Oceania 2: la Disney punta ancora sul 3D e la cosa non deve stupirci affatto

Il sequel è in ben 4000 sale in nordamerica di cui più di 2000 in 3D: una scelta che s'inserisce nella storica ossessione Disney per la spazialità...

Oceania 2 è il nuovo Classico d'animazione Disney

Vi ricordate quando, per "colpa" soprattutto di James Cameron e del suo Avatar, tutta Hollywood è salita per qualche anno sul carrozzone del 3D? Per diverso tempo, i multisala di ogni dove, compresi quelli premium large format, proponevano in maniera molto decisa, e con doveroso sovrapprezzo, i lungometraggi che da La La Land arrivavano in quel formato. Un periodo "folle" che ha avuto ripercussioni anche sul mercato home video. Alcuni film, come il già citato Avatar, nascevano con la visione stereoscopica in mente e la messa in scena era strutturata di conseguenza. Non si trattava di un semplice orpello per far sobbalzare lo spettatore sulla poltroncina con l'effetto di qualcosa che sbucava fuori dallo schermo, ma di un autentico registro stilistico che dava alla storia una marcia in più.

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Un'immagine di Oceania 2

Ma molte volte, il pubblico si trovava a pagare di più per film che non erano stati "girati in 3D", ma convertiti (anche malamente). Una spesa non giustificata in buona sostanza che è finita per penalizzare anche quei progetti con 3D nativo. Oggigiorno esistono ancora lungometraggi proposti in 3D anche se in modo meno frequente. Durante il ponte festivo del Giorno del Ringraziamento, il pubblico nordamericano potrà decidere se vedere l'attesissimo Oceania 2 in una delle circa 2000 sale (su un totale di 4000) che lo proporranno in 3D. Una scelta, meglio specificarlo, che anche il pubblico dello stivale potrà fare. Una maniera con cui la Disney tirerà su più soldi, starete pensando. Ed è vero, inutile affermare il contrario. Eppure, per la Casa di Topolino è del tutto normale proporre una sua creazione in questo formato perché il 3D fa parte del DNA stesso della major da quasi 90 anni.

Un'ossessione costante per Disney

L'innovazione tecnologica applicata all'arte della cinematografia è sempre stata una costante per la Disney fin da quando lo stesso Walt Disney era in vita. Un modus operandi, questo, che può essere constatato pure nella volontà di "Zio Walt" e dei creativi che hanno lavorato con lui di regalare al pubblico delle esperienze il più immersive possibili anche in anni in cui le fantasmagorie del 3D computerizzato di oggi erano fantascienza. L'illusione della tridimensionalità viene studiata e messa in pratica dalla Disney fin dal 1937, anno d'uscita del corto Il vecchio mulino e del primo Classico Disney animato, Biancaneve e i sette nani.

Il celebre ballo del film Biancaneve e i sette nani ( 1937 )
Una scena tratta da Biancaneve e i sette nani

Entrambi i titoli citati avevano inquadrature dove la macchina da presa viaggiava in profondità dell'immagine in anni in cui i computer non esistevano e bisognava ingegnarsi con ingegnosi procedimenti analogici come la ben nota "multiplane camera". Si trattava di una macchina da presa posta in verticale che, grazie a piani multipli costituiti da lamine trasparenti con i vari elementi ambientali dipinti sopra, permetteva di creare scenografie su più livelli attraverso i quali si poteva muovere la macchina da presa regalando spazialità e profondità ai cartoni animati. Qua sotto potete vedere un estratto della trasmissione targata ABC Wonderful World of Color datato 1957 in cui è proprio Walt Disney a spiegare il funzionamento di questo dispositivo.

Attualmente, esistono ancora tre multiplane camera originali. Una si trova ai Walt Disney Studios a Burbank, in California, una presso il Walt Disney Family Museum a San Francisco e una in esposizione all'Art of Disney Animation di Disneyland Paris. Poi l'avvento del computer ha cambiato le modalità di attuazione di questa tridimensionalità: pensate alla celeberrima scena del ballo in La bella e la bestia ad esempio, ma tutto si è sempre basato sulla medesima ratio. È vero che per un po' la Casa di Topolino ha esternalizzato a compagnie come la Industrial Light & Magic (poi diventata della Disney con l'acquisizione della Lucasfilm) o la Digital Domain i processi di conversione in 3D di alcuni classici, ma poi, aderendo ai dettami di Walt Disney per così dire, ha optato per la gestione interna della cosa.

Oceania 2, la recensione: un sequel che espande i confini

Il 3D nativo di Oceania 2

Oceania 2 Immagine
Vaiana nel sequel

Al netto delle battute sulla Disney che può aumentare il fatturato proponendo un suo lungometraggio animato in 3D a prezzo maggiorato, c'è un percorso in cui arte e tecnologia s'intrecciano che ha avuto inizio ben prima delle battutine acide affidate ai social come abbiamo spiegato qualche riga fa. Peraltro, nel caso di Oceania 2, non è che la major abbia insistito più di tanto sul proporlo come film in 3D. Non lo ha fatto proprio, evitando di evidenziarlo nei materiali promozionali. Questo si deve con tutta probabilità al successo che il box-office dei film in 3D ha generato in nordamerica nel corso del 2023: un giro d'affari da 1,7 miliardi di dollari che testimonia come, nel post-pandemia, il pubblico sia comunque molto curioso verso eventi capaci di coniugare schermi premium format arricchiti da un 3D particolarmente performante.

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Un'evocativa immagine da Oceania 2

E seguendo una filosofia le cui radici affondano nel terreno del tempo, Oceania 2 ragiona sulla tridimensionalità in maniera strutturata. Non si tratta di una conversione attuata con lo scopo di mungere più latte dalla vacca del botteghino. Al film diretto da Dave G. Derrick Jr., Jason Hand e Dana Ledoux Miller ha lavorato anche un team di 10 persone, come raconta The Wrap, interamente dedicato alla gestione della stereoscopia. E attenzione: questa squadra non ha agito come un'entità a sé. Era completamente integrata nella pipeline artistica e produttiva della pellicola insieme al gruppo principale e ha supervisionato ogni fase di questa nuova avventura oceanica per far sì che le varie trovate visive fossero congrue per un aumento dell'immersività e non dei semplici orpelli che potevano anche ottenere l'effetto di distrarre chi guarda il film.

Katie Fico, la responsabile della "squadra 3D", spiega che il loro operato è stato guidato dal desiderio di rendere la visione del lungometraggio confortevole per il pubblico "restando fedeli alla storia originale, arricchendola e rendendola immersiva, senza che le persone debbano sforzarsi. Grazie agli strumenti che abbiamo a disposizione possiamo mantenere una profondità costante per gli occhi. Il pubblico può percepire i personaggi come se fossero accanto a loro". Questa task force è composta da specialisti che magari lavorano in Disney da più di 30 anni (la stessa Fico ci lavora da quasi 5 lustri), ma c'è anche chi arriva da DreamWorks Animation che, per un importante lasso di tempo, sul 3D ha spinto molto. E l'integrazione di questo gruppo nello sviluppo di una pellicola animata è realmente a 360 gradi: dall'elaborazione dei layout, all'elaborazione delle scene passando per i viaggi sulle location che vengono impiegate come ispirazione di questo o quel cartoon.

Non a caso, Jared Bush, chief creative officer dei Walt Disney Animation Studios (e co-sceneggiatore di Moana 2) dice che "Qualcosa che Disney Animation fa meglio di chiunque altro al mondo è portare il pubblico in ambienti immersivi. E la stereoscopia è il modo migliore per farlo, per trasportare il pubblico in questo mondo insieme ai personaggi che amano". E lo facevano sia 87 anni fa con Il vecchio mulino e Biancaneve e i sette nani che oggi con Zootropolis, Frozen II e Oceania 2.