Capita, agli appassionati di animazione giapponese, di trovarsi di fronte a prodotti che sembrano entità aliene: design azzardati, scelte artistiche estreme, animazioni esagerate (in un senso o nell'altro) e così via. Questo è un chiaro segnale della potenza dell'industria dell'animazione nipponica che, al fianco delle serie più "canoniche", è in grado di produrre anche titoli decisamente più particolari e ricercati, sia dal punto di vista grafico che narrativo, in cui gli artisti sono liberi di sperimentare ed esprimersi al meglio.
Pensiamo a titoli come Sonny Boy, oppure Tatami Galaxy, o anche alla rilettura in chiave acid-pop di Devilman Crybaby.
Nel 2007 la casa di produzione Toei Animation, ovvero la "grande ammiraglia" nell'ambito delle serie di maggior successo popolare, a cui si devono, per dirne giusto un paio, Dragon Ball e One Piece, rilasciò una serie che, in soli 12 episodi, riuscì a stregare il pubblico, diventando un fenomeno di culto nella (troppo) ristretta cerchia di appassionati: Mononoke.
Mononoke, di cosa parla la serie
Nelle strade del Giappone antico si aggira una strana figura, un uomo dal volto tatuato e dalle strane fattezze. Si definisce un semplice speziale, un venditore ambulante di farmaci e rimedi, ma la sua vera missione è dare la caccia ai Mononoke, spiriti che, a causa dell'influsso delle emozioni negative umane, diventano esseri spaventosi e assetati di sangue. Per poter abbattere i Mononoke con la sua spada magica, però, lo speziale deve prima venire a conoscenza della Forma, della Verità e della Ragione dello spirito: ovvero della sua natura, del suo scopo e delle cause che l'hanno portato nel nostro mondo.
Diretta da Kenji Nakamura, la serie Mononoke, nata come spin-off di una serie precedente, fu un fulmine a ciel sereno nei palinsesti televisivi dedicati agli anime: lo stile grafico audace, le scelte di regia e il tono del racconto, a metà tra il grottesco, il metafisico e il mistery, colpirono nel segno e la serie fu un discreto successo, totalizzando ottimi punteggi di share.
Se non l'avete mai vista, la trovate disponibile in streaming su Netflix, e vale assolutamente la pena recuperarla.
In occasione del quindicennale della serie Toei ha annunciato un progetto per un lungometraggio, poi diventato una trilogia. Il primo film, Gekijoban Mononoke: Karakasa, è stato proiettato con buon successo nelle sale giapponesi a Luglio del 2024, ed è ora disponibile per lo streaming anche da noi, sempre su Netflix.
Tra le stanze delle concubine imperiali nel film
Asa, una giovane scriba, è appena arrivata alle porte dell'Ooku, il palazzo dove risiedono le concubine e le servitrici imperiali. Qui, poco prima di entrare nel palazzo e prendere posto tra le sue abitanti per iniziare la sua nuova vita al servizio dell'Imperatore, fa la conoscenza di Kame, un'altra novizia, tanto adorabile quanto ingenua, con cui stringe subito amicizia.
Una volta introdotte nella cerchia delle servitrici, le due ragazze si trovano a dover lottare duramente contro la rigidissima etichetta di corte, il duro lavoro e gli intrighi tra le cortigiane e le servitrici di rango superiore. Qualcosa di oscuro e sinistro, però, serpeggia tra le sale dell'Ooku: una presenza impalpabile ma terribile, che potrebbe provocare tragedie se riuscisse a scatenarsi completamente.
Tuttavia, un uomo misterioso è in attesa all'esterno dell'Ooku, pronto a intervenire.
Overdose cromatica e battaglie spirituali
Per i tre lungometraggi dedicati a Mononoke (il secondo, Le ceneri dell'ira, è previsto per il 2025), Toei ha richiamato lo stesso staff della serie animata. Abbiamo quindi di nuovo la regia di Kenji Nakamura e il character design affidato a Takashi Hashimoto.
Cambia però l'approccio alla narrazione e all'estetica.
Se già nella serie animata lo stile grafico era molto particolare, costantemente alla ricerca di un effetto estetico capace di stupire lo spettatore, ne Il fantasma della pioggia tutto è portato all'eccesso: i personaggi sono ancora più eleganti, particolareggiati e caricaturali, la storia abbandona i toni più grotteschi e ironici per concentrarsi sul dramma personale delle donne di corte, completamente votate al sacrificio personale pur di adempiere al loro compito.
Ma, più di ogni altra cosa, è il comparto visivo a essere, letteralmente, un'esplosione cromatica. Tutto è coloratissimo e iper-dettagliato. Scenografie, paesaggi, interni, costumi: ogni centimetro quadrato dello schermo è coinvolto in un continuo, caleidoscopico flusso cinetico e cromatico con rimandi non solo all'estetica giapponese, ma anche al mondo cinese, mediorientale, egiziana e Art Nouveau (e probabilmente altro che, nell'overdose visiva, ci è anche sfuggito).
Rimane il caratteristico effetto "acquerello" che replica la resa a schermo della particolare carta giapponese washi, semi traslucida, e che contribuisce a dare la sensazione di assistere a uno spettacolo pittorico animato. Ma se nella serie animata la predominanza era per tonalità tenui, qui la palette è... infinita, i colori sono saturi, brillanti e ricchi.
E ovunque.
In questo bombardamento continuo di rossi, gialli, blu e verdi, a cui è il caso di essere ben preparati prima di affrontare la visione, a volte si fatica a star dietro a tutti i minuscoli dettagli e alle continue sovrapposizioni di scene ed eventi, di presente e passato, di realtà e spirito, a cui la regia sincopata sottopone lo spettatore. Il tema di fondo rimane la domanda su quanto, e perché, si è disposti a sacrificare pur di raggiungere il proprio scopo, ma con la sensazione di perdere di vista, sovente, elementi che invece avrebbero meritato maggiore attenzione, come il rapporto tra l'Imperatore e le sue favorite, qui solo accennato, o i misteri che si celano dietro le porte di carta di riso (coloratissime, nel caso vi fosse venuto il dubbio) delle stanze dell'Ooku.
Il cacciatore di mostri
Presenza costante ma sfuggente, anche nel film lo speziale senza nome mantiene tutta l'ambiguità e il mistero della serie animata. Il suo unico scopo è dare la caccia al Mononoke, con i suoi metodi stravaganti e fantasmagorici. A volte semplice spettatore, altre volte Deus Ex Machina, sempre con il fascino di un personaggio che si muove al confine dei mondi, bello e inquietante, freddo, sarcastico e implacabile. Per quanto le protagoniste siano Asa e Kame, tanto diverse tra loro quanto unite, è lui a rubare la scena fino a un finale volutamente ambiguo e dal sapore agrodolce.
Chiudiamo la nostra recensione dando il giusto riconoscimento all'edizione italiana, con un doppiaggio di buon livello diretto da Daniele Raffaeli, curato da Enzo Benecchi, e con le voci di Lavinia Paladino, Martina Felli e Gianluca Cortesi nei ruoli principali.
Conclusioni
La deflagrazione cromatica che vi investirà alla visione di Mononoke - Il fantasma nella pioggia, potrebbe paradossalmente anche avere un effetto straniante, se non proprio disturbante. Tutto, ma proprio tutto, sullo schermo è colore e movimento. Scelta artistica e sforzo produttivo di eccezionale livello, sicuramente, ma che soffre di una sceneggiatura forse un po' troppo metaforica ed enfatica. Resta comunque uno spettacolo di rara potenza.
Perché ci piace
- Il fascino delle stanze delle cortigiane imperiali.
- Il protagonista, ambiguo e carismatico.
- Lo stile...
Cosa non va
- ... che potrebbe anche essere "troppo".
- La storia è molto legata alla cultura e al folklore giapponese.