Una cerimonia di consegna degli Academy Awards, quella di stanotte, a tema "recessione", che vede trionfare un piccolo film in cui nessuno avrebbe creduto lo scorso anno. Se è vero che dopo un paio di mesi di trionfi - The Millionaire ha un palmares incredibile, oltre ad aver fatto meglio di pellicole come Non è un paese per vecchi e Il signore degli anelli - Il ritorno del re con le Guild hollywoodiane, è anche il maggiore vincitore in termini di numero di statuette dell'ultimo lustro - è fisiologico che i sorrisi di Dev Patel e di Freida Pinto, la gioiosa sorpresa di Boyle, Simon Beaufoy e soci e le trascinanti note pop di Jai Ho siano venuti a noia a molti, bisogna riconoscere al film e al suo cast una indubbia capacità comunicativa e una ingente portata emotiva, e il merito di avere incarnato con umiltà ed entusiasmo il ruolo dell'underdog miracolato. Da noi si parla quasi di scandalo, di un film misteriosamente sopravvalutato e immeritevole di tante attenzioni: ma a voler guardare al quadro complessivo, il film di Boyle è davvero l'unico di una non certo mirabile cinquina ad aver convinto tutti, almeno oltreoceano. Se in Europa non è andata così, non vuol dire che la vittoria di uno degli altri quattro non esaltanti contendenti ci avrebbe reso particolarmente più soddisfatti.
D'altra parte di certo non saranno soddisfatti i sostenitori de Il curioso caso di Benjamin Button, che forse avevano sperato in un esito diverso della serata per via dell'altissimo numero di nomination tributate al film di David Fincher. Con tre Oscar minori su 13 candidature, Benjamin Button passa direttamente dal novero dei film più nominati a quello dei maggiori "perdenti".
L'host Hugh Jackman se la cava egregiamente, risultando decisamente più a suo agio nei numeri musicali che nei momenti di pura oratoria: peccato che tali numeri non siano sempre riuscitissimi. E' stato certamente piacevole quello di apertura, ricco di idee e impreziosito dalla collaborazione di una delle candidate della serata, la dolce Anne Hathaway, che sfodera anche una certo talento canoro.
Accanto a gradevoli montaggi "di genere", non resta molto spazio per le clip introduttive dei film e soprattutto vanno in pensione quelle utilizzate di norma per presentare le proformance degli attori in nomination: al loro posto, per tutti e quattro i premi agli interpreti, c'è una sorta di "comitato di premiazione", cinque attori o attrici già vincitori dell'Academy Award in questione chiamati sul palco per ciascuna presentazione. In tal modo, vengono coinvolti non solo i vincitori della passata edizione (tanto più che Daniel Day-Lewis e Javier Bardem mancano all'appuntamento) ma anche un bel numero di leggende della storia del cinema e degli Oscar: tra gli altri Robert De Niro, Joel Grey, Eva Marie Saint, Shirley McLaine e Sophia Loren. La novità ha il vantaggio di creare un contatto empatico tra ciascuno dei candidati e il personaggio chiamato a introdurre la performance: il risultato è in qualche caso davvero spontaneo e toccante - sono deliziose, ad esempio, Marion Cotillard e Kate Winslet - ma è freddo e imbarazzante quando manca l'alchimia fra i due.
E già che siamo in argomento, parliamo più in dettaglio di questi Oscar attoriali per lo più ampiamente previsti: Penelope Cruz, la prima vincitrice della serata, offre uno dei discorsi di ringraziamento più spontanei e si fa quasi perdonare di aver trionfato su colleghe forse più meritevoli grazie alla sua popolarità. L'altra dama, Kate Winslet, è tanto emozionata da non riuscire a dire molto di incisivo: impagabile, però, il fischio del padre che si fa "localizzare" nella platea del Kodak Theatre.
L'unico confronto davvero serrato della gara, quello tra Sean Penn e Mickey Rourke, si risolve in favore del primo, che regala un altro dei discorsi più belli della cerimonia e si dimostra decisamente più affabile di quando, cinque anni fa, aveva accettato lo stesso premio per Mystic River.
Non ci sono state, e ultimamente non è un fatto insolito, le sorprese che si sperava potessero rendere la serata un po' più emozionante: l'unica vittoria inaspettata è quella del giapponese Departures nella categoria miglior film straniero, con cui l'Italia aveva un "conto in sospeso" per l'esclusione di Gomorra di Matteo Garrone. Saranno felici i più maligni tra i commentatori di casa nostra di fronte alla delusione di francesi e israeliani per la sconfitta dei bellissimi La classe - Entre les murs e Valzer con Bashir.
Tra i momenti migliori della serata, ricordiamo il discorso del giovane sceneggiatore di Milk Dustin Lance Black, che ha raccontato l'importanza del lascito morale di Harvey Milk, e la magica sortita del funambolo Philippe Petit, che ha accompagnato la vittoria tra i documentari dell'ottimo Man on Wire.
Per il resto, non c'è molto da rilevare su una cerimonia non memorabile che chiude una awards season non memorabile, in cui abbiamo la sensazione, e non ne abbiamo mai fatto mistero, che i film davvero qualitativamente straordinari - Il cavaliere oscuro, The Wrestler, WALL·E e Revolutionary Road - siano stati troppo presto esclusi dalla contesa nelle categorie principali.