Padre Pio, la recensione: svestire di santità per parlare della società

La recensione di Padre Pio dalla Mostra del cinema di Venezia: il film di Abel Ferrara non è un biopic, quanto piuttosto un resoconto dell'Italia povera del primo dopoguerra.

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Padre Pio: una foto dal set

Amata, analizzata, indagata, pregata, criticata: quella di Padre Pio è una figura che accoglie attorno a sé masse di fedeli, e sguardi scettici. Una personalità che vive ancora, dopo anni, nel limbo confinante tra il potere della fede e il sospetto più profondo. Si alimenta delle mani congiunte in preghiera di chi crede ciecamente, e quelle che sfogliano pagine e battono su tasti di tastiera alla ricerca del trucco, dell'indizio finale di un perfetto teatrino dell'essere santo. In un mondo perennemente rivolto verso la luce dello schermo, celebrando in massa una nuova forma di comunione non più ecclesiastica, ma di sguardi, era tutta mera questione di tempo prima che da icona da tenere nel portafoglio, o appesa sulle mura di casa, Padre Pio si distaccasse dalla cornice di un ritratto per elevarsi a quella prima televisiva, e poi cinematografica.

Eppure, come sottolineeremo in questa nostra recensione di Padre Pio, l'operazione compiuta dal suo regista, Abel Ferrara, si distacca nettamente dalle fila della semplice biografia, per intaccare i dettami del ritratto storico di un'Italia del primo dopoguerra che ancora soffre, barcolla, preferendo alle mura delle chiese, l'ampiezza delle piazze, o dei campi di lavoro per innalzare i propri inni di dolore. Ne consegue un racconto parallelo, di mondi solo apparentemente influenzati gli uni dagli altri, che si sfiorano ma senza toccarsi, divisi soltanto da una bandiera socialista, o da una porta di una chiesa.

PADRE PIO: LA TRAMA

È la fine della Prima Guerra Mondiale e i soldati italiani tornano a San Giovanni Rotondo, terra di povertà, storicamente violenta, sulla quale la Chiesa e i ricchi proprietari terrieri esercitano un dominio ferreo. Le famiglie sono disperate, gli uomini sono distrutti ma vittoriosi. A fare il suo arrivo in paese è anche Padre Pio, pronto a iniziare il suo ministero, evocando un'aura carismatica, la santità e visioni epiche di Gesù, Maria e del Diavolo. La vigilia delle prime elezioni libere in Italia fa da sfondo a un massacro storico e metaforico, un evento apocalittico che cambierà il corso del mondo.

SANTI E PECCATORI IN TERRA ITALIANA

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Padre Pio: un'immagine del film

In un mondo cinematografico fatto di santi e peccatori, Abel Ferrara si inserisce perfettamente nel cerchio dei provocatori. Riprendendo in mano il suo gioco di demolizione delle certezze umane, unitamente alla perenne ricerca del torbido in acque sante, il regista sveste di santità il proprio Padre Pio per mostrarlo nudo, senza difese, spoglio della propria aurea santa, ma ora fragile, preda delle proprie incertezze, delle proprie tentazioni. Il Padre Pio di Abel Ferrara è un uomo. Non frate, non icona da idolatrare; è semplicemente un uomo vittima delle proprie allucinazioni, vestito di angoscia e decorato di rabbiose urla. Una discesa tra gli inferi resa possibile soprattutto da una performance a cura di uno Shia LaBeouf sempre abile nel cogliere il momento giusto per pigiare sull'acceleratore della carica espressiva, rasentando l'over-acting, e quando invece sottostare alle regole del minimalismo, sospirando preghiere in latino, e limitarsi a piccoli gesti come quelli della benedizione e dell'eucarestia. Eppure in questo gioco di continue lotte intestine tra l'ascesa personale verso uno stato di beatitudine impossible da raggiungere, e un diavolo tentatore che continua a sussurrargli all'orecchio, un'altra battaglia si compie, ancora più potente, ancora più estenuante, ancora più micidiale. Già, perché in questo gioco di tradimenti, Abel Ferrara arriva a deludere anche le aspettative del racconto biografico promesso a partire dal titolo per raccontare altro al proprio pseudo protagonista.

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Padre Pio: una sequenza

Padre Pio diventa pertanto un espediente per narrare quel microcosmo che si trova al di là di un altare. Quello di un'Italia che vede ritornare i propri soldati dalla guerra, sconvolti, stanchi, poveri nell'anima quanto più che nelle tasche. Ne consegue un conflitto interno, tra socialisti e proprietari terrieri che sfiorano soltanto la figura di Padre Pio, fino ad abdicarla dal ruolo di protagonista a quella di semplice comparsa. Già, perché il Padre Pio di Abel Ferrara non vuole essere un ennesimo racconto del santo, quanto quello di una realtà contadina soffocata dal potere dei soldi dei propri padroni. Un cambio di rotta e di interesse che vorrebbe la figura di Padre Pio farsi contenitore e portavoce di tali sofferenze, ma che finisce per tessere un racconto sconclusionato, forzato negli intenti e nei continui esperimenti per mettere in dialogo le due realtà, sia fisicamente, che metaforicamente.

PARALLELISMI DI SANGUE

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Padre Pio: una scena del film

Quello proposto da Abel Ferrara è solo un vacuo tentativo di sviluppare la propria storia in due; i suoi mondi non sono universi paralleli che si potenziano a vicenda, ma binari che corrono a velocità distinte, diretti entrambi verso un'inevitabile caduta. Politici e religiosi, santi e peccatori, sacro e profano: sono dualità costanti nella società italiana, la doppia faccia di una realtà che tenta di modificarsi per rimanere sempre se stessa. Ma quello che compie Ferrara è un saggio diseguale e squilibrato, dove l'apparato politico prende il sopravvento, lasciando la figura di Padre Pio nell'ombra, sia narrativamente, che fotograficamente. Il personaggio affidato a Shia LaBeouf è infatti colto nel pieno di una luce celestiale solo nel momento in cui egli è chiamato a compiere il suo ruolo di sacerdote; isolatosi nella sua stanza, un manto ombroso ora lo investe, colorandosi di rosso sangue e accecandolo di una fotografia nefasta, simbolo di tentazioni e papabili cadute all'inferno. La stessa regia si fa sguardo terreno, galleria umana di primi e primissimi piani pronti a cogliere un volto saturnino e colmo di incertezze, correlate a riprese dal basso che immortalano la figura di Padre Pio partendo da quella terra che tanto lo reclama, e che allo stesso tempo lo elevano verso quel cielo a cui aspira. Ma questi sono solo piccole pause di un discorso più ampio, tanti punti e virgole di una scrittura filmica che se unicamente concentrata sull'aspetto politico avrebbe ottenuto risultati migliori.

MANCATI INCONTRI, STESSI DOLORI

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Padre Pio: Shia LaBeouf nella prima foto del film

Non c'è contatto tra Padre Pio e il mondo che lotta là fuori. Coloro che vanno a prostrarsi dinnanzi alla figura del frate sono proiezioni umane di un passato da dimenticare, oppure ombre di tentazioni da respingere (si pensi al personaggio del padre pedofilo interpretato da Asia Argento). Il resto viene affidato a una struttura narrativa che partendo da una base biografica, e quindi personale, si eleva verso l'universalità di un paese dell'Italia rurale pieno di speranza e bloccato dalla ricchezza altrui. Il rosso delle bandiere socialiste riprende così non solo il sangue pronto a scorrere per le vie, ma anche quello di un cromatismo che colora le scene delle allucinazioni di Padre Pio. I ralenti che dilatano il tempo di questi momenti sono forse le uniche correlazioni tra queste due realtà vicine e parallele. Eppure, figlia di una regia anni Ottanta alquanto superata, tale scelta di montaggio rende ancor più insofferente la visione, allungando - seppur di brevi secondi - attimi che invece dovrebbero colpire come schiaffi in pieno volto.

RITRATTO SCIOLTO DI UN'ITALIA IN CONFLITTO

Lasciato allo sbando sia politicamente, che narrativamente, il paese di San Giovanni Rotondo di Padre Pio è un covo di anime perdute: un habitat di mani che non hanno più tempo di pregare perché intente a lavorare, colte dalla macchina da presa di Ferrara perennemente in campi lunghi, come una comunità pronta a ribellarsi o uccidere. Eppure, sono anime incarnate da attori dalla dialettica robotica, che donano ai propri personaggi una psicologia solo accennata, restituita da performance macchiettistiche, poco naturali, di chi ha imparato a memoria un copione in una lingua che non gli è propria, senza per questo ridare indietro il cuore della propria storia. Tutto in Padre Pio si fa pertanto pennellata appena accennata di un quadro mal disegnato, e per questo pronto a sbiadirsi, fino a cancellarsi, al primo tocco d'acqua. Ritratto sociale, o sguardo biografico di una personalità che tenta di farsi portatore di tensioni e dolori del proprio paese: Padre Pio non è l'una e nemmeno l'altra cosa. È sicuramente un'occasione mancata, dove i collegamenti tra mondi che camminano vicini, toccandosi solo per questioni di potere e di tangenti, risultano forzati, non reali, non credibili. Ibrido tra la fede di trovare qualcosa da ricordare, e il distacco agnostico, Padre Pio è in questo caso la perfetta trasposizione di un racconto che vive nel mezzo, nell'attesa di trovare una propria evoluzione e un riscatto personale che non avverrà.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Padre Pio sottolineando come l'impiego della figura del frate come espediente di un racconto più ampio e di matrice sociale, non abbia funzionato, ma anzi, ha debilitato un progetto sulla carta ben più interessante di quanto invece è.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • La performance di Shia Labeouf
  • L'idea di parlare della società rurale del tempo

Cosa non va

  • L'uso dei ralenti
  • La performance degli attori italiani
  • L'inafferrabile correlazione tra le due realtà narrate.
  • La forzatura di certi rapporti tra Padre Pio e il paese di San Giovanni Rotondo