Lo ammettiamo candidamente: fino alle sei del mattino della notte fra domenica e lunedì, quando la lunga cerimonia per l'ottantanovesima edizione degli Oscar si avviava verso la sua conclusione, non avevamo il minimo dubbio sul fatto che La La Land, dopo aver mandato all'incasso un totale di sei statuette, fra cui quelle per il regista Damien Chazelle e l'attrice protagonista Emma Stone, sarebbe stato proclamato miglior film dell'anno. Lo scenario di un upset nella categoria principale appariva quasi impossibile, ma c'era un ulteriore scenario che avremmo giudicato infinitamente meno probabile: l'annuncio di un vincitore 'sbagliato'.
Due ipotesi una più assurda dell'altra ma che, incredibile a dirsi, si sono verificate nello stesso momento. Lo sguardo smarrito del povero Warren Beatty, involontario protagonista di questa gaffe madornale, l'intervento 'risolutivo' di Faye Dunaway, che legge il titolo riportato sul cartoncino all'interno della busta, gli applausi per La La Land e poi, all'improvviso, il produttore Jordan Horowitz che, con comprensibile delusione ma con encomiabile savoir-faire, rende noto l'errore e dichiara che il premio Oscar come miglior film spetta a Moonlight. Sette, tragicomici minuti che fanno ormai parte non solo della storia degli Academy Award, ma del nostro immaginario collettivo: perché possiamo star sicuri che, fin quando si parlerà di Oscar, il "pasticciaccio brutto" della busta sbagliata rimarrà un immancabile argomento di conversazione e, com'è ovvio, di ironia.
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Ma a rendere il gran finale della cerimonia degli Oscar 2017 un momento memorabile, oltre al tremendo imbarazzo sul palco del Dolby Theatre, è stato anche il risultato in sé di questa bizzarra e imprevedibile awards season: perché il sorpasso di Moonlight sul favoritissimo La La Land, da alcuni auspicato ma da pochissimi ritenuto fattibile, può essere definito senza timore di iperboli il più clamoroso colpo di scena negli annali dell'Academy. Con un totale da record di quattordici nomination e la valanga di precursors conquistati negli scorsi mesi, fra cui sette Golden Globe, cinque BAFTA Award e quasi tutti i trofei delle guild, la corazzata La La Land si è vista sfilare la statuetta più importante (letteralmente, stavolta è il caso di dirlo) da Moonlight di Barry Jenkins, racconto di formazione ambientato nei sobborghi afroamericani di Miami, con tre Oscar su otto nomination (miglior film, attore supporter e sceneggiatura adattata).
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Prima pellicola in assoluto a tema omosessuale a ricevere l'Oscar come miglior film, Moonlight è stato al centro di un upset stupefacente: forse il più vistoso, ma di certo non l'unico nella storia dell'Academy... soprattutto se consideriamo gli ultimi trenta o quarant'anni, quando il moltiplicarsi dei cosiddetti precursors ha reso via via più sicuri i pronostici della vigilia. Eppure, di tanto in tanto perfino i pronostici più affidabili vengono rovesciati, a dimostrazione che le certezze, in materia di Oscar, sono quanto mai effimere: di seguito, ecco dunque un'ideale Top 10 dei maggiori "colpi di scena" che l'Academy ci ha riservato nelle categorie principali.
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10. Elizabeth Taylor miglior attrice per Venere in visone (1960)
Per quanto, ancora negli anni Sessanta, la quantità di precursors fosse assai inferiore rispetto ad oggi, rendendo le sfide per gli Oscar molto più combattute, nel 1960 la performance di Shirley MacLaine ne L'appartamento, commedia capolavoro firmata dal genio di Billy Wilder, aveva conquistato davvero tutti, e la giovane star americana, già ricompensata con il Golden Globe e il BAFTA Award, sembrava avviata a vincere il suo primo Oscar. Alla cerimonia di premiazione, invece, l'Academy elesse come miglior attrice dell'anno Elizabeth Taylor nei panni di una donna coinvolta in una relazione adulterina in Venere in visone, film piuttosto dimenticabile che non piaceva neppure alla Taylor: la diva dagli occhi viola, infatti, aveva accettato di girarlo soltanto per concludere il proprio contratto con la MGM. Ciò nonostante, il fatto che Liz Taylor fosse ormai alla sua quarta nomination (l'anno prima aveva sfiorato l'Oscar per Improvvisamente l'estate scorsa), e la preoccupazione per la tracheotomia d'urgenza che le era stata praticata a pochi giorni dalla notte degli Oscar, contribuirono a farle vincere la statuetta. La MacLaine avrebbe espresso il disappunto nella sua autobiografia, scrivendo di aver perso proprio a causa della tracheotomia della Taylor.
9. Adrien Brody miglior attore per Il pianista (2002)
Nella corsa per l'Oscar al miglior attore del 2002 si profilava un'autentica lotta fra titani: i grandi favoriti erano infatti Daniel Day-Lewis, che aveva già vinto il BAFTA Award e lo Screen Actors Guild Award per la parte del feroce Bill il "macellaio" in Gangs of New York, e Jack Nicholson, premiato con il Golden Globe e a caccia di uno storico quarto Oscar nella parte del vedovo nell'agrodolce A proposito di Schmidt. Ma fra i due litiganti, a spuntarla fu l'assai meno noto Adrien Brody, che a neppure ventinove anni divenne il più giovane vincitore di sempre nella categoria come miglior attore grazie al suo ruolo ne Il pianista di Roman Polanski, a sorpresa uno dei film di maggior successo di quell'edizione degli Oscar.
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8. A spasso con Daisy miglior film (1989)
Una legge non scritta, come sa bene chi si diverte a prevedere gli esiti delle votazioni dell'Academy, vuole che, per sperare di conquistare l'Oscar come miglior film, sia necessaria quantomeno la candidatura per la miglior regia: un requisito che mancava invece ad A spasso con Daisy, commedia sospesa fra antirazzismo e sentimento che all'edizione del 1989 riportò un lauto totale di nove nomination, esclusa però quella per il regista Bruce Beresford. Il favorito di quell'annata sembrava essere dunque Nato il quattro luglio, infuocato dramma antimilitarista sul Vietnam scritto e diretto da Oliver Stone, a soli tre anni dal trionfo di Platoon, con otto nomination complessive. Alla conta delle statuette però Nato il quattro luglio si fermò a due Oscar per la regia e il montaggio e venne 'doppiato' da A spasso con Daisy, che si portò a casa addirittura quattro premi: miglior attrice per Jessica Tandy, miglior sceneggiatura adattata, miglior trucco e, appunto, miglior film dell'anno (una scelta che oggi appare quantomeno discutibile).
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7. Steven Soderbergh miglior regista per Traffic (2000)
Nel 2000, Steven Soderbergh ricevette il rarissimo onore (il terzo e finora ultimo regista nella storia dell'Academy) di conseguire due nomination nella cinquina per la miglior regia in un'unica edizione degli Oscar, grazie ai film Erin Brockovich e Traffic. Quell'anno la maggior parte dell'attenzione era incentrata sul duello fra il kolossal Il gladiatore di Ridley Scott, che sarebbe poi stato premiato con l'Oscar come miglior film, e il wuxiapan taiwanese La tigre e il dragone, che era valso ad Ang Lee il Golden Globe, il Directors Guild Award e il BAFTA Award per la miglior regia. E mentre tutti si aspettavano che a vincere la statuetta come miglior regista sarebbero stati Ridley Scott o Ang Lee, Soderbergh reclamò a sorpresa il premio grazie a Traffic, per un altro caso di "terzo incomodo" approdato fin sul palco dell'Academy.
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6. Judy Holliday miglior attrice per Nata ieri (1950)
Se dovessimo stilare una classifica dei più imperdonabili errori nella storia dell'Academy, fra le diverse (e purtroppo numerose) 'stecche' dei giurati non potrebbe mancare l'Oscar alla miglior attrice forse più assurdo di sempre (o quantomeno in buona compagnia con il premio per Sandra Bullock). Non fraintendeteci: Judy Holliday è una delizia in Nata ieri, frizzante commedia sentimentale diretta da George Cukor, nei panni della giovane, ignorante e svampita fidanzata di un politico corrotto, destinata a prendere coscienza della realtà in cui vive. Ma sempre nel 1950, la storia del cinema si sarebbe arricchita di due dei più iconici personaggi di tutti i tempi, resi indimenticabili da due performance davvero sublimi: quella di Bette Davis nella parte della diva del teatro Margo Channing in Eva contro Eva di Joseph L. Mankiewicz e quella di Gloria Swanson nel ruolo della diva del cinema muto Norma Desmond in Viale del tramonto di Billy Wilder. Agli Academy Award del 1950, Eva contro Eva e Viale del tramonto fecero entrambi incetta di statuette; ma l'Oscar per la miglior attrice, con la Swanson "pronta per il suo primo piano", andò incomprensibilmente alla Holliday, per uno dei peggiori casi di 'miopia' da parte dei membri dell'Academy.
5. Il caso Spotlight miglior film (2015)
L'anno scorso, chi scrive era nella numerosissima schiera di coloro che pronosticavano la vittoria di Revenant - Redivivo come miglior film dell'anno, accanto alle statuette già scontatissime per la miglior regia ad Alejandro González Iñárritu, per il miglior attore a Leonardo DiCaprio e per la miglior fotografia. Forte di un enorme successo di pubblico, di un totale di dodici nomination e di un ottimo bottino ai vari precursors (fra cui il Golden Globe e il BAFTA Award come miglior film), il survival drama di Iñarritu era in cima a quasi tutti i pronostici; eppure, complice probabilmente il meccanismo del "voto preferenziale" nella categoria per il miglior film, volto a favorire quei titoli in grado di raccogliere un consenso magari meno acceso, ma più diffuso ed eterogeneo, a strappare una vittoria shock al termine della cerimonia fu Il caso Spotlight. Il dramma giornalistico di Thomas McCarthy partiva con sei nomination, appena la metà rispetto a Revenant, e terminò la serata con due statuette, per il miglior film e la miglior sceneggiatura adattata.
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4. Katharine Hepburn miglior attrice per Il leone d'inverno ex aequo con Barbra Streisand per Funny Girl (1968)
In pochi probabilmente ricordano l'ex aequo per i migliori effetti sonori fra Skyfall e Zero Dark Thirty agli Academy Award del 2012 (del resto, gli effetti sonori non è che siano proprio in cima all'attenzione mediatica), ma vale la pena ricordare che un ex aequo su un totale di qualche migliaio di voti è una coincidenza più unica che rara. E prima del 2012, un ex aequo dall'importanza ben più grande si era verificato durante la cerimonia degli Oscar del 1968, quando una sbigottita Ingrid Bergman, aprendo la busta del premio per la miglior attrice, rimase interdetta per un attimo, esclamando: "The winner... it's a tie!". Quello storico 'pareggio' si risolse dunque nella doppia vittoria della grande favorita della vigilia, l'esordiente Barbra Streisand, premiata con l'Oscar come miglior attrice per il musical Funny Girl (che le era già valso il Golden Globe), e la veterana Katharine Hepburn, come da tradizione assente dalla cerimonia.
La Hepburn trionfò grazie alla sua superba prova nella parte della Regina Eleonora d'Aquitania nel dramma storico Il leone d'inverno, ma quasi nessuno pensava che potesse insidiare la Streisand: la divina Kate, infatti, appena l'anno prima aveva già vinto il secondo Oscar della propria carriera per il classico Indovina chi viene a cena?. Adoratissima dai membri dell'Academy, la Hepburn sarebbe stata protagonista di un altro sorpasso clamoroso tredici anni dopo, agli Oscar del 1981, quando grazie a Sul lago dorato sfilò a sorpresa l'Oscar alla frontrunner Meryl Streep. A ogni modo, l'ex aequo del 1968 ha permesso di premiare al contempo due magnifiche attrici per due performance ugualmente memorabili (se solo miracoli del genere potessero verificarsi più spesso...).
3. Momenti di gloria miglior film (1981)
Il crowdpleaser, ovvero l'opera dallo spirito edificante e capace di suscitare l'empatia di un pubblico il più vasto possibile, è il tipo di film con maggiori chance di trionfare agli Oscar; e in questa categoria rientra appieno una pellicola non proprio eccelsa, ma comunque di alto livello come Momenti di gloria di Hugh Hudson, dramma sportivo incentrato sugli atleti britannici in gara alle Olimpiadi di Parigi del 1924. Eppure, agli Academy Award del 1981 erano altri due i titoli favoriti per l'Oscar come miglior film, entrambi grandi successi di critica e di pubblico: Reds, biografia del giornalista John Reed, testimone della Rivoluzione Russa, diretto e interpretato da Warren Beatty e forte di dodici nomination; e Sul lago dorato di Mark Rydell, commovente storia familiare con dieci nomination, il Golden Globe come miglior film e incassi record al box office. Con sette nomination, Momenti di gloria non sembrava avere troppe chance contro questi due colossi; invece, oltre alle statuette per la sceneggiatura originale, i costumi e le musiche di Vangelis, la pellicola di Hudson si aggiudicò anche l'Oscar come miglior film. Beatty ebbe comunque motivo di festeggiare grazie al premio per la miglior regia, accompagnato dagli Oscar per l'attrice supporter Maureen Stapleton e la fotografia di Vittorio Storaro.
2. Roman Polanski miglior regista per Il pianista (2002)
All'inizio della awards season del 2002, sembrava arrivato il momento per ricompensare finalmente uno dei massimi maestri del cinema che, nonostante la straordinaria carriera e il cospicuo numero di candidature, non aveva ancora vinto un singolo Oscar: Martin Scorsese, artefice dell'ambizioso kolossal storico Gangs of New York. Tutto giusto, salvo il nome del vincitore: perché agli Academy Award di quell'anno, il maestro del cinema ad essere eletto miglior regista fu invece Roman Polanski. Scorsese, che per Gangs of New York aveva appena ricevuto il suo primo Golden Globe, si preparava a competere nella cinquina dei registi con l'esordiente Rob Marshall, che grazie al musical Chicago aveva vinto il Directors Guild Award. Nel corso della cerimonia degli Oscar, il povero Martin vide il suo Gangs of New York mancare tutte le dieci statuette per cui era candidato, mentre Chicago raccolse ben sei premi, incluso quello come miglior film; ma l'Oscar per la miglior regia fu attribuito a Polanski per lo splendido dramma sull'Olocausto Il pianista, sette nomination e tre premi (miglior regia, attore e sceneggiatura adattata). Polanski, ovviamente, non poté ritirare la statuetta di persona, essendo impossibilitato a rientrare negli Stati Uniti pena l'arresto; per Scorsese, invece, l'attesa per fortuna sarebbe durata solo altri quattro anni...
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1. Crash miglior film (2005)
Inutile negarlo: prima dell'impensabile sorpasso di Moonlight su La La Land, il colpo di scena più sorprendente nella storia dell'Academy era quello che, agli Academy Award del 2005, vide prevalere il dramma corale sul razzismo Crash - Contatto fisico a scapito dell'indiscusso favorito, la tormentata storia d'amore gay I segreti di Brokeback Mountain. Il film di Ang Lee aveva suscitato entusiasmi unanimi e aveva vinto in pratica tutto quello che avrebbe potuto vincere, fra Golden Globe, BAFTA Award, Leone d'Oro e premi delle guild; agli Oscar si presentò con otto nomination aggiudicandosi i trofei per miglior regia, sceneggiatura adattata e colonna sonora. La pellicola di Paul Haggis, che partiva con sei nomination, ebbe la meglio come prevedibile nelle categorie per la sceneggiatura originale e il montaggio, ma nessuno, neppure Jack Nicholson (si veda la sua faccia sbigottita all'apertura della busta), si aspettava che il pregevole ma sopravvalutato Crash potesse strappare l'Oscar come miglior film a un'opera nettamente superiore come Brokeback Mountain. La sorpresa più grande, ma pure il verdetto più discusso e contestato negli annali di un premio tanto prestigioso e significativo, quanto - talvolta - fallace e imperfetto.