Oppenheimer è, prima di ogni cosa, un biopic, un racconto biografico di un personaggio cardine dell'umanità che, con le sue imprese, ha cambiato il mondo che ci circonda. Non è per nulla facile raccontare sul grande schermo fatti già accaduti: il rischio di banalizzare la materia trattata è sempre dietro l'angolo così come la possibilità di andare oltre ogni oggettività narrando solo uno dei tanti punti di vista in scena. Nonostante tutte queste criticità intrinseche nella costruzione di un film di questo tipo, Christopher Nolan con il suo Oppenheimer è riuscito a superare ogni aspettativa trasformando la pellicola nel biopic più redditizio della storia del cinema, superando la soglia di ben 900 milioni di dollari di incasso su scala internazionale.
Quali sono però gli elementi più caratteristici dell'opera che gli hanno effettivamente permesso di raggiungere un traguardo così incredibile? Andiamo subito a scoprirli, tenendo conto che alcuni di questi segreti hanno reso la trama dell'opera più di una semplice sequela di eventi già conosciuta, ma una vera e propria analisi approfondita della psiche umana e della cultura occidentale.
1. Un progetto poliedrico
Cominciamo con il dire che l'argomento biografico affrontato da Nolan in Oppenheimer è solamente un comodo contenitore dove inserire una varietà di temi impressionante. Tale approccio poliedrico alla vita di J. Robert Oppenheimer è reso possibile, in primis, da una costruzione narrativa che, come spesso accade nella filmografia del film-maker britannico, rifiuta la linearità, preferendo quindi una via più complessa e caotica. Tra i vari cambi di scena, dalla parte di "inchiesta" contro il fisico americano passando per tutti gli eventi che hanno portato la nascita della bomba atomica, c'è infatti spazio non solo per descrivere concretamente come è stata realizzata questa arma di distruzione di massa, ma anche molto altro. Dalle turbe psicologiche del protagonista, fino allo scontro ideologico tra teoria e pratica, la pragmaticità e la freddezza della politica internazionale e, soprattutto, un'analisi molto critica e tagliente del blocco statunitense, durante il secondo conflitto mondiale prima e nella Guerra Fredda poi.
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2. L'altra faccia della storia
A tal proposito, Oppenheimer si pone come un progetto per certi versi antiamericano che ha uno sguardo profondamente amaro e lucido nei confronti della nostra società moderna. Riprendendo quello che dicevamo nell'introduzione, la pellicola, per quanto segue il punto di vista statunitense, riesce anche a guardare oltre, raccontando luci e ombre di una fazione tutt'altro che priva di approcci persecutori verso i "nemici" e portatrice sì di un pensiero liberale, ma considerato l'unico possibile. Emblematico in tal senso è il confronto graffiante tra il Presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman (Gary Oldman) e il protagonista (che tra l'altro abbiamo approfondito in un articolo dedicato) che racchiude al suo interno un sottotesto metaforico che non risparmia frecciate più o meno dirette alla democratica e libera America. Ecco che quindi, all'interno del film, si parla di due versioni della Storia del mondo: quella raccontata dai vincitori, ma anche quella nascosta, sottile, celata dal perbenismo e da falsi sorrisi.
3. Un cast straordinario
La filmografia di Christopher Nolan ci ha sempre abituato alla presenza di attori eccezionali e di grande talento che si sono lasciati guidare dalla visione artistica dell'autore. Anche questo lungometraggio non fa eccezione e anzi, la pellicola è una perfetta occasione per vedere nuovi volti del cinema nolaniano. Se il protagonista è incarnato da Cillian Murphy, attore feticcio del film-maker britannico eccezionalmente in ruolo di primo piano, contemporaneamente osserviamo una vecchia conoscenza come Kenneth Branagh (nei panni di Niels Bohr), un fedelissimo del cineasta, e, per il resto, tutte star di grande levatura che lavorano per la prima volta con Nolan come Emily Blunt, Florence Pugh, Robert Downey Jr, Matt Damon, Gary Oldman e molti altri. E il risultato non può che dirsi esplosivo: al di là della performance magnetica di Murphy che cattura la scena, tutti gli altri attori, per quanto rimangano nelle retrovie, danno vita a delle interpretazioni vibranti ed energiche, tra cui spiccano in particolare Oldman e Downey Jr. che ci regala un'interpretazione memorabile (come abbiamo ricordato in un nostro articolo)
4. Una gestione accurata della tensione
La gestione della tensione in un lungometraggio dedicato alla creazione della bomba atomica è sicuramente una prerogativa importante per la riuscita e l'efficacia di un film simile, tuttavia questo elemento è costruito in modo ancora più sopraffino. Questo sentore ansiogeno e opprimente, oltre a non essere legato per forza all'ideazione in sé dell'arma nucleare (ne abbiamo sentori anche dopo lo sgancio della bomba a Hiroshima e Nagasaki, quando si analizzano le conseguenze del lancio), è definibile più come una nota distorta di sottofondo che non abbandona mai lo spettatore. Tale sensazione di straniamento (che prende vita concretamente grazie alla superba colonna sonora di Ludwig Göransson), quindi, essendo una componente fondamentale di tutta la pellicola, da strumento perfetto per la gestione di scene chiave dell'opera, diventa qualcos'altro, un aspetto per certi versi simbolico e metaforico che sembra quasi suggerire che, affrontando questa storia, il pubblico deve provare la medesima angoscia di Oppenheimer.
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5. Un finale distante dalla filmografia nolaniana
Probabilmente il finale di Oppenheimer è forse l'elemento più sorprendente del lungometraggio che acquista ancora più valore se messo in comparazione con gli altri finali della filmografia nolaniana. Il cineasta britannico ha sempre avuto questa propensione (in particolare in lungometraggi come Inception, Tenet e The Prestige) a giocare con la logica, la sospensione e le libere interpretazioni, ma in questo caso la scena conclusiva è volutamente chiara e impattante. Sembra quasi che il regista, stavolta, non voglia lasciare adito a riflessioni alternative, volendo comunicare genuinamente al pubblico senza nessuna rarefazione. Ed è per questo che il messaggio di chiusura della pellicola è così raggelante e privo di speranza: è una costatazione sincera, un avviso all'umanità e, al tempo stesso, una consapevolezza terribile di cui dobbiamo essere a conoscenza. Gli esseri umani, dopo la scoperta della bomba atomica, sono destinati all'autoannientamento e quindi l'Apocalisse potrebbe non essere il frutto del genio divino, ma il risultato dell'azione umana.