a i miei collaboratori. Dico agli altri di partire, ma dopo un po' sono io a mettermi alla tastiera perché sono troppo lenti. Mi piace condividere la parte di lavoro intima con persone con cui mi trovo bene per prepararmi al caos del set. E' la fase di lavoro più felice".
Nel raccontare il rapporto con Francesco Bruni, Virzì si scopre svelando qualche piccola fragilità: "La routine lavorativa con Francesco mi ha aiutato. Era un periodo caotico della mia vita, prima che arrivasse quell'angelo che è Micaela Ramazzotti. Lui mi veniva a svegliare, regolava le mie giornate. L'ho conosciuto al liceo, è entrato nella mia classe per chiedere i voti per la lista alternativa di sinistra alle elezioni studentesche. Aveva l'orecchino, mi piaceva e così l'ho votato". Poi i ricordi vanno al primo incontro con Francesca Archibugi: "Era nel biennio precedente al mio al Centro sperimentale. Per noi era un mito, aveva già girato Mignon è partita. Me la ricordo che prendeva l'autobus ogni mattina per andare sul set, una bambina bellissima col pancione che dirigeva dei maschioni brutti".
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Amori on the road
La sintonia testata durante la scrittura de La pazza gioia ha spinto Paolo Virzì e Francesca Archibugi a ripetere l'esperienza con la complicità di Francesco Piccolo e di un quarto collaboratore, Stephen Amidon, autore del romanzo da cui è tratto Il capitale umano. La ragione è che il nuovo film in arrivo, Ella & John - The Leisure Seeker, è ambientato in America e vede protagoniste due star del calibro di Helen Mirren e Donald Sutherland.
"Nel 2010 Il Capitale umano è stato indicato come il candidato italiano all'Oscar. Il film non è stato scelto, ma ha avuto un'uscita americana e così mi sono arrivate delle proposte dagli USA. Mi proponevano progetti già pronti, all'americana, in cui il regista arriva alla fine del percorso creativo. I miei produttori non capivano perché non prendessi in considerazione queste proposte, ma io amo scrivere i film. Tra le idee c'era questo romanzo, In viaggio contromano. Due o tre anni dopo, a un pranzo, ci è venuta l'idea di trasformare i personaggi da membri della working class americana a intellettuali. Lui è diventato un professore di letteratura ormai svanito e il viaggio ha preso una piega letteraria. Nella versione originale veniva mostrata l'america più turistica e pacchiana, Disneyland, la Route 66. Noi abbiamo deciso di fare un viaggio verso la casa di Hemingway a Key West per rendere il racconto più vicino a una sensibilità europea, aggiungendo suggestioni letterarie da James Joyce. Ero convinto che non avrei mai girato quel progetto, così ho messo come condizione che a interpretare i protagonisti avrebbero dovuto essere Helen Mirren e Donald Sutherland. Loro non solo hanno accettato, ma hanno messo come condizione l'inizio delle riprese entro pochi mesi perché dopo l'estate avevano altri impegni. Così a giugno sono partito per gli USA".
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Il Virzì americano verso Venezia?
Ella & John è stato scritto in sole tre settimane, con l'aiuto di Stephen Amidon, che ha tradotto lo script in inglese collaborando coi tre colleghi. Un dialect coach ha curato l'accento del canadese Donald Sutherland e dell'inglese Helen Mirren. "Per sentirmi più vicino ai personaggi ho immaginato che fossimo me e Michela tra trent'anni. Lui brontolone, noioso, lei entusiasta, vitale. Lui è uno yankee del Massachusetts, lei una donna del Sud. Abbiamo curato il gioco di accenti. Erano tutti stupiti che tutti potessero guardare il monitor o che io andassi a parlare con gli attori per spiegargli le scene. Ma io ho immaginato che la Route 66 fosse l'Aurelia. Volevo fare un film mio, così ho cercato l'America scialba, vera, poco enfatica, la loro Maremma".
Un'esperienza che non si ripeterà. A differenza del collega Paolo Sorrentino, che ha testato in più occasioni il sistema statunitense, Virzì confessa: "Non ho alcuna ambizione a lavorare in America. Credo che sia un episodio singolo. Chi adopera la lingua come strumento del mestiere si complicherebbe la vita. Il cinema di Sorrentino è una vertigine visiva, mentre io lavoro ad altezza umana, racconto le vite di gente comune e la lingua è fondamentale". Ella & John arriverà nelle sale italiane a gennaio (il 25, pare), ma prima uscirà negli USA a Natale perché è un film Sony. Mancano pochi giorni all'annuncio del programma di Venezia e in molti indicano la pellicola come un possibile candidato al concorso. Proviamo a chiederglielo, ma Virzì schiva la domanda: "Se lo dicessi mancherei di rispetto a molte persone. Per ora sui festival non mi posso esprimere".