Una tetra periferia, case putride in perenne penombra, l'oscurità che si insinua all'improvviso nel cuore di uomini, donne, bambini innocenti. Nonostante tutto sia avvolto da un alone di buio, in Outcast è stato tutto molto chiaro sin dall'inizio, ben delineato nella mente fremente di Robert Kirkman, nuovo invitato al tavolo dei grandi maestri dell'intrattenimento globale. Anche per un autore prolifico e duttile come lui, c'è sempre tempo per una "prima volta". Siamo al Ney York Comic Con del 2013 e, dopo due anni di lavorazione, Kirkman annuncia Outcast, serie a fumetti horror che, per sua stessa ammissione, è la prima storia iniziata a scrivere sapendo esattamente come sarebbe andata a finire. Anzi, le sue prime storie.
Nati come due progetti paralleli e ben definiti, il fumetto e la serie tv Outcast sono stati sviluppati contemporaneamente, come due entità distinte scaturite dalla stessa fonte. Kirkman ha più volte ribadito l'assoluta necessità narrativa di distinguere il contenuto delle tavole da quello dello show, così alla serie spetta il compito di approfondire ed espandere quanto detto nei baloon; per poi deviare verso inaspettate derive. Lo fa per i lettori, spingendoli alla visione. Lo fa per gli spettatori, invitandoli a comprare gli albi. Furbo e sensato allo stesso tempo.
Coerente con la morale destabilizzante di Outcast, dove tutto è destinato a cambiare, l'autore americano, dopo The Walking Dead, torna a stravolgere vite di personaggi e intrecci, destini e storie. Così nella serie alcuni elementi della trama vengono anticipati, altri tenuti un po' più nascosti, altri ancora approfonditi per dare ancora più spessore al vissuto dei protagonisti. L'obiettivo è chiaro: creare due versioni diverse della stessa storia. Noi, dopo aver visto le prime cinque puntate di Outcast e aver letto i primi 16 albi usciti negli States, proviamo a mettere allo specchio posseduti di carta ed esorcisti da piccolo schermo, cercando di intravedere le 7 differenze più eclatanti emerse in quel tenebroso e rarefatto West Virginia.
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1. Joshua ha fame
Una cameretta, un insetto e un bambino con l'acquolina in bocca. La scena d'apertura del pilot resta tra i momenti più disturbanti di Outcast; una sequenza capace di farci calare immediatamente nella realtà spietata tratteggiata da Kirkman. Il piccolo Joshua guarda una blatta sul muro con aria incuriosita, poco prima di schiacciarla con una testata e leccarne i resti. Un attimo straniante e potente, assente nel fumetto, ma in grado di segnare un primo episodio che, con molta sorpresa, ricalca quasi del tutto il primo albo di Outcast. Le differenze più significative verranno dopo, ma questa breve scena non si lascia dimenticare facilmente.
2. Out-cast
In qualsiasi opera di trasposizione la scelta degli attori rappresenta il primo, inevitabile, momento di confronto. È un gioco di fisionomie e di espressioni, di carisma e di presenza scenica a cui le aspettative dei lettori non sanno proprio sottarsi. Bene, il casting di Outcast ha fatto delle scelte coraggiose, perché ha "tradito" l'aspetto di molti personaggi, a partire dal suo protagonista: il reietto Kyle Barnes. Per quest'uomo tormentato dal male e dal dolore, la matita del disegnatore e co-creatore Paul Azaceta ha dato vita ad un personaggio dai tratti molto marcati, latini: labbra carnose, naso pronunciato, occhi e capelli scurissimi. La serie, al contrario, ci ha proposto un Patrick Fugit (il William di Quasi famosi) dai lineamenti più gentili e soprattutto dai colori più chiari.
Questo però non ha impedito all'attore di mettere in scena un Kyle convincente, lavorando di sottrazione, implodendo ed esplodendo a seconda della situazione. Discorso simile per la sua sorellastra Megan, sempre bruna nel fumetto e donna dai capelli rossi e dai tratti più morbidi nello show. E se il reverendo Anderson di Philip Glenister (disegnato avendo Philip Seymour Hoffman come riferimento) ci sembra l'attore più fedele alla sua controparte fumettistica, la moglie Allison, il cognato di Kyle (Mark) e il capo della polizia Giles sono molto differenti. Soprattutto quest'ultimo ha un'età decisamente più avanzata e un ruolo meno marginale. Ad interpretarlo è Reg E. Cathey, colui che in House of Cards delizia Frank Underwood a suon di costolette e salsa barbecue.
3. L'ombra della fede
Un uomo di fede alle prese con il vizio. Il reverendo Anderson ci viene presentato così, tra una sigaretta accesa e una mano di poker; ritratto di una guida spirituale tutt'altro che irreprensibile. In questo fumetto e serie tv sono d'accordo: Anderson ha bisogno di credere in qualcosa, si sforza di esibire certezze e soluzioni, ma dentro di lui qualcosa traballa. Uno stato di perenne incertezza tra fede e dubbio che in tv è ancora più evidente. La serie non solo sottolinea con maggiore convinzione la mancanza di un figlio lontano (o perso), ma soprattutto cala meglio la sua figura all'interno della comunità. Nel fumetto il pastore si interfaccia per lo più con Kyle, mentre nel piccolo schermo i sermoni, il rapporto equivoco con una fedele e gli atti di vandalismo sulla facciata della sua chiesa ci mostrano una figura ancora più problematica, immersa in un contesto sociale meglio delineato.
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4. Quel camper nel bosco
La via segnata sembra chiara: quello che viene anche solo accennato nel fumetto, va poi analizzato con maggiore cura di particolari all'interno della serie. Una scelta confermata dai ritmi molto dilatati di Outcast che, però, introduce anche elementi completamente inediti. Poco fa abbiamo fatto riferimento al ruolo più corposo riservato al capo della polizia Giles, coinvolto in un misterioso ritrovamento nella boscaglia attorno a Rome. Infatti vengono ritrovati dei resti animali, squartati per poi essere "esposti" sui tronchi degli alberi. Poco lontano da questo scenario raccapricciante, Giles e Mark ritrovano un camper abbandonato con qualche fumoso indizio al suo interno. Un mistero ancora da risolvere, una linea narrativa del tutto nuova, ma che, almeno per adesso, non sta appassionando più di tanto.
5. Il diavolo veste nero
In Outcast il male ha una forma mutevole, più simile ad un fumo oscuro nel fumetto e associabile ad una sostanza più densa nella serie tv. E poi c'è lui, il male con un volto e un nome. Sidney è un demonio inquietante che osserva tutto e tutti, rimane in disparte a guardare le cose a distanza quasi per prendere meglio la mira. Il sorriso obliquo e l'aria distaccata caratterizzano questo diavolo elegante, sempre vestito di nero, nascosto dietro l'immancabile cappello. Se nella serie questo atteggiamento discreto è più accentuato, con Brent Spiner che si aggira per la serie con parsimonia, nel fumetto Sidney agisce con un po' meno discrezione, svelando prima le sue carte, arrivando anche ad aggredire fisicamente il reverendo.
6. Torna a casa, mamma
"Voglio trattare le possessioni demoniache come un problema risolvibile". Questa frase di Robert Kirkman diventa anche l'ossessione di Kyle e Anderson, disposti a tutto pur di liberare l'anima corrotta di tante persone. Kyle, maledetto da demoni che lo affliggono da sempre, ha visto la sua famiglia sgretolarsi e i suoi cari deformarsi, cambiare in peggio e costringerlo ad azioni disperate. Tra queste c'è sua madre, rimasta incastrata in un limbo tra la vita e la morte dopo essere stata "liberata" dallo stesso Kyle, a seguito di un drammatico scontro tra i due. Lo show ha dedicato tutta la seconda puntata a questo rapporto madre-figlio assai traumatico, e lo ha fatto attraverso un costante parallelismo tra passato e presente.
Se nel fumetto i difficili ricordi d'infanzia di Kyle sono sprazzi fugaci tra le tavole, ricordi indelebili quanto sfuggenti, in tv questo passato domestico è stato approfondito molto di più, svelandoci anche scenari inediti. Le divergenze aumentano quando nelle serie Kyle porta via sua madre dalla casa di riposo dove vegeta per riportarla a casa loro, dove tutto ha avuto inizio (o dove tutto è finito, a seconda dei puti di vista). Un gesto disperato che sottolinea ancora meglio il rimpianto che Kyle nutre nei confronti del genitore.
7. Il trauma di Megan
Coerente con il punto di cui sopra, la serie conferma una grande passione per il flashback. Succede anche nella terza puntata, con quanto accaduto tra Luke e Blake, ma soprattutto con Megan, anche a lei alle prese con un pesante fardello nascosto in un passato infelice. Infatti, quando era ancora una ragazzina, la sorellastra di Kyle venne violentata da Donnie, un uomo che dopo tanti anni si ripresenta in città.
Nel fumetto Donnie ci viene presentato molto presto, grazie ad un incontro casuale con Kyle. Barnes, memore del suo gesto imperdonabile, lo aggredisce con furia, seguito a ruota da suo cognato Mark, per niente disposto a dimenticare. Nella serie, invece, Kirkman e soci hanno preferito che fosse proprio Megan ad affrontare direttamente i suoi fantasmi, così è la donna a fronteggiare per prima Donnie. Ancora una volta il passato riemerge, non per essere distrutto, ma per fare ancora più male.