Sono decine i film americani che hanno affrontato, più o meno nettamente, il disturbo post-traumatico da stress che affligge i veterani, una volta tornati a casa (così, a memoria, ci viene in mente il recente Causeway con Jennifer Lawrence). Il solito "thank you for your service", infatti, non può bastare a placare il tumulto di uomini e donne che credono nel valore del "Semper fidelis". Troppi i fantasmi, troppi gli incubi, troppi i sensi di colpa. Il tormento di essere sopravvissuti, e aver visto morire in battaglia commilitoni e amici. Da questo punto di vista, e riflettendo, nel finale, sulle centinaia di migliaia di suicidi avvenuti tra i soldati congedati o ritirati, Kyle Hausmann-Stokes (ex marine) dirige My Dead Friend Zoe che, per sua ammissione, è ispirato al suo stesso percorso personale (scontando un PTSD dopo cinque anni di servizio).
Che fosse un soldato, effettivamente, ce ne siamo accorti - senza saperlo in anticipo - durante la visione della pellicola, passato in anteprima al Torino Film Festival. Il motivo? Semplice: c'è una tale affezione vero la divisa, a volte ambigua, e a volte pure discutibile, che My Dead Friend Zoe, pur trattando uno spunto marcatamente delicato, non prende mai la posizione giusta che credevamo - o forse speravamo - potesse prendere.
My Dead Friend Zoe: i tormenti dei veterani
Scritto dallo stesso Hausmann-Stokes, insieme ad AJ Bermudez, il film racconta di Merit (Sonequa Martin-Green, che brava) veterana dell'esercito con un forte trauma alle spalle. Come recita il titolo, in una struttura messa in piedi da regista, indeciso su quale strada voler percorrere, la sua amica Zoe (Natalie Morales), nonché compagna di plotone in Afghanistan, continua a "perseguitarla" anche dopo la morte. Per Merit, che prova ad esternare il tormento, senza riuscirci, prendendo parte alle terapie di gruppo, la costante presenza di Zoe è, per lei, una specie di figurazione idealizzata del suo asfissiante disturbo. Una via d'uscita, però, potrebbe arrivare dallo scontroso nonno (Ed Harris), anch'esso veterano, e con un Alzheimer in arrivo.
Un po' troppa retorica?
Kyle Hausmann-Stokes, come detto, è un ex soldato e, ora, è attivo in diverse no-profit a sostegno dei veterani, nonché autore di diversi spot pubblicitari. La sua formazione, infatti, esce fuori palesemente, in quanto My Dead Friend Zoe, ovviamente mosso da un sentito e condivisibile intento, a tratti sembra quasi una di quelle pubblicità dell'USS Army, che tanto spingono sul perché prendere parte al corpo militare americano (stracariche di ammiccamenti e patriottismo). Una visione che finisce poi per rispecchiarsi sulla sceneggiatura, e quindi sui personaggi. Per dire, il pistolotto militarista di Ed Harris, appare fuori fuoco: ha fatto il Vietnam, ci tiene a ricordare, prendendosela poi con le nuove generazioni che "darebbero sempre la colpa agli altri". Insomma, potrebbe essere più complicato di così. Del resto, e questo è il lato migliore, il film ci (di)mostra che dietro la divisa ci sono persone con i propri problemi, le proprie emozioni.
Per dire, e alternando comunque uno spirito cinematografico ben costruito (ma sbilenco e goffo nel decidere cosa fare del "fantasma" di Zoe), quello di Hausmann-Stokes potrebbe essere cinema sociale se fosse stato più critico e più lucido nei confronti degli stessi Stati Uniti, nonché della discutibile e tutt'ora discussa missione in Afghanistan (capiamo i paragoni scomodo, ma basti pensare ad Apocalypse Now o Good Morning, Vietnam...). Dall'altra parte, se il dato dei suicidi tra i veterani è allarmante (ma in diminuzione negli ultimi anni), My Dead Friend Zoe prova a dare una scossa, ponendo l'attenzione sul tema portando al cinema una dramma personale, ma probabilmente troppo militarista e troppo retorico per essere compreso e assorbito anche da chi, invece, continua ad essere critico (soprattutto oggi) nei confronti dello spirito patriottico americano.
Conclusioni
My Dead Friend Zoe è mosso dal valore intimo di una storia privata, che riflette sui disturbi post-traumatici dei marines tornati a casa. Una forte presa di coscienza da parte del regista, ex soldato, che però si infrange in un film marcatamente retorico, e settato seguendo una logica militare che esalta idealismo e patriottismo. Interessante la disamina sulle ansie delle donne e degli uomini lontani dalla divisa. Un senso di appartenenza incomprensibile ai "civili". Anche la gestione registica del fantasma di Zoe, a volte, risulta goffa e indecisa. Ottimo il cast, a cominciare da Sonequa Martin-Green.
Perché ci piace
- Una buona soundtrack, da Rhianna a Labirinth.
- Il tema affrontato.
- Il cast.
Cosa non va
- Tema, filtrato da una luce troppo patriottica.
- A volte sembra uno spot pro-marines.
- Il "fantasma" di Zoe non viene gestito in modo lucido.