Opus, spiegato: il vangelo, gli idoli e lo sguardo di Ayo Edebiri

La nostra spiegazione al finale del film di Mark Anthony Green con John Malkovich. Tra simboli, sette e strane orchidee. Occhio agli spoiler! Al cinema.

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Dite la verità, siete rimasti interdetti dal finale di Opus. Il fatto è che la conclusione, secondo il regista Mark Anthony Green, non dovrebbe dare delle risposte, bensì dovrebbe porre delle domande. Certo è, la narrazione sembra effettivamente spostata verso le percezioni delle spettatore rispetto alla storia vista. Ma andiamo con ordine: i protagonisti sono Ayo Edebiri e John Malkovich. Lei è una giornalista, Ariel, lui una star anni Novanta, Alfred Moretti, che, per promuovere il suo album dopo trent'anni di assenza, organizza un ritrovo per alcuni eletti. Li invita tutti nella sua grande casa sperduta nel nulla, e "gestita" da decide di adepti (chimati Livellisti). Più che fan base, una setta vera e propria. Ariel capisce quasi subito che c'è qualcosa di storto, ritrovandosi al centro di un piano inquietante.

Ora, se non avete ancora visto Opus, beh, forse è meglio che non procediate nella lettura. Pur essendo il finale marcatamente metaforico, ci sono alcune situazione abbastanza oggettive, che proviamo a rintracciare portandole in risalto per essere (da voi) analizzate, assimilate e, come vuole il regista, giudicate. Andando avanti abbastanza velocemente nel raccontare la trama, arriviamo al dunque: Ariel, ben presto, comprende che Moretti altro non è che un narcisista psicopatico.

L'intenzione della pop star, infatti, era pianificata sin da subito: uccidere tutti gli invitati. Compresa Ariel? Attenzione: quando la giornalista, divenuta una vera e propria final girl, sta per essere giustiziata, viene inaspettatamente liberata dall'adepta Rachel (Tamera Tomakili) che le indica la strada da seguire per fuggire dalla magione. Dopo essere fuggita, lasciando Moretti e gli adepti sull'orlo di un suicidio di massa, torna nella villa insieme alla polizia: i seguaci di Moretti non ci sono più, mentre la popstar attende le manette suonando il pianoforte (e sotto, ben incartati, i cadaveri degli altri sfortunati ospiti).

Dove sono finiti i seguaci? Tutti morti? Ecco la svolta. Opus, negli ultimi minuti, corre in avanti di due anni: Moretti è in galera, mentre Ariel ha fatto finalmente carriera scrivendo un libro su ciò che ha vissuto. Un best-seller portato in giro per il mondo. Tuttavia, il libro non ha dichiarazioni dirette di Moretti, che non ha mai voluto rilasciare interviste dalla prigione. Almeno fino ad ora: la giornalista riceve una telefonata dal carcere, Moretti si è finalmente deciso. Inizialmente, Ariel, davanti Moretti, che l'aspetta con un'orchidea sul tavolo, sembra avere un certo atteggiamento di superiorità, tuttavia smussato dopo che il pazzoide allude ad un piano portato a compimento.

Ossia: Moretti aveva già deciso di risparmiare Ariel, in quanto sarebbe stata il tramite per esportare il proprio vangelo, arrivando alle masse, tramite il libro che avrebbe scritto. Viene anche rivelato che i Livellisti non stavano affatto meditando un suicidio di massa: i corpi non sono mai stati recuperati perché fuggiti prima dell'arrivo della polizia, e ora predicano - in incognito - il vangelo del culto di Moretti.

Il culmine di Opus giunge una scena dopo: Ariel continua il tour promozionale, facendo tappa in un talk show di una nota conduttrice tv. Seduta sulla poltrona, poco prima che parta dal diretta, la giornalista si rende conto che la presentatrice indossa una collana che le sembra familiare: uno dei ciondoli rappresenta un simbolo legato ad Alfred Moretti. In quell'istante Mark Anthony Green inquadra gli occhi sgranati di Ariel, resasi ormai conto di essere circondata, e di essere stata lei - involontariamente - ad aprire la strada al culto di Moretti.