Tra Spike Lee e Miuccia Prada, Opus secondo Mark Anthony Green: “Un film immersivo e audace”

Religione, giornalismo, popolarità. Il regista ha presentato il suo esordio alla regia targato A24 al Bif&st. "Come artista e cineasta non ho il dovere di dare delle risposte".

Sul set di Opus

"Se dico una barzelletta non la capirete fino a quando non verrà tradotta!". Maglioncino verde oliva scuro, cravatta a righe oblique e stivaletti neri. Mark Anthony Green risponde alle domande dei giornalisti con fare affabile e piglio ironico. Il regista è ospite del Bif&st per presentare, nella sezione Rossi di sera, il suo esordio alla regia targato A24: Opus - Venera la tua stella. Un thriller psicologico attraversato da una vena comica - nelle nostre sale dal 27 marzo - con protagonisti Ayo Edebiri, John Malkovich, Murray Bartlett, Juliette Lewis, Amber Midthunder e Tatanka Means.

Opus Venera La Tua Stella Ayo Edebiri
Ayo Edebiri in Opus

La trama del film ruota attorno a un leggendario musicista, Alfred Moretti (Malkovich). Una vera e propria leggenda le cui canzoni hanno ispirato più generazioni. Dopo quasi 30 anni passati lontano dalle scene, la rock star annuncia un nuovo album. Per promuoverlo organizza un evento super esclusivo in un ranch isolato in cui invita una gruppo ristrettissimo di fortunati ospiti. Tra questi c'è anche Ariel (Edebiri), giovane giornalista musicale ricca di ambizione in cerca della giusta occasione per sfondare. Ma una volta arrivata lì si renderà conto delle insidie letali della celebrità.

Far sorgere domande in un pubblico intelligente

Soggiornando nel ranch insieme agli altri ospiti, Ariel si rende conto che la superstar degli anni Novanta è a capo di una setta. Ed è attorno a questo tema che si snoda il film. Una rappresentazione della popolarità e della fama come un culto malsano. "Opus è la mia teoria sul tribalismo. Il mio approccio è quello di dire qualcosa che è pesante, importante e controverso nel modo più divertente possibile. Quando utilizziamo la parola celebrità andiamo ben oltre il semplice concetto di intrattenimento. Potremmo fare nomi, ma non li faremo (ride, ndr)", racconta il regista.

Opus Ayo Edebiri John Malkovich
Edebiri e John Malkovich

"Semplicemente - continua - credo che tutti noi abbiamo delle persone o delle personalità a cui siamo strettamente correlate e legate come individui e come società. E quindi c'è un po' questa lotta per cui il mio idolo è il migliore del tuo. Ecco, queste sono stronzate".

"Penso che tutto questo ci allontani sempre di più gli uni dagli altri e in qualche modo distrugga ogni tipo di legame che cerchiamo di costruire. Opus è divertente ed è un bel viaggio da intraprendere. So che molti registi non amano o non amerebbero definire il proprio prodotto come divertente perché può suonare come qualcosa di riduttivo. Al contrario credo che non c'è cosa più bella al mondo del divertimento. Come artista e cineasta non credo abbia il dovere di dare delle risposte o di averne. Spero, invece, di poter far sorgere delle domande in un pubblico intelligente".

Becoming Alfred Moretti

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Malkovich in scena

Per dare voce e corpo ad Alfred Moretti, il regista ha chiamato all'appello John Malkovich. Un uomo affascinante, avvolto dal mistero e della leggenda. "Lavorare con lui mi è servito molto perché nella rappresentazione di Moretti entrambi volevamo evitare di ispirarci alle stranezze di qualche rock star reale", spiega Mark Anthony Green. "Non volevamo realizzare una sorta di feticcio di Prince o Davide Bowie. Tutto ciò che abbiamo scelto delle sue bizzarrie è assolutamente unico e originale. Abbiamo elaborato dei tratti che fossero propri del personaggio".

Il valore della religione

Muovendosi attorno al culto dei Livellisti, Opus finisce per abbracciare una riflessione sulla religione e su come l'uomo, nella società contemporanea, rischi di sostituirsi al ruolo di Dio. "Non siamo mai stati meno religiosi - inteso come appartenenti a una religione e a una comunità religiosa - come in questo momento storico. È uno degli istinti primordiali più profondi dell'uomo quello di credere in qualcosa più grande di se stessi per poter riempire quel vuoto che si viene inevitabilmente a creare. E ognuno lo riempie diversamente", riflette il regista.

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Opus - Venera la tua Stella: Ayo Edebiri, Juliette Lewis e Murray Bartlett in una scena

"Negli Stati Uniti, ad esempio, molte persone lo fanno con la politica, la musica, gli attori. Siamo profondamente orientati nei confronti di queste persone. Creiamo questo legame talmente profondo che alla fine la domanda che spero venga fuori da Opus - Venera La Tua Stella sia proprio questa: 'Ma questo tipo di devozione ci porta a qualcosa?'".

"Penso che la religione sia positiva. Porta con sé un dono. Basti pensare a quante cose ancora più terribili l'umanità commetterebbe se non credesse in un'entità superiore", prosegue Green. "Quindi, di per sé, avvicinarsi alla religione è una cosa positiva, e gli aspetti positivi prevalgono su quelli negativi. Io stesso sono una persona spirituale e credo profondamente nell'etica e nella moralità. Credo che la religione sia importante e ispiri negli esseri umani il desiderio di credere in qualcosa di più grande di noi".

Le ispirazioni

Se il suo Alfred Moretti è nato dall'ispirazione di artisti come Elton John e Liberaci, è anche vero che per passare dal giornalismo alla regia anche il regista di Opus ha trovato un punto di riferimento in altri cineasti. "Sono un regista nero e alla fine dei titoli di coda del film si può leggere un ringraziamento speciale a Spike Lee", svela il regista.

"Non so neanche se abbia visto il mio film o se sappia che esiste. Però è stato in queste sale come me, per decenni, e lo è tuttora. È molto più grande di me e ha combattuto per proiettare questi film strani, inusuali, di stampo avanguardista. Non posso che avere una profonda gratitudine per lui, ma anche per Jordan Peele e tantissimi altri registi", prosegue Mark Anthony Green. "La lista è lunghissima. Sono profondamente onorato, ad esempio, di poter anche solo dire di essere un regista come i grandi, da Paul Thomas Anderson o a Gus Van Sant".

"Per me uno dei più grandi è Takashi Miike che ha un'ispirazione molto presente anche in Opus. Sono ispirato da loro quanto lo sono da Miuccia Prada. Sono stato un giornalista di moda e sono venuto spesso in Italia stando a stretto contatto con i direttori creativi. Li ho visti preparare delle sfilate che sarebbero durate tre o quattro minuti con una dovizia di dettagli che ha avuto inevitabilmente un'influenza nel mio film. Un film che deve essere immersivo e audace".