Se Il Re Leone di John Favreaou aveva colpito per l'incredibile livello raggiunto dalla CGI fotorealistica, sfidando anche gli spettatori a trovare l'unico fotogramma reale all'interno del lungometraggio, allora Mufasa ha il complesso compito di non risultare inferiore rispetto al precedente live action che, seppur non originale nella storia, aveva conquistato il pubblico, con un ottimo riscontro al botteghino.
Questa volta ci troviamo di fronte ad una storia inedita che va a completare il racconto generazionale su cui il primo film Disney si basa, ovvero la storia di Simba, dei suoi antenati e di quel cerchio della vita che include ogni essere vivente della savana, quella spiegazione chiara e certamente edulcorata di habitat che poi si estende non solo alla fauna selvaggia ma soprattuto alla società umana. Per quanto riguarda la regia, poi, è stato scelto un regista che in questi anni ha dimostrato di possedere una visione interessante e consolidata: Barry Jenkins, premio Oscar e autore di due grandi film come Moonlight e Se la strada potesse parlare. Sintomo che la casa di Topolino punti moltissimo su Mufasa e sulla sua capacità di trattare temi importanti.
L'importanza di raccontare una storia
Tutto parte da Simba e Nala che, a causa di un importante avvenimento, devono lasciare la loro figlia Kiara nelle capaci zampe di Timon e Pumba, due babysitter piuttosto improvvisati ma vivaci che promettono alla cucciola di raccontarle una storia. Come narratori, però, i due non si rivelano molto efficaci nell'intrattenere e per questo sarà provvidenziale l'arrivo di Rafiki che le racconterà le temerarie gesta di suo nonno Mufasa: un'avventura che trasformerà il suo progenitore da emarginato a sovrano della rupe. Dopo un'inondazione, infatti, Mufasa ancora cucciolo viene separato da suoi genitori e trascinato dall'acqua in un territorio gestito da un branco di leoni.
A salvarlo dalle acque sarà Taka, figlio del re di quel luogo, un leoncino suo coetaneo, che si batterà per far sì che il nuovo arrivato non sia eliminato dagli altri membri del branco. Dopo l'insistenza di Taka e sua madre, lo straniero non potrà far parte effettiva del gruppo ma gli sarà comunque concesso di restare, a patto che rimanga sempre con le leonesse occupandosi anche lui della caccia. Inizierà così per Mufasa una nuova vita con accanto Taka, che considererà suo fratello. Ma da un territorio adiacente e inospitale un altro branco di leoni ha mire di conquista, minacciando la sua nuova casa.
Mufasa in anteprima con Barry Jenkins: "Buoni o cattivi? Tutto dipende dal nostro percorso"
Mufasa: la forza del racconto generazionale
Come era prevedibile Mufasa: Il Re Leone parte dal racconto generazionale per poi sviscerare una serie di tematiche fondamentali e in parte tra esse collegate. Nella storia del famoso re riconosciamo il dolore e la confusione di chi cerca un luogo sicuro, di chi viene guardato con diffidenza e timore solo perché originario di terre lontane. Il viaggio di Mufasa è per la salvezza propria e di chi gli è caro, un peregrinare irto di pericoli, che profuma di libertà ma che ricorda l'importanza di una stabilità affettiva prima che materiale, di una ricchezza che viene solo e soltanto conoscendo l'altro e riconoscendone diversità, pregi e capacità. La nuova favola Disney non è un film politico ma parla direttamente alle coscienze, con la giusta retorica e una grande semplicità che lo rendono fruibile da grandi e piccini, in egual misura.
Una riflessione importante può essere fatta anche sul personaggio di Taka, centrale all'interno della narrazione anche per la sua crescita, con la quale viene mostrato come il contesto e le influenze con i quali cresci possono poi formare il tuo essere adulto. Nel bene e nel male, ciò che ci viene insegnati da piccoli rimane e costituisce tasselli della nostra personalità, ma soprattutto possono determinare il nostro agire anche dopo molti anni. Fondamentale diviene quindi la scelta, quel libero arbitrio, quelle decisioni dettate dalla coscienza che possiamo o meno esercitare e che, poi, fanno la differenza. Questa sembra essere una narrazione particolarmente cara a Jenkins: era alla base del suo Moonlight e ci viene da pensare che il regista sia stato scelto anche per questo, perché il più adatto a raccontare tutto questo su grande schermo, rendendo quindi giustizia all'ottima sceneggiatura di Jeff Nathanson.
Una regia non perfetta ma efficace
A fare la parte del leone in questo film, prima ancora dei suoi protagonisti, è la regia di Barry Jenkins che, pur rimanendosi fedele a se stesso, abbraccia e si adatta al progetto confezionando un lungometraggio estremamente complesso e dinamico dove le scene più riuscite sono quelle in cui vengono simulate action e steadycam che seguono da vicino i personaggi mostrandoci il loro punto di vista e le loro espressioni durante la corsa e i combattimenti.
Un espediente interessante e riuscito considerando che lo stampo fotorealistico non permette l'espressività e la mimica dell'animazione a mano. La mano del regista appare quindi molto più vicina all'impostazione live action che a quella dell'animazione (in cui ci sentiamo comunque di incasellare Mufasa) e, se da un lato fa emergere qualche piccola sbavatura sullo sfruttamento del mezzo, dall'altro costituisce un elemento di freschezza che discosta questo nuovo titolo dal precedente, rendendolo una pellicola a tutti gli effetti riuscita, e nuova. In conclusione anche una menzione speciale per gli straordinari dialoghi di Timon e Pumba, brillanti e metacinematografici, si riconfermano l'anima comica e spensierata della quale Il Re Leone non può fare a meno.
Conclusioni
Muafasa è un film riuscito, un prequel interessante che dimostra come attraverso la favola Disney si possano ancora raccontare tematiche importanti tenendo la leggerezza ma evitando la superficialità. La buona scrittura di Jeff Nathanson si addice perfettamente alla scelta del regista Barry Jenkins che, nonostante non sia riuscito sempre a sfruttare al meglio il mezzo dell’animazione, conferisce con alcune trovate tecniche e stilistiche freschezza e solidità al film.
Perché ci piace
- La scrittura che espone con chiarezza e semplicità le varie tematiche.
- Il personaggio di Taka, complesso e ambiguo.
- Alcune trovate di regia particolarmente efficaci.
Cosa non va
- Il mezzo animato, in alcune scene, poteva essere sfruttato meglio.