Rimasta chiusa in un baule per anni, la sceneggiatura di Napoli - New York è stata scritta da Federico Fellini quando ancora non aveva esordito come regista. Per un caso incredibile, è arrivata nelle mani di un collega, Gabriele Salvatores, che se n'è innamorato. Nato a Napoli, l'autore ha raccontato pochissimo la sua città nei propri film. L'ultima volta era stato nel 2000, in Denti. Era quindi giunto il momento di tornare a casa.
Napoli - New York, arrivato in sala con un ottimo riscontro di pubblico, è stato rimaneggiato da Salvatores, anche sceneggiatore, che lo ha reso meno crudo e più a misura di bambino. Il regista voleva proprio realizzare una favola, un film che fosse come un abbraccio. E in effetti tutto è raccontato dal punto di vista dei due giovanissimi protagonisti, Carmine e Celestina, interpretati da Antonio Guerra e Dea Lanzaro. Siamo nel 1949, in pieno dopoguerra, e questi bambini che non hanno più nulla salgono di nascosto sul transatlantico Victory, per andare a New York.
Ci riescono grazie all'aiuto del cuoco della nave, George (Omar Benson Miller) e poi, scoperti, vengono presi sotto l'ala protettiva di Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino), il commissario di bordo. Nella nostra intervista attori e regista confermano che sul set si è creata un'atmosfera magica, quasi da fiaba. Grazie a questo racconto che può arrivare a tutta la famiglia, Salvatores voleva ricordarci di quando i migranti con la valigia di cartone eravamo noi.
Napoli - New York: intervista a Gabriele Salvatores
In una scena di Napoli - New York Celestina è come se fosse chiamata da un cinema in cui stanno proiettando Paisà di Roberto Rossellini (la cui sceneggiatura è proprio di Fellini): quando vede Napoli sullo schermo è come se si sentisse a casa. Per Salvatores il cinema è ancora casa?
Il regista: "Sì. Il cinema mi ha salvato la vita e continua a salvarmela. Anche io amo molto quella scena ed è di Fellini: io ho cambiato delle cose, ma soprattutto nella seconda parte, quella americana, perché prendeva una direzione troppo finta rispetto a ciò che oggi sappiamo degli Stati Uniti. Ma quella è proprio un'intuizione bella. Mi piace l'idea che in un posto così lontano, così diverso, in cui si sente persa, Celestina trovi un pezzo di casa. E che lo trovi grazie a un film. Questo è il grande potere del cinema: di farci sentire a casa qualche volta".
Costruirsi la propria fortuna
C'è anche un'altra scena molto significativa: una maga dice a Carmine che non ha la linea della fortuna sulla mano e allora lui se la fa da solo, tagliandosi con un coltello. Oggi è più facile costruirsi da soli la propria fortuna? Salvatores: "Non è facile per niente, soprattutto per un ragazzo. Frequento giovani il più possibile e mi accorgo che sono, giustamente, depressi e preoccupati. E lo sarei tantissimo anche io. Viviamo un momento molto, molto difficile, in cui tutto congiura per farci sentire soli: dallo stare per ore davanti a un computer o un telefonino, che poi sono specchi di te stesso, non ti dicono niente di nuovo, perché ti mostrano quello che vuoi, alla tendenza della politica a trovare per forza dei nemici. Un politico dovrebbe unire, non dividere. Poi c'è il problema del lavoro. E quello del pianeta. Tutti questi problemi insieme rendono molto difficile farsi la propria fortuna".
L'ispirazione per la scena della mano è venuta da un fumetto: "Avere speranza nel futuro forse oggi è una cosa che può provare soltanto un bambino di 12 anni. Comunque è giusto dire che quell'immagine l'ho presa da un fumetto di Corto Maltese: in una storia c'è proprio questa scena. Una chiaroveggente gli dice che non ha la linea della fortuna e allora lui se la fa con il coltello. Mi piaceva molto farlo fare a un ragazzino napoletano, perché Napoli è così: non ho fortuna? Me la faccio. Nel bene e nel male".
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Un film (anche) per famiglie
Napoli - New York è un film per famiglie, lo abbiamo detto. E non c'è niente di male in questo: ogni tanto ci vuole un film così. Non bisogna per forza essere cinici per raccontare una storia in modo efficace. E Salvatores voleva proprio raccontare un film che fosse pieno di empatia e sentimenti positivi: "È proprio uno dei motivi che mi ha spinto a fare il film. In questo momento molto difficile, egocentrico e pericoloso, legato anche all'arroganza, alla supponenza e alla diffidenza verso gli altri, fare un film che parlasse di solidarietà mi sembrava importante. Anche perché gli altri sono quelli che ci salveranno sempre: da soli non ci si salva".
"Oggi chi è diverso da noi, o la pensa in modo differente, ci fa paura. Ma se parli con le persone, forse dopo un po' puoi anche volergli bene. Non puoi amare una cosa che non conosci. Ci vuole questo primo passo. E in questo momento in cui la televisione e internet ci rimandano continuamente immagini terribili, come quelle della bambina piccola con in spalla un'altra bambina a Gaza, dobbiamo riscoprire la solidarietà. Che non è una cosa cattolica, o buonista: ma è rendersi conto che siamo sulla stessa barca. Anche perché, a proposito di barche, oggi i migranti affondano nel Mediterraneo, ma, come si vede nel film, una volta i migranti eravamo noi. Di noi dicevano le stesse cose che oggi diciamo di chi sbarca. Quindi bisogna salvarci insieme".
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Chi sono i bambini protagonisti: Antonio Guerra e Dea Lanzaro
I giovani protagonisti di Napoli - New York sono eccezionali: Antonio Guerra e Dea Lanzaro sono dei talenti da coltivare. E, come abbiamo potuto constatare, sono già molto consapevoli: "Vedersi sul grande schermo è bellissimo! Poi in un film importante di un regista importante come Salvatores" ci ha detto felice l'interprete di Celestina. D'accordo Guerra: "Questa è la nostra passione ed è davvero bello vedersi sullo schermo. Poi magari ci vedrano anche i nostri amici e parenti: una grande soddisfazione".
Per Omar Benson Miller invece - che capisce l'italiano grazie alla sua esperienza sul set di Miracolo a Sant'Anna di Spike Lee, girato in Italia - recitare con questi bambini è stato come ritrovarsi in famiglia: "Penso che Gabriele abbia creato un ambiente in grado di restituire un senso di famiglia sul grande schermo. Perché quando abbiamo girato il film ci siamo sentiti proprio così. Loro avevano le famiglie con sé, cosa che mi ha fatto sentire, da estraneo, di fare qualcosa di molto personale. Vengo da un paese completamente diverso, ma questa esperienza è stata molto accogliente. Ho incontrato suo padre e sua madre e questo ci ha reso molto più facile recitare insieme".
L'attore non è così convinto che le cose siano molto cambiate dagli anni '40: "Se guardi il mondo di oggi, a essere cambiati sono i vestiti, la moda. Le sfide sono le stesse degli anni '40. I film dell'epoca e le persone che li facevano, Fellini, Rossellini, ti fanno vedere che le cose cambiano, ma allo stesso tempo rimangono le stesse. E questa è una lezione molto importante del film. Perché l'arte cinematografica ti spinge a identificarti con uno dei personaggi. Ho visto il film con mia madre, ha 82 anni e si è identificata più con i bambini che con me! Ognuno sente il film in modo diverso, ma secondo me è molto importante vedersi rappresentati sullo schermo".
Anche lui, come George, il suo personaggio, crede nell'importanza di aiutare gli altri? "Per me si tratta di umanità. Purtroppo nella vita reale vediamo che c'è crudeltà in tutto il mondo. Ma anche in questa oscurità e nella paura che viene costantemente diffusa dai notiziari, nel mondo reale ogni giorno qualcuno fa qualcosa di gentile per qualcun altro. Magari non lo vedi, ma secondo me è importante adottare l'approccio di Mahatma Gandhi: essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. E per farlo devi aiutare, anche se a volte aiutare gli altri è svantaggioso. Credo sia qualcosa su cui si debba riflettere di più, perché oggi nella società tutti pensano a se stessi. È tutto un: io, io, io! Sono tutti egoisti. Ma spero che riusciremo a superare questa fase, per tornare a una più umana. E penso che il film lo mostri bene in molti modi".