È passato all'incirca un anno da quando il primo teaser trailer di Oppenheimer lanciava un conto alla rovescia sino alla data di uscita in sala del nuovo film di Christopher Nolan, un countdown terminato lo scorso 21 luglio quando i cinema americani si sono colorati delle variegate tinte dell'Barbenheimer, quell'evento negato al pubblico nostrano che ha saputo scuotere il boxoffice USA. Negato agli spettatori italiani, ma non a noi della stampa, perché almeno noi abbiamo potuto guardare il film di Nolan a pochi giorni di distanza dal Barbie della Gerwig e ci troviamo a scrivere la recensione di Oppenheimer a un mese dall'uscita.
Una scelta comprensibile quella di Universal, considerando le abitudini d'uscita storiche dei film di Nolan e soprattutto la situazione delle sale nel nostro paese nel corso dei mesi estivi, ma non possiamo nascondere il rammarico per questo evento negato, per il doversi sentire ancora una volta esclusi dal dibattito globale, come ai tempi dei rinvii a dopo le festività de Il signore degli Anelli o Avatar. Quello che possiamo fare nel frattempo è parlarne, noi che abbiamo avuto la fortuna di vederlo, e sottolineare quanto di buono ci sia nel nuovo lavoro di Nolan, a cominciare da un cast in gran forma, dal protagonista Cillian Murphy a Robert Downey Jr., Matt Damon e tanti tanti altri, ma soprattutto una confezione sontuosa che conferma l'abilità dell'autore.
La storia di (Robert) Oppenheimer
La trama di Oppenheimer è la storia personale del personaggio storico che dà il titolo al film, quel Julius Robert Nicola Oppenheimer che ha condotto il Progetto Manhattan e viene considerato il Padre della bomba atomica. Ma è bene specificarlo da subito, anche se gli appassionati ed estimatori di Nolan dovrebbero saperlo: il film non ha la forma o i limiti del biopic classico, ma una costruzione narrativa che rifugge la linearità e il racconto pedissequo di eventi reali. È piuttosto un puzzle che spazia da un piano temporale all'altro, da un momento storico all'altro, per comporre il mosaico della figura che va a raccontare, dei presupposti e le conseguenze dell'opera di cui si è reso responsabile.
Ci si muove tra i primi contatti con il governo, la definizione del team di sviluppo del Progetto Manhattan e la costruzione del campo di Los Alamos, fino a intoppi e successi che hanno portato al test e le esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki, senza trascurare quel che è stato dopo, ovvero il processo e la riabilitazione del fisico e dell'uomo. Ma ci si sposta tra queste diverse fasi dell'esistenza di Oppenheimer, manipolando il tempo della realtà storica così come quello filmico, facendo emergere e sottolineando temi, suggestioni e spunti che sarà il caso di approfondire in sede diversa da questa recensione.
Il tempo di Christopher Nolan
Rientra nella cifra stilistica di Christopher Nolan giocare con il tempo. Pensiamo a Dunkirk o Tenet tra gli ultimi lavori, ma possiamo andare indietro fino a Memento con la sua costruzione alla rovescia. L'operazione di Oppenheimer conferma l'approccio dell'autore, che la sfrutta per stuzzicare, accompagnare, sostenere le aspettative dello spettatore, così come le incertezze, i dubbi e le domande. Una costruzione funzionale al racconto che ha scelto di fare della figura del fisico americano, accostando momenti significativi per dar loro un valore specifico e determinato, per confondere o chiarire a seconda delle esigenze. La sensazione è che la ricerca di una costruzione complessa sia meno efficace e giustificata rispetto al passato, che per alcuni momenti chiave per i quali è fondamentale ce ne sono altri che non ne risultano particolarmente valorizzati.
Le difficoltà di Oppenheimer
In questo non è un film facile, Oppenheimer, e richiede un'attenzione costante da parte dello spettatore. È un film da digerire, metabolizzare, che richiede riflessioni e dedizione (durante e dopo la visione). Per questo è il contraltare di Barbie, per far riferimento all'altro film che sta segnando questa estate, un importante complemento, un'altra faccia della medaglia che il cinema dovrebbe sempre avere a disposizione per raggiungere e assecondare i gusti di tutti i potenziali spettatori. Una ricchezza fatta di varietà e colori.
Oppenheimer è cibo per la mente, nutrimento per quelli che amano perdersi in un film e ritrovare la via nella sua complessa costruzione narrativa.
Ma è anche un contraddittorio nel suo essere composito, perché è un film articolato, che però poggia questa ambiziosa costruzione su un'impronta da cinema classico, teatrale nel suo essere parlato ai limiti del verboso, nel rinunciare alla modernità della CGI per preferire effetti pratici per ottenere immagini di grande impatto.
Tra mente e cuore
Quel che manca o rischia di mancare è una dose significativa di partecipazione emotiva: nel perdersi nello schema narrativo di Nolan, il rischio è di rimanere affascinati, intrappolati, ma non coinvolti. È un rischio calcolato dall'autore, perché non è quello il fine ultimo di Oppenheimer, che mira a suscitare riflessioni piuttosto che emozioni. Eppure i momenti dedicati all'impatto, alle sensazioni, all'immediatezza della reazione emotiva, ci sono. Non sono tanti, ma non mancano. E nella loro presenza rarefatta riescono a provocare una reazione significativa in chi guarda, grazie a sequenze costruite con una maestria assoluta e dirompente.
Lo spettacolo del cinema, l'intimità del teatro
L'impatto visivo è infatti sontuoso, sorretto dalla splendida fotografia che enfatizza il bianco e nero e valorizza le sequenze a colori, sostenuto dalla onnipresente colonna sonora di Ludwig Göransson alla sua seconda collaborazione con Nolan dopo Tenet. Oppenheimer è un film che non rinuncia a colpire con la veemenza dell'arte cinematografica, ma si affida anche alle prove di un cast ricco e in forma, impegnato a portare su schermo dialoghi fiume con abilità innegabile: sorprende Cillian Murphy nel suo ritratto del protagonista, ma è circondato da altrettanto valide prove attoriali, da Robert Downey Jr. a Matt Damon, fino al magnifico cameo di Gary Oldman in una delle scene più dirompenti del film.
Un Christopher Nolan diverso dal solito, più autoriale, più lontano dal fantastico, ma fedele a se stesso e al suo modo di fare cinema. A costo di rendersi meno accogliente per un pubblico ampio e perdere, almeno nell'immediato, la sfida degli incassi contro Barbie. Ma potrà rifarsi sulla lunga distanza, restando lì, sedimentando, lasciandosi guardare e studiare ancora e ancora.
Il tempo è dalla sua, lo è sempre stato.
Conclusioni
Come evidenziato nella recensione di Oppenheimer, il nuovo film di Christopher Nolan decostruisce la storia del fisico americano per ricomporla in un racconto composito e articolato, che si muove tra piani temporali diversi che si supportano a vicenda nel comunicare i temi che l'autore tiene a sottolineare. Un ottimo cast traduce su schermo i ricchi dialoghi del film, dal protagonista Cillian Murphy a Robert Downey Jr. e Matt Damon. Non mancano le sequenze di grande impatto visivo, enfatizzate dall'onnipresente colonna sonora di Ludwig Göransson.
Perché ci piace
- Il protagonista Cillian Murphy, magnetico Oppenheimer, ambizioso e sicuro di sé.
- Un cast in stato di grazia, dallo splendido Robert Downey jr. (ma non è una sorpresa) a Matt Damon, indipendentemente dal tempo a disposizione.
- La potenza dirompente delle immagini di Christopher Nolan, laddove si lascia andare a sequenze meno teatrali e dialogate.
- La colonna sonora onnipresente, ma affascinante e possente, di Ludwig Göransson.
- La costruzione narrativa che si muove tra momenti storici diversi, funzionale a sorreggere alcuni passaggi e quesiti etici importanti per l’autore…
Cosa non va
- … ma non indispensabile in ogni fase della vita (e dello script) di Oppenheimer.
- C’è il rischio, calcolato e consapevole, di coinvolgere la mente più del cuore. È un film su cui ragionare e riflettere, ma che rischia di emozionare poco.